Esiste un modo per entrare nella mente degli altri? Cioè, per mettersi nei panni degli altri e comprendere appieno i loro punti di vista? La risposta a quella che appare una sfida da film di fantascienza arriva dal Canada. In un articolo pubblicato in italiano nel Maggio 2012 dal mensile di Psicologia e Neuroscienze Mente & Cervello, Keith Oatley, Professore Emerito di Psicologia Cognitiva all’Università di Toronto, afferma, infatti, che questo è possibile.
L’importanza di una lettura
La tesi di Oatley è che, ad esempio, leggere storie sia un modo efficace di capire il carattere degli esseri umani e affinare, di conseguenza, le attitudini del cervello sociale. Fare proprie le esperienze vissute dai personaggi dei romanzi, rivivendo dentro di noi sentimenti e azioni, è un modo per esercitarsi nell’arte di interagire con gli altri. Anche quando ci si apparta in solitudine per concentrarsi sulla lettura di un libro.
Scrittori e lettori, infatti, usano i personaggi dei romanzi per riflettere sulle persone che incontrano nella vita. Se vogliamo, questa è anche un po’ un’inversione di tendenza rispetto al valore che gli psicologi cognitivisti assegnavano alla letteratura d’invenzione come strumento per capire la gente. Ma poi i tempi sono cambiati e negli ultimi decenni si è assistito ad rilancio dell’importanza del racconto e delle storie per la crescita personale.
Le storie si rivelano molto utili, infatti, per la comprensione, da parte del lettore, non solo dei personaggi dei libri ma anche, in generale, del carattere di una varia umanità. Lungi dall’essere una fuga dalla vita sociale, lo dicono le ricerche, leggere storie
- apre la mente e
- migliora le capacità interattive,
- perché mette il lettore nella condizione di capire a fondo gli esseri umani.
Narrazione ed empatia
Il perché di tutto questo è in queste semplici parole: quando un lettore è nel mondo immaginario della finzione narrativa, aumentano
- empatia e
- capacità di assumere il punto di vista degli altri.
La lettura può perfino modificare la personalità stessa di chi legge. L’atto apparentemente solitario di starsene per conto proprio a leggere un libro è, quindi, in realtà un esercizio di interazione umana che contribuisce ad affinare il cervello sociale.
La lettura, infatti, precede di gran lunga internet e i computer. E i primi veri e propri mondi virtuali erano proprio le storie. Era attraverso di esse che si poteva
- conoscere il mondo,
- comprendere i punti di vista degli altri e
- dare sfogo al pensiero creativo attraverso voli nel mondo incantato della fantasia.
Un esperimento di simulazione sociale
Partendo, infatti, da queste premesse, Raymond A. Mar realizzò nel 2006 uno studio sulla simulazione sociale. Obiettivo della ricerca dell’allora dottorando in Psicologia all’Università di Toronto era capire se coloro che leggevano molte opere di narrativa fossero più efficaci nelle interazioni sociali rispetto ad altri soggetti meno inclini ala lettura. Secondo Mar, così come i piloti degli aerei fanno pratica nei simulatori di volo, allo stesso modo è possibile che la gente riesca ad acquisire esperienza nelle relazioni sociali semplicemente leggendo narrativa.
Il risultato, che divenne oggetto di pubblicazione, evidenziò che, più le persone leggevano narrativa, più divenivano capaci di
- percepire le emozioni espresse attraverso gli occhi e, in misura minore,
- di interpretare correttamente gli indizi sociali.
Il che stabilisce un primo forte legame tra la lettura di opere di narrativa e le abilità sociali, pur nell’impossibilità di determinare con assoluta certezza se fosse la lettura a provocare le differenze osservate o se tali competenze fossero pre-esistenti nel campione osservato.
In entrambi i casi, il binomio sembrò dare grandi soddisfazioni.
Lettura e Teoria della Mente
Lo studio condotto nel 2006 comprendeva anche un test sulla comprensione dell’espressione degli occhi. L’abilità di comprendere le emozioni degli altri dall’osservazione degli occhi, infatti, è legata alle abilità empatiche su cui si fonda la moderna Teorie della Mente.
Se, infatti, ammettiamo come veri i principi secondo cui
- la Teoria della Mente è la capacità di assumere il punto di vista altrui e di capire, al tempo stesso, che altri potrebbero avere convinzioni e intenzioni diverse da quelle dall’osservatore, e che
- la lettura di testi di narrativa aiuta a costruirsi modelli dei contenuti della mente delle altre persone,
la correlazione tra la cultura umanistica (o la semplice passione della lettura) e le neuroscienze appare dimostrata. O, perlomeno, è dimostrabile che s’incontrino sul terreno comune dell’empatia. Nonostante, come già detto, il collegamento tra leggere narrativa e abilità sociali potrebbe semplicemente riflettere una maggiore affinità con la lettura delle persone più dotate di intelligenza sociale. Divorare romanzi, cioè, potrebbe essere un effetto, e non una causa, di abilità mentali più orientate alla comprensione degli altri.
Una cosa, però, appare chiara in tutti i casi: la terra di nessuno che separa la cultura umanistica da quella scientifica sembra erodersi pian piano. Con grande sollievo del mondo della scuola e dell’educazione che può, finalmente, vedersi riconoscere il merito di preparare per la società persone migliori. E, in fondo, più intelligenti.
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