Il 5 febbraio 2016 Luca Varani viene condannato a 20 di reclusione per aver sfregiato con l’acido la fidanzata, Lucia Annibali. Intervistato, Varani dichiara: “Spero che un giorno mi perdonerà.” TV e testate giornalistiche riportano la notizia del pentimento dell’uomo. “Falso pentimento”, dichiara lo psichiatra Vittorino Andreoli. Dire “Spero che mi perdonerai” non è lo stesso che affermare “Sono tremendamente pentito per quello che ho fatto”. Anzi, denota esattamente l’opposto di qualsiasi pentimento.
Lo hai mai detto?
Eppure in molti, per fortuna in modi e situazioni diverse, usano frasi di questo tipo. E puntualmente non vengono perdonati. Esistono in letteratura, infatti, molti studi sui modelli di personalità che emergono dall’utilizzo di un termine invece che di un altro. Molti illustri autori se ne sono occupati ma non è così. Tutti convergono sul punto che le modalità di comunicazione come risultato di processi, in parte consci ma, per lo più, inconsci, tradiscono le reali emozioni sottese ai messaggi che si inviano.
Mi spiego meglio. Se sono pentito, devo parlare di me e di quello che provo davanti al riconoscimento della sofferenza che ho inflitto. Ma se
- non chiamo per nome la persona a cui ho arrecato una sofferenza e
- affido a lei l’azione di perdonarmi,
denoto completa mancanza di riconoscimento della dignità della persona e totale assenza di empatia. L’empatia è l’unica via lungo la quale, sentendo la sofferenza altrui, si può provare un vero pentimento, proprio perché, per imitazione, si riesce a mettersi nei panni della vittima. Per questo la sua mancanza porta ad escludere se stessi dall’impegno emotivo che comporta il perdono.
I modelli di personalità
Con la sua affermazione, infatti, Varani utilizza lo stile che Virginia Satir, psicoterapeuta americana, studiosa di sistemi familiari e fondatrice del modello omonimo, definisce “superlogico”. La Satir afferma che i modelli di personalità sono essenzialmente di tre tipi. Esiste il modello
- accusatore. E’ quello che si esprime in modo giudicante e sanzionatorio. A seguire c’è il suo esatto opposto, il
- propiziatore. Il propiziatore esordisce sempre con un “Sì”, è accomodante e sempre possibilista. Infine, il
- superlogico. Freddo, rigido, razionale, calcolatore e manipolatore, il superlogico non perde mai il controllo di sé.
Secondo le diverse situazioni, ognuno adotta un modello di comportamento o un altro. Ma ciascuno, dal punto di vista della personalità, aderisce essenzialmente e principalmente ad uno solo di essi. Chi rientra nel terzo profilo, dunque, tende a
- non parlare di sé in prima persona (ad esempio, invece di dire “capisco”, dice “si capisce”);
- nominalizzare le esperienze (ad esempio, invece di dire “mi sento teso”, dice “sento tensione”);
- evitare di chiamare per nome (ad esempio, sostituendoli con pronomi come “Ciò”, “Lui”, Lei”);
- non parlare delle sue emozioni (non dirà mai “mi sconcerta”, piuttosto “è sconcertante”).
Il superlogico
Il superlogico come Luca Varani, dunque, è il modello di personalità secondo il quale l’attore di un dato comportamento tende a deresponsabilizzarsi dalle sue implicazioni emotive. Piuttosto, affida ad altri la responsabilità di agire al suo posto (il giovane chiede a Lucia, senza nominarla, di perdonarlo). Ora, escludere “sé” dalle implicazioni emotive fa capire agli altri di non aver affatto “incontrato” quel pentimento che, solo a parole, viene espresso ma senza che ci sia un reale vissuto alla fonte. Il che tradisce menzogna o, per lo meno, scarsa autenticità.
Bene. Il superlogico non piace a nessuno. Non perché molti diventano serial killer o criminali. Se ci pensi, tuttavia, sono gli stessi tratti di Giosuè Ruotolo, accusato dell’assassinio di Teresa e Trifone. Quando incontriamo gente gelida, non abbiamo bisogno di aver studiato i modelli di personalità per dire che non ci piace. Lo sentiamo a pelle. Magari non subito ma lo sentiamo. Sbaglio?
Perché non ce ne accorgiamo subito?
Il motivo è che queste informazioni viaggiano sempre lungo una via bassa. La via sotterranea delle emozioni che conosciamo poco. Ce ne vuole una discreta quantità di queste informazioni prima che arrivino a livello di coscienza. Il che spiega, tuttavia, perché chi adotta stili di comunicazione del genere finisce per essere inefficace nelle relazioni con gli altri e, di conseguenza, isolato e infelice. La gente ama chi parla e si pone autenticamente e con il cuore, anche davanti a comportamenti che, come quello di Varani, hanno davvero poche possibilità di essere compresi e perdonati.
Ah! Hai mai usato frasi del tipo “Perché sei arrivato in ritardo?” o “Come mai non sei venuto all’incontro?”
Se hai riposto sì, allora attento! E’ l’accusatore che è in te che si esprime così. Neanche questo piace ma, per fortuna, è un’altra storia.
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