Per terapie non farmacologiche per la cura della demenza si intendono tutti quegli interventi fondati su terapie non chimiche e solide teorie. Si tratta, dunque, di interventi volti alla cura della persona nelle sua interezza, più che alla cura della malattia in sé. Interventi finalizzati alla valorizzazione delle potenzialità residue di ogni individuo per migliorarne la qualità della vita attraverso un rallentamento del decorso degenerativo della patologia.
Le terapie non farmacologiche
Le terapie non farmacologiche sono rivolte anche alle persone che si prendono cura più da vicino dei pazienti, i caregivers. La loro applicazione ha dimostrato che esse hanno una maggiore efficacia se rivolte ai pazienti e ai loro caregivers congiuntamente. Benché siano naturalmente previsti anche incontri esclusivi, allo scopo di valutare le strategie sinergiche più adatte all’approccio relazionale con persone con demenza.
Nell’ultimo ventennio, le TNF si sono notevolmente diffuse e sviluppate. Ciò essenzialmente per due motivi:
- da una parte, per via della limitata efficacia dimostrata dalla farmacoterapia.
- D’altro canto, perché i risultati ottenuti, rispetto a
- contenimento del progresso della malattia,
- rinvio dell’istituzionalizzazione,
- mantenimento dell’identità e della autonomia del paziente nel proprio ambiente di provenienza,
hanno favorito l’approfondimento e l’uso di tali interventi.
Efficacia degli interventi
Questi interventi, oltretutto, hanno nettamente ridotto i costi delle strategie terapeutiche volte alla cura della demenza, notoriamente molto elevati. Non che questo significhi che le TNF vadano applicate, nella demenza, in via esclusiva o in sostituzione delle terapie tradizionali. Ma la loro applicazione, di concerto con le terapie farmacologiche, accresce l’efficacia delle strategie a contrasto delle patologie degenerative.
Gli studi che, però, la confermano sono molto limitati, perché difficili da realizzare con persone affette da demenza, data l’elevata disomogeneità dei componenti i gruppi.
Resta, perciò, come metodologia prevalente, quella dell’osservazione clinica che ha, tuttavia, attendibilità più sul piano quantitativo che qualitativo. Per altro con il limite che vengano rispettati i parametri di base durante la scelta del modello applicativo più adeguato tra le varie possibilità, come, ad esempio:
- ROT, terapia di orientamento nella realtà;
- Validation Therapy, basata sui rinforzi emotivi;
- Arti Terapie, in particolare la Musicoterapia;
- percorsi con tecniche di narrazione creativa.
Demenza e narrazione di sé
Perché, infatti, un trattamento non farmacologico possa avere una alta probabilità di successo deve, innanzitutto,
- possedere le caratteristiche dell’abito su misura che possa essere indossato con facilità;
- in secondo luogo, deve essere scelto in base alle caratteristiche individuali del soggetto o dei soggetti a cui è rivolto (storia personale, gusti, posizione e funzione sociale).
Scelta dell’approccio
La demenza ha diverse fasi evolutive e manifestazioni cliniche che cambiano da paziente a paziente. Di esse bisogna tenere conto in fase di scelta dell’approccio. Oltre al fatto che l’intervento venga svolto
- in struttura residenziale o in casa,
- alla presenza costante di un caregiver (parente o esterno) o
- di un gruppo di caregivers che si alternano a fianco al paziente stesso nell’arco delle ventiquattro ore.
I trattamenti non farmacologici possono, così, essere pensati per
- intervenire sui disturbi cognitivi (amnesia, aprassia, afasia),
- potenziare e mettere ordine nella sfera emotiva o
- limitare difficoltà comportamentali che sono spesso importanti e complicano notevolmente il funzionamento sociale di tali pazienti.
TNF e Plasticità Neuronale
Sia le terapie farmacologiche che quelle non farmacologiche agiscono facilitando la plasticità neuronale. Se, dunque, in una area del nostro cervello alcuni neuroni muoiono, entra in azione una riserva naturale di neuroni che assicura la comunicazione tra le diverse aree, formando circuiti neurali alternativi. Tale riserva è costituita da quei dendriti apparentemente atrofici che, dietro stimolazione che attiva la formazione di proteine con funzione trofica, si mettono in connessione sinaptica con i nevriti appartenenti ad un’altra rete neurale.
Perché questo possa avvenire è, tuttavia, necessario che nel cervello di un paziente affetto da demenza sia presente una sufficiente riserva neuronale. Diversamente, una stimolazione inadeguata o sovradimensionata rischia di far morire i pochi neuroni ancora in vita.
Strategie per la demenza
La strategia, dunque, va scelta solo dopo la fase preliminare di valutazione per test delle risorse residue. Se c’è la conferma di essere di fronte ad un danno troppo esteso, appare più adeguato un trattamento che tenda a valorizzare la rete neurale emotiva sottocorticale.
O intervenire sui disturbi comportamentali per migliorare la qualità di vita e l’inserimento sociale, piuttosto che insistere con presunti interventi riabilitativi che avrebbero solo effetti contrari ai propositi.
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