Nell’emisfero sinistro, secondo le ricerche, è localizzato il senso della musica. Ma non tutti percepiscono gli eventi musicali allo stesso modo. Perché? In un articolo precedente mi sono occupato della ricerca del centro cerebrale della musica. Ma, separando la specificità dei due emisferi cerebrali, in base a quale sia quello dominante in ognuno, nell’ascolto analitico o complessivo, è apparso chiaro che non esistono condizioni universali che siano comuni a tutti. Anche perché, lo sviluppo di quel centro della musica sembra molto differente in chi possiede chiare competente musicali, rispetto ai neofiti o a chi ne sia del tutto digiuno.
Tra musica e terapia
Dal punto di vista neurofisiologico, la meccanica dell’ascolto musicale è chiara e comune a tutti. Per decodificare le onde sonore come musica abbiamo bisogno dell’apparato sensoriale dell’orecchio e dei suoi collegamenti con il cervelletto e con la corteccia uditiva.
Detto questo,
- le capacità di decodificare la musica dipendono dalle competenze musicali di ognuno;
- la somma di tutte le esperienze musicali dell’individuo ne influenzano il modo di percepire la musica;
- le emozioni provocate dalla musica la rendono ancora più personale e soggettiva.
Quindi, si allontana l’idea che la musica, come impropriamente sostengono alcuni, possa sostituire o essere essa stessa una terapia. Lo è, in effetti, ma nel modo corretto in cui, in tal senso, si esprime certa Musicoterapia, quella ad orientamento psicodinamico, ad esempio. Altre correnti sostengono tuttavia che la Musicoterapia abbia diritto di essere annoverata tra le professioni sanitarie, viceversa, proprio sulla scorta delle evidenze che spiegano i suoi effetti sull’organismo.
Pertanto, adesso che è più chiaro che lo stesso effetto ottenuto con una persona non può essere replicato con certezza scientifica anche con altre, data la complessità del processo delle informazioni musicali, se ne apprezzano le evidenze che rendono efficace una terapia ad personam. Senza la velleità che si possa arrivare a farne una scienza esatta.
Alla domanda se, dunque, esista un centro della musica la risposta è sì, dal punto di vista neurofisiologico. Ma, dal punto di vista psicologico, esso si sposta lungo tutta l’esperienza musicale di ogni singolo individuo.
Emisfero sinistro e senso della musica
Le indagini di matrice neurofisiologica, fondate su dati clinici e sperimentali, hanno confermato l’esistenza di un centro cerebrale della musica. Più difficile è localizzarlo. La conclusione che più si avvicina alla verità è che esso, nei destrimani, ha sede nell’emisfero sinistro, in corrispondenza con i centri del linguaggio.
Il linguaggio, infatti, ha un ruolo di primo piano in musica per diverse ragioni.
- Esistono strette interconnessioni con la lettura e la scrittura musicale.
- Il linguaggio interviene nel riconoscimento di un’aria cantata (limitatamente a titolo, nome del compositore e movimenti dell’opera).
- E’ fondamentale nella percezione dei ritmi.
- Ha un suo ruolo fondamentale nella conservazione dei ricordi di natura musicale. Mettendo a confronto test di musicisti con test di non musicisti, si nota, ad esempio, che nell’emisfero sinistro si registra una maggiore attività elettrica (neuroni in funzione) nel caso dei musicisti, il cui atteggiamento spontaneo rispetto all’ascolto è analitico, contro un ascolto complessivo dei non musicisti.
Il recettore della musica
In tutto questo, anche l’emisfero destro ha il suo ruolo. Anche se è, più specificamente, quello di “recettore” della musica. Cioè, con l’emisfero destro noi captiamo le melodie. Tale capacità, infatti, resta intatta nel caso di lesioni nell’emisfero sinistro, con conseguente alterazione delle funzioni del linguaggio. A dimostrazione, del fatto, quindi, che l’emisfero destro è un supporto di un ascolto complessivo, prevalentemente impegnato nell’afferrare le linee melodiche di un brano, al di là del suo coinvolgimento prevalente nella decodifica della portata emozionale del messaggio.
Secondo gli studi di Eckart Altenmuller, Gundhild Liebert e Maria Schuppert, dunque, l’emisfero cerebrale destro permetterebbe:
- il riconoscimento di semplici arie;
- il riconoscimento di melodie familiari, tonalità e timbri di strumenti;
- la riproduzione del canto nella sua espressione melodica e nella modulazione della voce (mentre non interviene nella riproduzione delle parole dello stesso canto);
- l’apprendimento di nuove arie e la loro riproduzione.
L’apprendimento musicale
Sentire, ascoltare e capire, sono i tre “percorsi” dell’apprendimento musicale permessi dall’organizzazione del nostro sistema nervoso centrale. E questo vale per tutti, indipendentemente dal livello delle competenze musicali. È per questo che lo studio dei dati neurofisiologici, basato sugli effetti cerebrali degli ascolti musicali, conduce alla conclusione dell’esistenza di centri universali della musica. Ogni essere umano che abbia un sistema nervoso centrale integro, ha, infatti, la stessa possibilità di recepire il messaggio sonoro. Se la musica fosse soltanto un linguaggio codificato secondo caratteri analizzabili a livello dei centri nervosi, solo i soggetti di un medesimo livello culturale farebbero registrare lo stesso livello di recettività. Ma la musica è linguaggio degli affetti e funziona con tutti.
Certo, però, che una cosa è la neurofisiologia dell’ascolto della musica, altra cosa sono i dati psicologici che permettono di capire perché la ricettività differisce da un soggetto all’altro. I suoni, le vibrazioni trasmesse dall’orecchio alla corteccia cerebrale si trasformano in emozioni in tutti gli esseri umani. Eppure l’intensità e la natura di queste risposte non saranno uguali per tutti i soggetti sottoposti all’ascolto di uno stesso brano musicale.
Cioè, potrebbero esserlo ma
- non è un regola che lo siano, anche se i soggetti hanno la stessa cultura musicale;
- è molto più facile che le risposte siano differenti.
Effetti diversi della musica sul cervello
Così,
- un soggetto in perfetto stato di rilassamento muscolare, tradurrà la sua emozione in immagini visive.
- Un altro sarà pervaso da sensazioni di astratta bellezza.
- Ad un terzo affioreranno ricordi, mentre
- ad un quarto verrà spontaneo muoversi al ritmo di quella musica.
Da queste differenze tra individui deriva il tipo di recettività che rende unica e personale l’esperienza musicale. Come unica e personale è la musicoterapia che si rende necessaria nel caso di interventi riabilitativi e terapeutici.
Se, dunque, è vera l’affermazione “a ciascuno la propria musica”, è altrettanto vera quella secondo cui “a ciascuno la propria musicoterapia”. Conosciamo, infatti, le premesse scientifiche alla musica che cura. Bene: declinarle in base al gradimento e all’esperienza personale amplifica gli effetti di interventi mirati per il benessere delle persone.
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