Eccolo lì l’oggetto transizionale. E’ ricomparso, anche se adesso l’amico d’infanzia è solo, al centro del letto rifatto e vuoto. E’ lì, esattamente dove lo avevamo lasciato tanto tempo fa. Torna nei ricordi di una separazione che a noi è costata molto, sempre che sia avvenuta! Ma, mentre quei ricordi opachi rivivono nel nostro cuore come in un sogno, lui è presente, vivo, netto, marcato. E’ come se il tempo per lui non fosse affatto passato. Almeno, questo è quello vedo nel dosaggio dei colori. L’oggetto transizionale rivive grazie al potere del lavoro autobiografico creativo. Simbolo di un’infanzia con cui si fa fatica a tagliare i ponti?
L’oggetto transizionale nel lavoro autobiografico
Non lo sapremo mai. Non è nostro compito indagare oltre. A noi, arti terapeuti e formatori, spetta, al più, aiutare le persone a farsi le giuste domande, in modo che ognuno trovi le sue risposte e apprenda qualcosa in più su se stessa. Se quelle che arrivano dal contesto formativo soddisfano il criterio della crescita personale, bene. Se non soddisfano, ci sono percorsi di analisi personale ad hoc, nei quali approfondire e sciogliere i nodi delle nostre esistenze.
Dirò, tuttavia, quello che penso di questo disegno.
E’ un regalo che mi ha fatto un corsista del mio Metodo Autobiografico Creativo. La consegna era semplicemente di disegnare la stanzetta del periodo dell’infanzia. Perciò, non sta a noi indagare se aggiungere l’orsacchiotto sul letto sia
- un dettaglio di rilievo narrativo, per fedeltà alla consegna, o se
- il fatto che sia stato inserito solo questo dettaglio (e non altri) abbia un valore simbolico.
Certo, se il disegno è spontaneo e non come esecuzione di una consegna così precisa, è lecito porsi qualche domanda in più. Ed è anche molto probabile di essere di fronte al lavoro creativo di una persona che ha ancora della strada da fare per recidere il cordone ombelicale con la sua infanzia.
La tolleranza della separazione
Ci si separa da adulti,
- dalle persone,
- dagli affetti,
- dagli oggetti significativi,
per come si è imparato a farlo da bambini. Le persone che non reggono all’impatto emotivo della separazione, da grandi, sono anche le stesse che, spesso, si macchiano di crimini legati all’incapacità di resistere all’angoscia di “dover fare a meno”. Stiamo entrando, dunque, in un terreno molto delicato.
Meglio, allora, riavvolgere il nastro con un po’ di storia.
Winnicott e l’oggetto transizionale
Prima dei sei mesi di vita il bambino non ha la capacità di distinguere tra sé e chi si prende cura di lui. Si trova, cioè, in uno stato di fusione che supererà gradualmente, anche se ricerche recenti fanno ipotizzare il superamento di tale fase già prima dei sei mesi di vita.
Tra i sei e gli otto mesi, comunque intorno alla fine del primo anno, il bambino si rende conto che la mamma non è più un suo dominio incondizionato. Inizia così a comprendere che la mamma ha una propria esistenza e può comparire e scomparire dalla sua vista ma non dalla sua vita. L’emergere della reazione alla separazione, in quest’epoca dello sviluppo psichico del bambino, indica che egli ha stabilito dentro di sé una rappresentazione stabile della figura materna e che può evocare il suo ricordo se questa non è presente.
E’ in questa fase che compaiono lo spazio e l’oggetto transizionale di cui parla Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese. Il primo, lo spazio transizionale, rappresenta ciò che separa simbolicamente il bambino dalla madre. All’interno di quest’area simbolica (ma reale), il bambino utilizza l’oggetto transizionale sia per
- lenire l’angoscia derivante dalla separazione, sia per
- sperimentare, per la prima volta, una relazione affettiva con un altro diverso da sé.
Per questo i nostri figli fanno tante storie se non trovano in giro il loro peluche prima di andare a dormire.
Ansia da separazione nel bambino
Quando l’oggetto transizionale non servirà più allo scopo per il quale era stato “creato”, il bambino lo metterà da parte. E’ quello il segnale più importante che la fase di separazione si è conclusa con successo. Anche perché, se dovesse servire ancora, sarà il bambino a doverlo recuperare dal limbo in cui lo ha relegato, affinché sia un aiuto ad affrontare la solitudine, la tensione o la paura.
Poiché la ricerca di autonomia è sempre accompagnata dal bisogno di sicurezza e protezione, l’oggetto transizionale svolge l’importante funzione di mitigare l’ansia legata alle nuove scoperte, anche quelle di carattere emotivo. Per questo alcuni bambini, anche ben oltre l’infanzia, hanno necessità di recuperare, al bisogno, l’oggetto davanti a nuove esperienze, emotivamente intense, specie nelle fasi di passaggio tra diverse età. Senza che questo denoti un comportamento fuori la norma. Solo dopo, l’oggetto transizionale perde il suo significato originario per rappresentare, sempre per Winnicott, un territorio intermedio tra la realtà psichica interna e la realtà esterna.
E’, dunque, fondamentale, per lo sviluppo armonico della personalità del bambino che si appresta a diventare un adulto sano e ben strutturato, se supera pienamente la fase di separazione e identificazione. E’, infatti, nella prima infanzia che si fonda l’origine psicologica della fiducia, basata sulla tolleranza della separazione dal genitore e, appunto, sulla fiducia nel suo ritorno. Da adulto, la qualità delle sue relazioni dipenderà tutta da lì.
La fiaba e la creatività
L’oggetto transizionale assolve, dunque, alle stesse funzioni della fiaba. Ovvero, la fiaba stessa diventa un oggetto transizionale funzionale ai processi di riparazione, un esorcismo per le paure, le ansie e le sofferenze irrisolte. E ciò, grazie all’intreccio dei simboli che, creativamente, parlano al protagonista della storia. In questo, ritrovo appieno il senso della frase di Maria Varano, psicoterapeuta e autrice del libro “Guarire con le Fiabe” (Ed. Meltemi) con cui chiudo.
“Forse perché la capacità di stupirsi e di sognare non la abbandonava mai, la fanciulla che si trovava nella grotta in attesa della nave teneva tra le mani i suoi unici averi: un quaderno, una penna e dei colori. Queste tre piccole cose le avevano permesso di affrontare il dolore, la solitudine, la malattia e l’abbandono.”
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