L’intelligenza emotiva è una competenza che può essere appresa. Ha, invero, basi genetiche che concorrono al 50% dell’EQ (Quoziente Emotivo), legate al gene 5-HTT, responsabile dell’attivazione dei trasportatori della serotonina, e al gene COMT, implicato nella degradazione della dopamina. Il restante 50% è imputabile a fattori ambientali che, come spiegano gli studi di Moira Mikolajczak, ricercatrice presso il Fondo Nazionale Belga e la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Lovanio, possono rimaneggiare un corredo genetico deficitario in tal senso.
Con parole semplici
Per dirla con parole semplici, funziona così. Nel corredo genetico con cui veniamo al mondo ne sono presenti alcuni che sono responsabili della regolazione emozionale. Sono il gene 5-HTT e il gene COMT. Il primo attiva i trasportatori della serotonina, neurotrasmettitore legato alla regolazione del tono dell’umore. Il secondo è responsabile dei processi di degradazione della dopamina, il neurotrasmettitore legato alle sensazioni di piacere.
Bene. Ogni gene è composto da due alleli: uno viene dal corredo genetico ereditato dal padre, l’altro da quello della madre. Gli alleni possono essere della variante corta o lunga. I primi sono più sensibili allo stress e causano i disturbi della sfera emotiva. I secondi, viceversa, sono più resistenti.
Ma non è tutto. Se fosse così, infatti, ognuno dovrebbe arrendersi alle evidenze della genetica. Ed è qui che entrano in gioco i fattori ambientali. Gli studi condotti in Belgio hanno dimostrato che persone con geni composti da alleni della variante corta, se educati in un ambiente familiare ricco di stimoli emotivi, compensano le carenze genetiche. A dimostrazione che l’intelligenza emotiva può essere appresa, accresciuta o, per contro, perduta, se non allenata.
In principio era il QI
È opinione diffusa che un elevato QI sia un fattore predittivo del successo. Questo principio non è sempre vero in modo assoluto, al punto che:
- esso è responsabile dell’efficacia nella vita in una misura pari al 20%, mentre
- il restante 80% è legato a numerose altre variabili, specie a quelle che permettono di allargare gli orizzonti e di vedere oltre.
Tra queste variabili, con le ricerche di Howard Gardner, lo studioso delle intelligenze multiple di cui mi sono già occupato in più articoli, sono annoverate le competenze intrapersonali e interpersonali che, insieme, sono le fondamenta di quella che noi oggi chiamiamo intelligenza emotiva. Ovvero, essa comporta, nell’ordine:
- una corretta alfabetizzazione emotiva come primum movens per acquisire
- consapevolezza di sé (intelligenza intrapersonale). Entrambe sono le chiavi di accesso
- alla conoscenza dell’altro (intelligenza interpersonale).
L’intelligenza emotiva
Ecco, allora, una semplice definizione che può aiutare a comprendere che cosa sia l’intelligenza emotiva: la capacità di assumere i comportamenti più idonei (compresi quelli verbali) e le decisioni più corrette, valutando preventivamente gli effetti delle conseguenze degli stessi sul piano emotivo, per se stessi, per gli altri o per se stessi e gli altri.
Formarsi e sviluppare l’intelligenza emotiva si traduce, in questo senso, in un solo concetto chiave: crescere partendo da sé ed aiutando gli altri a fare altrettanto. Cioè, non sviluppando competenze alte ma, al contrario, quelle basse, quelle emotive. La storia recente dice, infatti, che per andare avanti bisogna saper fare un passo indietro. Ovvero, valorizzare le emozioni per valorizzare la comunicazione e i rapporti sociali.
Daniel Goleman, autore de L’intelligenza emotiva, nell’introduzione al suo libro scrive qualcosa che suona, grosso modo, così: “Ho scritto “L’intelligenza emotiva” nel momento peggiore per l’economia americana, periodo in cui le difficoltà acuiscono i conflitti e la violenza privata, da cui solo competenze sociali ed emotive possono salvare le genti”.
Relazioni e intelligenza emotiva
Il discorso sull’intelligenza emotiva rimanda alle competenze empatiche implicate nelle relazioni umane. Come si fa, infatti, ad instaurare una relazione significativa tra colleghi, facendo squadra, appunto, o all’esterno, con amici e clienti, senza aver sperimentato l’empatia? Come si fa, del resto, a parlare di empatia senza avere preventivamente sperimentato e conosciuto le emozioni?
Ecco perché l’intelligenza emotiva è la nuova El Dorado: perché svela le chiavi di accesso a se stessi e alle relazioni con gli altri.
È la vita emotiva, infatti, che condiziona fortemente la qualità delle relazioni. Viceversa, la mancanza di consapevolezza di quali emozioni si trasmettano rende impossibile
- decodificare le emozioni che ci arrivano dagli altri,
- chiamarle con il nome corretto,
- attribuire loro il giusto senso e
- cercare una sintonia emotiva con loro (per simpatia o per empatia, come accade nella relazione d’aiuto).
Intelligenza emotiva nei gruppi
Ad esempio, per comprendere quali aspettative abbia un gruppo di lavoro, un team, una squadra di calcio, occorre entrare nel merito
- di quali emozioni i componenti si scambino,
- come ognuno viva in relazione agli altri e al contesto in cui opera il gruppo,
- da quali motivazioni sia spinto e a quali traguardi ambisca.
Come singolo e in quanto parte di un collettivo.
Ottimizzare le relazioni resta un compito gravoso a carico di manager, insegnanti, leader, coach, allenatori, facilitatori ecc. che, agendo con intelligenza emotiva, possono sviluppare anche quella degli altri. E guidarli verso il successo, qualunque esso sia. Diversamente, il rischio di vita di relazione insoddisfacente e, soprattutto, inefficace, è sempre dietro l’angolo.
Ecco che ogni training sulla consapevolezza delle emozioni, dai laboratori di Arti Terapie a quelli sulla creatività con il Metodo Autobiografico Creativo, aiuta ad accrescere i livelli d’intelligenza emotiva, guidando i singoli lungo le cinque tappe intorno alle quali essa si fonda:
- riconoscere,
- comprendere,
- esprimere,
- controllare,
- sfruttare le emozioni.
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