Scrive Oliver Sacks, il celebre neurologo britannico nella foto, autore di Musicofilia (Adelphi, 2008): “La musica è fondamentale in tutte le culture e probabilmente risale agli albori della nostra specie. Questa muscofilia è un dato di fatto della natura umana. Per essere sviluppata o plasmata dalla nostra cultura, dalle circostanza o dai talenti. Ciò nondimeno è radicata nella nostra natura al punto da considerarla innata, al pari della biofilia, il sentimento verso gli altri simili”. Se, dunque, esistono correlazioni tra la musica e i suoi effetti sull’organismo, siamo di fronte ad una scienza? Inoltre, se ciò è vero, in che modo la moderna Musicoterapia ne sfrutta il potenziale e le evidenze? Provo a rispondere in questo viaggio alle origini del concetto stesso di Musicoterapia.
La Musica e la cura
Il rapporto tra la Musica e la cura è da sempre esistito. Nella mitologia di ogni popolo, infatti, la Musica viene rivelata o trasmessa all’uomo da esseri soprannaturali ed è, come tale, considerata portatrice di poteri magici. Molti miti sono incentrati sul potere magico della Musica: secondo i Greci, Apollo, Dio della guarigione e della Musica, produceva armonia nei cieli con i suoi movimenti ritmici. Orfeo, un suo figlio, curava il corpo e l’anima con la Musica e con la medicina e riportò in vita l’amata Euridice con il suo canto.
La convinzione dell’esistenza di un suono originario che governa e ordina l’Universo non appartiene alla sola cultura classica antica ma è anche il fondamento di tutte le filosofie musicali esoteriche.
Non pochi sono gli esempi di miracolose guarigioni nel corso della storia, tra Mito e Religione, per effetto della Musica. Nelle isole Aleutine ancora oggi si racconta del miracoloso risveglio dalla morte di un uomo grazie al potere magico del canto dell’amata. Ancora, alcuni secoli fa, i Jessakid, antichi medici dell’odierno Canada, eseguivano le pratiche mediche accompagnandole con canti e danze. Ma le credenze che assegnano alla Musica il potere di guarire non si fermano ai riti pagani, tanto che nel Vecchio Testamento la pazzia del Re Saul, oggi riconducibile al quadro clinico della depressione, viene curata durante la notte dai poteri magici dell’arpa di David.
Per concludere, l’esempio illustre nel Salento è rappresentato dal fenomeno del Tarantismo. Nel rito popolare, di cui parla De Martino ne La terra del rimorso, la pratica musicale diventa l’unica possibilità di deflusso delle sofferenze inconsce di individui e dell’intera collettività.
Le evidenze scientifiche
Fin qui siamo nella leggenda. Poi, però, arrivano gli studi. Quelli che trattano di Musicoterapia sono iniziati da circa 70 anni. Intorno a questa disciplina, tuttavia, non esiste accordo universale rispetto ad una sua definizione ed alle sue applicazioni. Tantomeno di Musicoterapia si parla in termini di scienza. Se, infatti, alcune ricerche condotte con fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale) dimostrano gli effetti benefici della musica sull’organismo, d’altro canto non esistono prove della loro replicabilità. Dico meglio. Grazie ai nuovi strumenti d’indagine, sappiamo che la musica:
- agisce sulla produzione di catecolamine, i mediatori chimici della sinapsi per la trasmissione dell’impulso nervoso (come Adrenalina e Acetilcolina).
- Agisce, parimenti, sulla produzione di catecolamine libere (come la Serotonina, preposta alla regolazione del sonno e del tono dell’umore) e
- aumenta la produzione delle Endorfine, gli oppioidi cerebrali preposti alla regolazione del dolore.
- Aumenta anche la produzione di Immunoglobuline, migliorando la risposta degli anticorpi.
- Mentre, nella Riabilitazione, stimola i Propriocettori, i recettori corporei preposti alle sensazioni di tatto, gusto ed equilibrio.
La Musicoterapia: scienza o disciplina?
Tuttavia, queste evidente riscontrate in laboratorio non possono essere considerate una prova scientifica, per ragioni altrettanto ovvie.
- Non esiste prova della replicabilità del risultato su soggetti esposti ad una data musica in periodi diversi.
- Allo stesso modo, non esiste dimostrazione che la stessa musica produca il medesimo risultato su persone diverse.
- Persone diverse possono addirittura avere reazioni molto diverse davanti al medesimo ascolto musicale.
- Ci sono persone del tutto refrattarie alla musica.
Potrei continuare ma questo è sufficiente per spiegare perché la Musicoterapia va considerata una disciplina che ottiene risultati miracolosi e non è una scienza esatta. Se fosse una scienza esatta, infatti, il risultato sarebbe ripetibile e, con le dovute controindicazioni, riguarderebbe tutti. Ma non è così, dato che gli esseri umani sono accomunati solo dalla loro intrinseca unicità e diversità.
La Musica come terapia
A fare un po’ di chiarezza interviene Kenneth Bruscia, Musicoaterapeuta e Psicologo Clinico delle Temple University di Philadelphia. Nel suo libro Definire la Musicoterapia, propone, infatti, una distinzione tra musica come terapia e musica in terapia.
Nel primo caso, la musica agisce indipendentemente dall’esistenza di un musicoterapeuta e come pratica accessoria ad altre pratiche mediche. Il suo impiego in reparti ospedalieri, ad esempio, serve per
- ridurre l’ansia preoperatoria;
- coprire i rumori della sala operatoria;
- rilassare il personale medico prima di un intervento chirurgico;
- agevolare il risveglio del paziente ecc.
In tutte questa applicazioni “a pioggia”, il riferimento sono le citate evidenze scientifiche.
La Musica in terapia
Nel caso della musica in terapia, la relazione paziente-terapeuta è preponderante rispetto al fatto musicale. Così la musica e il suono, anche quello prodotto in maniera estemporanea con strumenti di semplice utilizzo, diventa il medium di una relazione. Relazione che può non avere nulla di clinico. Per questo, se utilizzata con pazienti (nel senso medico del termine), va applicata da terapeuti abilitati o in equipe con essi. Dunque, con medici e psicologi e sotto la supervisione clinica di queste figure.
Questa accezione è certamente la più vicina all’idea della moderna Musicoterapia. Di sicuro alla mia. Questa visione, infatti, sfrutta il potenziale della musica (ma anche del rumore) di dar forma sonora a contenuti intrapsichici. Dunque, alle emozioni che, attraverso la musica, diventano un modo di contattare l’altro per finalità e obiettivi diversi. Mentre la terapia rimanda al bisogno di uno spazio protetto in cui abbia motivo di nascere una relazione fiduciaria orientata al prendersi cura. Non al curare patologie.
Per approfondimenti, rimando all’articolo Definire le Arti Terapie o al video che segue.
La Musicoterapia oggi
Ci sono molti studiosi della Musicoterapia che hanno prodotto testi sulle sue possibili applicazioni. E certamente tornerò a parlarne. Quello che però appare chiaro è che proprio averla elevata dall’esclusivo appannaggio del contesto sanitario ne fa una disciplina trasversale. Ma appare abbastanza chiaro, anche da quanto fin qui trattato, perché essa, che non ha la velleità di curare patologie o, peggio ancora, di “guarirle” (tremo mento lo scrivo!), oggi trovi spazio in contesti diversi. Parlo di:
- scuole pubbliche;
- aziende;
- contesti comunitari non patologici nel senso clinico del termine.
Attenzione: non sto affermando che la Musicoterapia non possa o non applicata con pazienti in contesti clinici. Semplicemente, dico che nei luoghi della cura occorre essere terapeuti o supervisionati da terapeuti per proporre un intervento. Dal mio punto di vista – e alcuni colleghi musicoterapeuti non saranno d’accordo -, è meglio sfruttare il potenziale del fatto musicale nell’applicazione della musica in terapia.
Già questo apre scenari affascinanti e sconfinati. E non renderà meno nobile questa splendida disciplina.
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