Simbolo ricorrente dell’immaginario letterario ed iconografico occidentale, lo specchio ha una forte valenza simbolica nella fiaba. E’ l’aiutante magico dell’analisi strutturale di Propp ma è, al tempo stesso, medium del confronto con se stessi che prende vita per il solo fatto di riflettere ciò che entra nel suo campo visivo. Retaggio del fascino ambiguo del “doppio sé”, rappresenta le parti profonde che parlano, senza veli e senza maschere, ai protagonisti.
Origini della fiaba
La fiaba nasce dal rito di iniziazione. Ha, dunque, origini sacre che rispettano un canovaccio molto conosciuto. Nelle tribù primitive, infatti, l’adolescente viene accompagnato nel centro della foresta (nella fiaba è la funzione del viaggio) dallo stregone, il capo del villaggio, il quale gli assegna un compito (l’eroe è comandato). Per superare le avversità (difficoltà), egli riceve le armi con cui difendersi (l’eroe riceve l’aiuto magico) e farà ritorno a casa (il ritorno dell’eroe) solo dopo aver sconfitto le sue paure (l’antagonista) ed essere diventato uomo. Tramontato nel corso dei secoli il rito, della fiaba resta il racconto.
Dal sacro è come se, dunque, essa sia caduta nel mondo degli uomini e, a sua volta, da lì, nel mondo dei bambini, con tutti i suoi oggetti simbolici.
Ma, ogni volta che essa rivive, è come se si ripristinasse quel ponte con il bambino preistorico che è sempre vissuto in quel racconto, potremmo dire, a livello di inconscio collettivo. Nella fiaba, sono, dunque, la storia, la cultura e le vicende di un intero popolo che si ridestano grazie a personaggi e a oggetti evocativi, come lo stesso specchio. Da qui le sue poliedriche funzioni.
Lo specchio: prima riflette e poi parla
Per questo, esso compare indifferentemente come interlocutore tanto del sapiente, quanto del folle. E rappresenta una presenza che può rivelarsi inquietante non meno che attraente. Nella sua totipotenza, può
- consolare,
- punire,
- accusare,
- consigliare,
- aiutare,
- impaurire,
- rimproverare,
- premiare.
Qualsiasi cosa, secondo quanto aderente sia l’immagine che ognuno ha di sé rispetto ad una riproduzione fedele o illusoria della realtà.
Facile intuire, pertanto, che per entrare nella metafora dello specchio, quando si scriva una fiaba, come nel Metodo Autobiografico Creativo con la tecnica della fiabazione, spetta all’autore dipanare la matassa di simboli che vi si celano dietro per individuare significati che gli permetteranno di approdare alla consapevolezza.
L’oggetto magico
Il ruolo più comune che lo specchio ha nei racconti di fiaba è di “oggetto magico”, cioè di oggetto simbolico con doti straordinarie che possono offrire un “aiuto magico”.
Ma, nel linguaggio simbolico, occorre anche rammentare che l’immagine riflessa dallo specchio è ribaltata simmetricamente. Cioè, non è affatto detto che l’immagine che restituisce sia quella fedele, lasciando all’osservatore di vederci dentro ciò che diventa funzionale ai precetti educativi della storia.
La matrigna, elegantemente agghindata da regina, vedrà, così, l’immagine riflessa di una consigliera fraudolenta, mentre l’eroe verrà premiato da un magico consiglio.
Lo insegnano le fiabe
Mai guardarsi allo specchio, dunque, se non si è pronti alle sorprese. O se si teme di vederci riflessa l’immagine che più spaventa di sé: la parte in ombra, quella negata, l’antagonista. Peggio, se si ha paura di un confronto con se stessi o che l’immagine riflessa sia quella che gli altri vedono prima e meglio di noi. Il dualismo tra percezione e giudizio (si può amare la propria immagine ma la si può anche rifiutare) sposta la scena nello spazio, dal piano di realtà a quello dell’immaginario, del sogno, delle visioni, e nel tempo, dal momento presente all’eternità.
Guardare se stessi e guardare in se stessi, in fondo, non sono affatto la stessa cosa. E l’azione non finisce con una sbirciatina a ciò che ci sia aspetta di vedere riflesso.
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