Sembra incredibile ma, se siamo assorti in qualunque impegno che prende tutta la nostra attenzione, potremmo non accorgerci neppure di un gorilla che attraversa il nostro campo visivo. E che a noi, pertanto, risulta invisibile. Molto dipende dalle mappe di salienza e dal modo in cui riusciamo a fissare e, soprattutto, a mantenere l’attenzione su di un certo oggetto o su di un compito specifico per un determinato periodo di tempo. Come funziona, allora, la regolazione dell’attenzione? Alla domanda risponde il risultato di una ricerca, pubblicata nel numero di marzo 2012 del mensile di psicologia e neuroscienze Mente & Cervello, condotta da Jean-Philippe Laschaux, ricercatore presso il Centro di Ricerca in Neuroscienze di Lione e autore del libro “Le cerveau attentif”.
Siamo davvero attenti?
In linea di principio, tutti sappiamo benissimo cosa vuol dire fare attenzione e tutti ci consideriamo persone attente. Ma quando cerchiamo di interrogarci con precisione che cosa accada nella nostra testa quando dirigiamo l’attenzione verso un oggetto, una persona, un discorso, un’immagine o un’idea, il fenomeno diventa meno facile da spiegare. Probabilmente, la difficoltà maggiore risiede nel fatto che siamo contemporaneamente “padroni” e “schiavi” della nostra attenzione.
Riusciamo, infatti, a orientarla e focalizzarla su qualcosa ma spesso è solo questione di attimi, prima di essere attratti e catturati da eventi esterni. Chi riesce a dominare la propria attenzione, secondo questa ricerca, si dice che eserciti un controllo “dall’alto” o top-down: è quello che accade quando un individuo fissa deliberatamente la sua attenzione su di un obiettivo che egli stesso definisce. Se, viceversa, è l’ambiente esterno a catturare l’attenzione, si parla di meccanismo “dal basso” o bottom-up.
Le due diverse modalità si contendono
- il controllo,
- lo spostamento e
- la conservazione dell’attenzione.
Comprendere i loro rapporti di forza è, pertanto, fondamentale per recuperare adeguatamente la nostra attenzione quando si focalizza dove non vorremmo. Il mondo visivo al di fuori del campo dell’attenzione appare, infatti, come un caos disorganizzato di forme e colori, in attesa che l’attenzione lo assembli sotto forma di oggetti.
Il gorilla invisibile
In un esperimento del 2010, divenuto ormai un classico, dal titolo “Il gorilla invisibile“, lo psicologo statunitense Daniel Simons ha sottoposto ad alcuni soggetti la visione di un breve filmato nel quale un gruppo di persone giocava a basket. Senza che gli spettatori fossero avvisati, una persona travestita da gorilla compariva nel video, attraversava il campo da gioco, si fermava tra i giocatori, salutava e poi scompariva dalla parte opposta. Nel corso dell’esperimento, Simons ha potuto così osservare che la maggior parte degli spettatori non si accorgeva della presenza del gorilla quando veniva assegnato loro il compito di seguire attentamente la palla e contare il numero dei passaggi tra i giocatori.
Questo fatto sorprendente è spiegabile con il legame esistente tra
- attenzione,
- percezione e
- memoria.
Un eccesso di informazioni
Il sistema visivo riceve continuamente, infatti, molte più informazioni di quante poi riesca effettivamente ad elaborarne. Evidenza da cui derivano due considerazioni.
- La prima è che, se il gorilla fosse stato dipinto di rosso, tutti l’avrebbero notato.
- La seconda è che, se i soggetti fossero stati avvertiti della presenza di un gorilla, tutti l’avrebbero individuato.
Nel primo caso, una caratteristica ambientale (il rosso) ha il potere di attirare l’attenzione degli spettatori. Nel secondo, l’attivazione del concetto di ”gorilla” nel campo della coscienza degli osservatori guida la loro attenzione. Questa seconda riflessione, peraltro, rimanda al rapporto tra
- intenzione (letteralmente, tensione verso l’interno) e
- attenzione (letteralmente, tensione verso l’esterno).
Il processo di attenzione viene sempre innescato, infatti, proprio dall’intenzione. Cioè, da tensione verso l’interno, momento in cui
- informazioni specifiche,
- indizi particolari,
- colori,
- suoni o
- forme,
provenienti dal mondo circostante, vengono inviate al nostro cervello nel modo in cui egli se le aspetta.
Per dirla con parole semplici, gli scienziati affermano che vediamo sempre quello che ci aspettiamo di vedere e che l’osservazione libera, aperta e oggettiva è abbastanza rara.
Le mappe di salienza
Gli oggetti che appartengono al mondo intorno a noi catturano la nostra attenzione inizialmente con le loro caratteristiche fisiche: un oggetto che spicca per luminosità, colore, forma o movimento ci attira quasi naturalmente. E’ così che un oggetto viene definito “saliente”, come nel caso delle ciliegie mature su di un albero. Ma altri fattori possono contribuire a rendere saliente un oggetto, come, ad esempio, l’emozione che può suscitare. Ognuna di queste proprietà viene presa in considerazione dal cervello per costruire, istante per istante, una “mappa di salienza” del nostro ambiente.
Le mappe di salienza sono stabilite sulla base di proprietà visive come le discontinuità dell’immagine. Così,
- discontinuità cromatiche,
- un oggetto in movimento su uno sfondo statico,
- zone più luminose
spiccano e catturano l’attenzione. La loro forza d’attrazione è di gran lunga superiore a quanto non accada per immagini
- fisse,
- statiche e
- cromaticamente continue.
La lista della spesa
Il motivo è che proprio queste speciali mappe orientano e indirizzano lo sguardo e, di conseguenza, ciò che cattura l’interesse del nostro cervello. Tuttavia, se tutto potesse essere ricondotto ai meccanismi di funzionamento delle mappe di salienza, sarebbe impossibile, ad esempio, trovare sugli scaffali del supermercato il panetto di burro che abbiamo in mente di acquistare e abbiamo annotato nella lista della spesa.
Non è per niente detto, infatti, che la sua confezione abbia le caratteristiche che lo rendono “saliente”. Spesso, in effetti, proprio la confezione del burro è completamente bianca ma noi riusciamo a trovarla ugualmente in mezzo ad almeno altre dieci marche. Questo fatto dimostra che coesistono diverse influenze nel nostro cervello, le cui azioni congiunte e sincroniche guidano l’attenzione.
Nel caso in esempio, saranno quelle di tipo top-down che ci permetteranno di arrivare in fondo alla lista delle confezioni da acquistare. Più o meno allo stesso modo funziona tutto quello che ci colpisce dell’ambiente circostante, inclusi gli spot televisivi che, oggi più che mai, fanno leva proprio su questo principio.
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