Intelligenza emotiva è definita la capacità di collegare opportunamente le emozioni ai processi di pensiero, affinché le scelte adottate, in situazioni di stress, siano le più efficaci e funzionali possibile. E, di conseguenza, le migliori adottabili. L’intelligenza emotiva può essere spiegata con una semplice formula: “Se mi trovo davanti ad una scelta, valutando opportunamente la ricaduta delle sue conseguenze sulla mia sfera emotiva (e anche su quella altrui), potrò decidere se sia o meno la decisione più giusta da assumere.”
Storia dell’intelligenza emotiva
La teoria sugli aspetti non intellettivi della personalità, che concorrono all’intelligenza complessiva di un individuo, vede la luce nel 1934 ad opera dello psicologo di origini rumene David Wechsler sulla scorta delle ricerche sull’intelligenza sociale di Edward Lee Thorndike. Ricerche che, di fatto, anticipano gli studi sull’intelligenza emotiva.
Pur avendo, così, gettato le basi su cui il contemporaneo Daniel Goleman ha costruito il suo modello sulle diverse forme d’intelligenza, l’esistenza di un quoziente emotivo (EQ) fu per lungo tempo supposto solo su di un piano empirico. Non essendo, infatti, definibile, né misurabile in scala, per alcuni decenni restò nell’idea che esistesse per contrapposizione all’intelligenza comunemente intesa (e misurabile in termini di QI).
Fino a quando non fu pubblicato l’Alpha di Cronbach, un indicatore statistico utilizzato nei test psicometrici e ideato nel 1951 dal pedagogista statunitense Lee J. Cronbach. Indicatore che, tuttavia, poteva fornire unicamente delle informazioni circa l’attendibilità della misurazione di più risultati osservati a parità di condizioni.
L’intelligenza intrapersonale
Intorno al 1980 compare, ad opera di Howard Gardner, lo studioso delle intelligenze multiple, il termine di intelligenza intrapersonale, molto simile all’attuale intelligenza emotiva. Gardner la colloca affianco ad altre forme d’intelligenza che concorrono a determinare l’intelligenza complessiva di una persona.
Un decennio più tardi, gli studi del neuroscienziato portoghese Antonio Damasio introducono il concetto attuale di intelligenza emotiva. “Ci sono prove convincenti che emozioni e ragione sono intrinsecamente inseparabili”, sostiene, infatti, Damasio. Ciò grazie all’identificazione delle aree neuronali implicate nei processi emotivi e la dimostrazione del ruolo esercitato dalle emozioni nei processi decisionali.
Famoso, in tal senso, il suo esperimento sui giocatori d’azzardo, attraverso il quale dimostrò che la scarsa capacità di provare emozioni produce decisioni spesso errate e controproducenti per chi le assume. Come dire che l’incapacità di cogliere le conseguenze emotive delle decisioni ha maggiori probabilità di indurre ad errori di quanto non accada con chi valuta attentamente le conseguenze emotive delle proprie scelte.
Intelligenza emotiva e relazioni
Negli stessi anni (siamo nel 1990), gli scienziati Peter Salovey e John D. Mayer per la prima volta introducono il concetto di intelligenza emotiva come modulatore delle relazioni, oltre che degli stati d’animo individuali. Per i due scienziati, essa è “la capacità di riconoscere e tenere sotto controllo i sentimenti propri e quelli degli altri, per discriminare tra di essi, e di usare queste informazioni per guidare pensiero e azioni”.
Salovey e Mayer propongono un modello di intelligenza emotiva che prende spunto da ricerche sulle interazioni tra emozioni e pensiero e che si fonda su quattro capacità di base:
- percepire le emozioni;
- utilizzare le emozioni per facilitare il ragionamento;
- comprendere le emozioni;
- gestire le emozioni in se stessi e negli altri.
Parte dell’indagine svolta riguardava gli effetti della depressione sulla memoria, sulla capacità di manifestare le emozioni e l’espressione mimica ad esse associata.
Il contributo di Paul Ekman
Va detto che gli studi di gran parte degli scienziati che hanno condotto ricerche sull’intelligenza emotiva a partire dagli anni ’90 del secolo scorso hanno una matrice comune: le ricerche e le dimostrazioni sul campo di Paul Ekman. Appartiene a Ekman, psicologo americano, l’indagine più celebre sul carattere universale delle emozioni. E l’affermazione secondo cui “percepire le emozioni aiuta a riconoscerle negli altri”, nonostante l’esperienza personale possa, in taluni casi, alterare questa percezione.
Esplicativo, in tal senso, il suo esperimento su bambini vittime di abusi che riconoscevano rabbia in ogni espressione mimica, benché venissero loro proposte foto di trasformazioni di emozioni. Esperimento simile e contrario a quello di Alice Isen, a cui si deve la dimostrazione che le emozioni positive facilitano l’esecuzione di compiti complessi.
A che serve?
Può essere, dunque, considerato un comportamento emotivamente intelligente quello assunto in previsione di una risposta, atteso che il suo contrario finirebbe per generare conseguenze dolorose. Eccone degli esempi:
- calmarsi davanti ad una preoccupazione inutile;
- gestire positivamente un momento di rabbia;
- distrarre la mente da un’emozione negativa, inviandole messaggi rassicuranti.
Per questo l’atteggiamento di chi delinque, dimenticando di dover accudire dei figli piccoli da cui verrà separato appena finito dietro le sbarre, giustifica il collegamento tra la criminologia e la psicologia. Le quali studiano lo stato patologico di fondo di chi non valuta opportunamente le conseguenze delle proprie azioni, sia in termini di sofferenza arrecata a se stessi, sia in termini di dolore e danno provocato agli altri.
Salvaguardare le relazioni
Così, se il mio intento è salvaguardare una relazione a cui tengo particolarmente, terrò a bada un accesso d’ira per un momento, ad esempio, di gelosia, trovando dentro me stesso le ragioni per placare quell’emozione.
Ritorna, dunque, il nodo della consapevolezza emotiva.
In che modo, infatti, possiamo eseguire una valutazione delle ricadute emotive di un comportamento (fisico o verbale) se non possediamo il giusto vocabolario? Ecco perché, le persone emotivamente intelligenti posseggono una buona conoscenza di sé e sanno governare le proprie emozioni. Capacità che può essere acquisita e affinata all’interno di idonei percorsi di crescita personale come quello del Metodo Autobiografico Creativo.
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