La ricerca di un “centro della musica” nel cervello umano era iniziata già nel XIX secolo con l’osservazione di pazienti cerebrolesi. Benché le indagini con gli strumenti disponibili servirono a confermare che l’emisfero sinistro è la sede dove viene elaborato il linguaggio, restò un mistero dove venisse elaborata la musica. I casi di pazienti con postumi da ictus fecero registrare la perdita delle capacità musicali, indifferentemente, tanto in pazienti colpiti nell’emisfero destro che sinistro.
Ascolto analitico e ascolto complessivo
Avendo, tuttavia, registrato che parametri musicali come timbro e ritmo potevano interessare entrambi gli emisferi, apparve illuminante lo studio del 1990 di Isabelle Peretz dell’Università di Montreal che propose un approccio differente rispetto alla ricerca.
La Peretz, infatti, fu la prima a proporre la differenza fra un ascolto analitico ed uno complessivo.
La scoperta fu sensazionale. I pazienti con lesione dell’emisfero sinistro seguiti dalla scienziata presentavano, ad esempio, difficoltà ad elaborare melodie con variazioni per singoli intervalli (difficoltà nell’ascolto analitico). Viceversa, quelli con lesioni dell’emisfero destro, presentavano difficoltà a distinguere linee melodiche diverse tra loro (difficoltà nell’ascolto complessivo).
Se vogliamo, specie nella concezione di una netta separazione tra emisferi, dominante fino a trenta anni fa, la differenza tra i due ascolti rispecchiava la specificità attribuita alle diverse aree cerebrali.
- Emisfero sinistro, associato all’analisi delle strutture musicali (ascolto analitico).
- Emisfero destro, associato al messaggio emotivo veicolato dalla musica (ascolto complessivo).
Il centro cerebrale della musica
La Peretz ne dedusse la naturale funzione, danneggiata in pazienti cerebrolesi, dell’emisfero sinistro ad elaborare la musica in modo analitico e di quello destro in modo complessivo.
Gli studi e le ricerche successivamente condotte da Eckart Altenmuller e Maria Schuppert non hanno potuto confermare in pieno le evidenze della Peretz. Il motivo, secondo i due ricercatori, è che nella pratica non è sempre detto che pazienti che abbiano subito un ictus nell’emisfero sinistro o destro reagiscano alla percezione della musica secondo uno schema prestabilito.
Dunque, in linea di principio, la percezione della musica segue un ordine gerarchico:
- Emisfero sinistro: ascolto analitico, responsabile di elaborazione di intervalli e ritmo.
- Emisfero destro: ascolto complessivo, responsabile della percezione del tempo e della melodia.
Infatti, se il danno è a sinistra, i pazienti non percepiscono il ritmo o il susseguirsi delle note. Se il danno è a destra, essi non percepiscono o solo il contorno e il motivo musicale oppure solo il tempo ed il ritmo.
Emisferi specializzati
Dunque, ciò equivale a dire che l’emisfero destro afferra una struttura approssimativa della musica durante un ascolto, demandando alla parte sinistra il compito di eseguire un’analisi accurata.
E fin qui la Peretz aveva già aperto questi scenari. Ciò che cambia adesso è l’impossibilità di una rigida interpretazione dei fatti musicali alla luce delle sue ricerche.
I risultati ottenuti con le ricerche sulle basi anatomiche e neurofisiologiche della musica sono, infatti, molto contraddittori per via della complessità della musica per il rimaneggiamento dovuto all’esperienza personale.
Quello che si sa è che la percezione iniziale della musica (altezza e volume, strutture semplici) è universale, mentre l’elaborazione superiore è più complessa e personale e varia da soggetto a soggetto.
Per i musicisti dotati di “orecchio assoluto”, ad esempio, la circonvoluzione del lobo temporale posteriore superiore è più sviluppata e, quindi, più grande nell’emisfero sinistro.
La percezione della musica
Quanto sia modellabile la percezione musicale è possibile constatarlo già dopo poche ore d’ascolto. Christo Pantev, ricercatore dell’Università di Munster, ha rilevato che la Corteccia Uditiva Primaria e Secondaria già dopo tre ore d’ascolto non reagisce attivamente a certe frequenze. Viceversa, molti anni di addestramento portano ad una maggiore attività nell’area direttamente collegata alle competenze personali sviluppate. Per questo un sassofonista è più reattivo alle note di uno strumento a fiato di un violinista.
Parimenti, anche la capacità di ascoltare “musica proveniente” può essere allenata. Basti pensare ai direttori d’orchestra che, più dei pianisti, localizzano le sorgenti laterali.
Gundhild Liebert, studioso di “neuromusica“, ha analizzato le trasformazioni prodotte dall’educazione all’ascolto e dalle lezioni di musica nelle aree cerebrali coinvolte nella percezione musicale.
Lo studio è stato condotto su di un campione di
- 32 giovani musicisti,
- sottoposti a 140 ascolti
- di 2 secondi ciascuno,
- intervallati da un tempo di post-ascolto interiore di mezz’ora.
Durante tutto il tempo dell’esperimento, gli stessi erano collegati ad EEG per rilevare l’attività delle popolazioni di neuroni.
I 140 ascolti proposti erano tutti accordi e l’obiettivo era di discriminare quelli
- maggiori,
- minori,
- diminuiti e
- aumentati
e di registrarne l’attività neurale associata.
Dopo la prima fase, una parte degli studenti riceveva lezioni di educazione all’ascolto con l’obiettivo di imparare meglio gli accordi diminuiti ed aumentati. Nella prima sessione d’ascolto con l’EEG risultavano attive le regioni frontali e temporali di entrambi gli emisferi. Attività che risultava minore in quelli che non avevano ricevuto lezioni d’ascolto.
Quelli che, invece, avevano ricevuto lezioni non solo manifestavano maggiore facilità ad individuare gli accordi ma anche una maggiore attività nelle regioni cerebrali che connettono la percezione sensoriale all’immaginazione motoria. Tali studenti riferirono che per riuscire nell’esercizio durante la fase del post-ascolto interiore avevano immaginato la diteggiatura sul pianoforte.
Oltre il suono
Ecco: l’ascolto della musica non è percepito solo come suono.
Quando siamo ad un concerto, oltre ad ascoltare, abbiamo anche una percezione visiva e tattile, specie nei passaggi più intensi. Se siamo noi a suonare un brano, lo percepiamo come una sequenza di percezioni motorie. Se lo studiamo, lo registriamo in modo simbolico.
In altre parole, ognuno ha un proprio sistema mnemonico attraverso cui memorizza la musica.
All’ascolto musicale il cervello crea delle connessioni. Per scoprire quanto tempo impiega a creare queste connessioni, Marc Bangert ha misurato l’attività cerebrale di alcuni soggetti non esperti in musica in due diverse situazioni:
- il gruppo in un primo momento ascoltava semplici melodie per pianoforte. Successivamente suonava casualmente una tastiera spenta, con movimento quasi assente.
- In un secondo momento, con l’ascolto di una melodia di pianoforte, doveva riproporre il brano ascoltato sulla tastiera, questa volta accesa ed ascoltando la melodia fino ad impararla.
La registrazione dell’attività cerebrale ha fatto rilevare, già dopo venti minuti di esercizio, una variazione nelle regioni uditive e tattili. Dopo tre settimane, all’ascolto della musica per pianoforte si attivavano le regioni psicomotorie, senza che i soggetti muovessero le mani.
Le mappe di attivazione cerebrale di questo gruppo di non musicisti apparivano identiche a quelle di musicisti professionisti. E, cosa ancor più sorprendente, dopo un anno di inattività musicale, l’esperimento ha fatto registrare che le mappe d’attivazione all’ascolto della musica erano rimaste invariate.
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