Ormai è un dato di fatto: quella da smartphone è una nuova forma di dipendenza. Secondo recenti studi, due terzi delle persone ha paura di staccarsi dall’inseparabile compagno. Il cellulare scarico, fuori campo o connessione per una giornata intera crea disturbi assimilabili all’astinenza di chi è dipendente da alcol o droga: tremiti, senso di insicurezza e smarrimento. La sola considerazione da fare è che gli smartphone ci stanno condizionando la vita. Così, spesso ci capita di avere la sensazione che il cellulare abbia squillato o vibrato o che ci siamo persi un sms, salvo accorgersi, guardando lo schermo, di non essere stati cercati.
La dipendenza da smartphone
Secondo questi studi, si tratta di allucinazioni che colpiscono il novanta per cento di chi ne fa uso sistematico. Il che, peraltro, è alla base dei disturbi dell’attenzione tra gli adolescenti, l’87% dei quali già dispone di uno smartphone. Se a questi dati sommiamo quelli che riguardano lo sviluppo dell’attenzione, che risulta biologicamente deficitaria nei nostri ragazzi in età scolare, il fenomeno si presenta nella sua preoccupante dimensione.
Stando al report di un’indagine condotta in Spagna da esperti spagnoli dell’Istituto di Ricerca Neuro-Diagnostica di Marbella, infatti, una telefonata di appena due minuti interferisce con l’attività celebrale almeno per l’ora successiva. Specie nei bambini. E questo provoca
- difficoltà di apprendimento,
- perdita della concentrazione e
- alterazione dell’umore.
Negli adulti che siamo diventati, poi, questo è tutto tempo tolto a noi stessi, alla nostra famiglia, ai nostri obiettivi che, così, si allontanano sempre di più, innescando un circuito isterico di corsa al risultato che non arriva perché non riusciamo a stare nel presente.
Assecondiamo la dipendenza
Senza accorgercene, assecondiamo questa dipendenza. Tra stress e distrazioni di ogni genere, quante possibilità, del resto, abbiamo di mantenere l’attenzione per un tempo sufficiente, se tutto ci allontana dall’attimo presente? Ecco perché, al pari della creatività, essa va
- ricercata,
- coltivata,
- allenata e
- praticata.
Niente attenzione, niente concentrazione, niente traguardi. Per questo la creatività è la cura.
I deficit dell’attenzione
Per altra via, è un po’ quello che accade con i bambini a scuola, dove con grande frequenza si incontrano casi di scolari e alunni con (vera o presunta) diagnosi di ADHD (disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività). Infatti, proprio a scuola è il luogo in cui un lavoro sulla creatività viene avvertito come un bisogno per sostenere il comparto pedagogico. Ma troppo spesso, difficile da assecondare, per star dietro ai programmi ministeriali.
Immagino che sia anche vostra esperienza ma, se, ad esempio, l’insegnante urla alla classe di fare silenzio, il caos aumenta. O si placa per un po’ e poi ricompare. Ma se si utilizza creativamente il gioco a mediazione artistica (la pausa è una figura musicale), il conduttore ha maggiore facilità a far accettare una regola del gioco. E, a lungo andare, il bambino ingloberà i concetti di aspettare il proprio turno, rispettare quelli altrui, collaborare. E questo perché dovrà necessariamente fare attenzione per essere “nel gioco”.
Lo insegna la Musicoterapia.
Attenzione, memoria e apprendimento
Più siamo attenti ad un determinato stimolo, dunque, più elaborata e complessa sarà l’informazione che arriva al cervello e archiviamo nella nostra memoria. Parimenti, maggiore è l’attenzione che poniamo, migliore è l’apprendimento. Di conseguenza, è vero anche il contrario. Cioè, che a causa della nostra poca attenzione, apprendiamo con grande difficoltà.
E questo, naturalmente, perché da troppo e sempre più spesso viviamo con il pilota automatico, registrando quasi passivamente ciò che ci accade intorno, senza focalizzare l’attenzione sul momento presente.
Per questo ci impegniamo in più cose nello stesso momento, fidandoci un po’ troppo della nostra capacità di mantenere il controllo su tutto quello che facciamo nello stesso momento.
Il mito del multitasking
Quello di poter svolgere più compiti contemporaneamente, di essere, come si dice oggi, multitasking, è, però, solo un mito diffuso. Che, peraltro, attribuisce questa capacità prevalentemente alle donne. Studi recenti dimostrano, infatti, che quando cerchiamo di prestare attenzione a più cose nello stesso momento, il processo di comprensione di alcune di queste cose si interrompe di colpo, dal momento che il nostro cervello può concentrarsi su di un solo compito per volta.
Semmai, è ammissibile che chi ritiene di concentrarsi su più compiti nel medesimo momento ha una buona capacità di “tenerne in memoria” altri, tuttavia svolgendoli secondo una sequenza cronologica. Per passare dall’uno all’altro, tuttavia, necessitano alcuni secondi. E se usiamo lo smartphone mentre siamo alla guida, anche quell’attimo di distrazione può essere fatale. In una situazione di pericolo, è dimostrato che una persona distratta impiega mezzo secondo in più di una attenta a premere il freno. In questo spazio temporale, un’auto lanciata a centodieci chilometri orari percorre quindici metri in cui può accadere di tutto.
Inoltre, se guidiamo concentrati, riusciamo a vedere il 50% di cartelli e segnali stradali in più rispetto a chi si distrae in altri compiti alla guida.
Meglio evitare le distrazioni
E’, dunque, meglio lasciarsi guidare dai sensi o impegnarsi consapevolmente per evitare le distrazioni? In realtà, senza la prima opzione, la seconda è impossibile da praticare. In ogni istante l’attenzione si orienta naturalmente verso ciò che il cervello considera più importante. E c’è una grande differenza tra ciò che noi consideriamo importante e ciò che il nostro cervello considera allo stesso modo.
Jean-Philippe Lachaux, scienziato cognitivista francese, autore del best seller Le Cerveau attentif, consiglia di adottare una strategia più pragmatica:
- controllare l’attenzione,
- addomesticarla, invece di credere di poterla domare.
Lasciare che la nostra attenzione venga deviata da agenti esterni non impedisce, infatti, di tenere lo sguardo sugli obiettivi, a condizione di essere flessibili. L’importante non è raggiungere un’attenzione impermeabile a qualsiasi deviazione ma ammettere, consapevolmente, deviazioni ragionevoli che non facciano perdere di vista le cose che contano.
Di fronte alla valanga di informazioni da cui siamo costantemente bombardati, questa è la capacità più preziosa che dobbiamo preservare.
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