Un trentenne di oggi potrà smettere di lavorare solo verso i 70-75 anni e riscuoterà un assegno inferiore di almeno un quarto a quello dei suoi genitori. Questa considerazione, espressa da Presidente dell’INPS, Tito Michele Boeri, in un articolo pubblicato da Panorama ad inizio 2017, ben riassume la condizione di estrema incertezza nella quale si trova a vivere un giovane d’oggi. Certo è che basta guardarsi attorno per farsi un’idea su tutti quei cambiamenti che, investendo il mercato del lavoro, finiscono inevitabilmente col travolgere la vita dei cittadini italiani. Pensiamo a quanto siano cambiati gli stili di vita dei ragazzi del nostro tempo.
Un esempio
Parliamo di Paolo, nato nei primi anni Novanta. A venticinque anni si ritrova con una laurea Triennale in Scienze Informatiche e nel bagaglio un bel po’ di attestati di corsi di formazione e aggiornamento. Nessuna esperienza sul campo. Teoria da vendere. Un posto di lavoro? Un’utopia.
Perciò, Paolo, dopo aver vissuto con altri studenti fuori sede in una vecchia casa, pagando un affitto di circa € 300,00 al mese, nella sua città universitaria, ecco che si trova costretto a tornare a vivere con mamma e papà. Paolo, infatti, i soldi per mantenersi non ce li ha, figurarsi poi per pagare affitto, bollette e quant’altro. Lui ha solamente molti sogni che non riesce a realizzare.
Nel 2041
Facciamo un salto nel tempo per scoprire cosa lo aspetta. Siamo nel 2041. Adesso ha 45 anni e uno stipendio netto di € 1.600,00 al mese. Lavora da vent’anni, passando da un impiego all’altro e da una formula contrattuale all’altra. In questo modo ha accumulato così tanti buchi contributivi da essere costretto a lavorare per i prossimi trenta.
Vive ancora con i suoi perché gli affitti, si sa, sono uno spreco di denaro e bisogna sempre risparmiare “che non si sa mai nella vita”. E poi l’idea di acquistare una casa di proprietà non gli passa nemmeno per la testa. Del resto, quale banca gli concederebbe un mutuo? Per questo non si è sposato. E’ ancora troppo presto. E date le tante le incertezze, di certo non può pensare di mettere al mondo dei figli con la sua fidanzata di tutta la vita.
E quindi nulla.
Ci pensano mamma e papà
Fortunatamente ci sono i genitori di Paolo a sostenerlo. Lo mantengono, per la precisione. Loro sì che, grazie al posto fisso, hanno potuto comprare casa e mettere da parte un bel gruzzoletto, sposarsi, mettere al modo figli e togliersi più di qualche sfizio.
Così, quando Paolo si guarda indietro non può che constatare che la sua vita da adulto è esattamente come quella di uno studente fuoricorso. E non si prospetta nulla di buono.
Ed eccoci nel 2071
Facciamo un altro salto nel tempo. Siamo nel 2071. Paolo ha raggiunto gli ottant’anni e dopo una lunga vita di sacrifici e continue rinunce, ecco che percepisce una pensione di € 814,00. Incassa, dunque, dall’INPS poco più del 50% della sua ultima retribuzione. Tutto il resto è disperazione.
La condizione di Paolo è quella nella quale si potrebbe immedesimare qualsiasi giovane del nostro tempo. Ciò che emerge dall’analisi, infatti, è una prospettiva di precarietà costante in continua crescita e quel che è più allarmante è che riguarda praticamente tutti. Diminuiscono le garanzie mentre continuano a scemare le opportunità.
Abbandonato il sogno del posto fisso e smantellata la prospettiva di un sistema pensionistico retributivo, non si può che constatare che i giovani d’oggi vivranno in una condizione peggiore rispetto a quella dei propri genitori. E’ certamente quella che potremmo definire una totale inversione di tendenza ma è così.
Un Paese per vecchi
La questione, se può consolare, non è circoscritta all’Italia o all’Europa. Secondo quanto riportato, infatti, dallo statunitense National Institute On Aging, entro il 2020 il numero di uomini e donne con più di 65 anni sarà nettamente superiore a quello dei bambini con meno di 5 anni. Entro il 2040 gli ottantenni saranno più del 233% rispetto ai bambini di oggi. Tutto ciò non fa che generare gravi gap generazionali carichi di insoddisfazione e frustrazioni.
Che fare? Saltare giù dalla nave prima che affondi. Ovvero, andare in mare aperto con i propri mezzi. Il vantaggio è che i bravi marinai si potranno togliere grande soddisfazioni.
Arriva il lavoro agile
Quindi, Boeri è stato profetico. Ecco, infatti, che arriva, in tutta risposta, il lavoro agile.
Lo chiamano anche lavoro smart ed è figlio primogenito in Italia di una ventata di freschezza che arriva d’oltre oceano. Lavorare per obiettivi e non più ad orario: di questo si tratta. E’ la New Economy e per un po’ di tempo convivrà con i vecchi stilemi. Ma quando a tutti sarà chiaro che è l’unica via, sarà pronta a soppiantare definitivamente la Old Economy che ci ha portati fin qui.
A chi conviene?
Un modo di pensare e di agire che conviene
- alle imprese, poiché possono concordare obiettivi da raggiungere per i propri dipendenti. Evitando, in tal modo, sprechi di risorse davanti ad un assistenzialismo e ad un “dirittivismo” ancora dominanti.
- Conviene al lavoratore, poiché, con i risultati raggiunti, potrà guadagnare molto di più di adesso. E coltivare le proprie ambizioni, stroncate dal monotono lavoro d’ufficio.
- Conviene all’economia generale, poiché un suo rilancio può dipendere solo dai risultati e dal benessere delle imprese.
Stiamo andando verso la gestione del Paese e delle Pubbliche Amministrazioni come aziende. Personalmente, è la mia idea da oltre vent’anni. Così, nei prossimi anni ci sarà sempre più gente che sceglierà di mettersi in proprio, seguendo la via dell’impresa privata. Purché etica.
In troppi, però, aspettano il momento giusto. Ma esiste davvero un momento giusto? E questo, allora, cos’è se non il migliore tra i “momenti giusti” per passare all’azione?
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