Qual è l’idea che ciascuno di noi ha del benessere? Al di là della molteplicità di fattori, sociali, culturali e geografici, che possono condizionare la risposta a questa domanda, il personale senso del benessere nasce sempre da una ricerca. Ovvero, dalla naturale inclinazione degli uomini a conseguire una dimensione “altra” che ne elevi le condizioni, sociali, economiche o di salute.
Mentre, però, nella costante corsa al successo, appare improbabile che possano essere persi di vista gli obiettivi professionali, sempre più spesso accade di dimenticare ciò che sul momento non sembra immediatamente fruibile e che, come tale, può essere trascurato e lasciato al caso: noi stessi.
Il personale senso del benessere
Gli anni che ci vedono protagonisti segnano il passaggio tra vere e proprie ere: abbiamo assistito alla nascita dello smartphone, all’era dei computer portatili ultrapiatti e all’avvento di internet. Tutto in meno di un ventennio. E chissà quante sorprese ci aspettano (spesso dico a me stesso che sarei voluto nascere tra vent’anni per beneficiare al massimo di tutto ciò). Tanto progresso, però, ha mietuto e mieterà non poche vittime: i ritmi frenetici con cui viviamo, le nostre agende sempre più ricche di appuntamenti, la necessità di essere al passo con i tempi hanno generato gli automi irritabili che vediamo quotidianamente per strada, assorti nei propri pensieri, parlare al telefonino, con la testa sempre in un luogo diverso da quello in cui si trovano, chiusi nelle proprie spalle e con il fiato corto per la fretta, l’ansia e lo stress.
Non va meglio con i nostri figli. Un tempo non tanto lontano, per fare i compiti assegnati a scuola, c’era la telefonata o l’incontro con i compagni. Oggi i compiti assegnati in classe si trovano su internet e, se proprio c’è qualcosa da dire, ci sono gli sms o le e-mail. Così poi resta del tempo per i videogiochi domestici o per ascoltare in cuffia della musica assordante da un iPod! Risultato: stiamo diventando isole, chiusi nelle nostre posture, con il collo che va perdendosi nelle spalle, poco inclini alle relazioni con gli altri, incapaci di riconoscere e manifestare emozioni, spesso anche solo di pensarle, di farci e di fare una carezza.
Tra ben-essere e mal-essere
Estremizzati, tali comportamenti possono perfino diventare patologici. In psichiatria, ad esempio, si parla di psicosi per indicare la frammentazione del Sè e la perdita di contatto con la propria identità. Fu Freud a proporre l’idea, tutt’ora in auge nei circoli scientifici che hanno preso vita dai suoi studi, secondo la quale noi siamo fatti di una minima parte razionale, “emersa”, chiamata conscio, e da una più grande, “sommersa”, che definì inconscio e che rappresenta la vita intrapsichica. Dall’equilibrio tra queste istanze, che sottendono il dualismo corpo-mente, materia-anima, ragione-emozione, dipende l’unitarietà dell’uomo ed il suo benessere.
In altre parole, ogni fattore, esterno – più controllabile – o interno – meno controllabile, come nel caso di molte patologie -, che produca un cortocircuito nell’equilibrio tra il “fuori” ed il “dentro” di sé, distoglie dal benessere e minaccia l’intrinseca peculiarità della natura umana. L’homo tecnologicus è avvisato.
Le Arti Terapie per il benessere psicofisico
Occorre, dunque, un spazio per potersi riappropriare del proprio personale senso del benessere. Principalmente, occorre uno spazio mentale per farlo. E, per favore, abbandoniamo subito l’idea che esso sia prerogativa di chi è in possesso dei giusti mezzi per poterlo conseguire! Il benessere – quello vero – appartiene a tutti gli uomini indistintamente, senza limitazioni anagrafiche, sociali, culturali o geografiche.
Perseguire il benessere vuol dire recuperare il contatto con se stessi, con il proprio corpo, con la propria sfera emotiva, con le parti nascoste di sé, con le proprie zone buie, per ricompattare la perduta originaria unitarietà tra mente e corpo, sfera emotiva e razionalità. Vuol dire dedicarsi del tempo fuori dal caos per riscoprire la creatività, il gioco ed il silenzio nell’intento di recuperare il perduto senso di unità personale, per tornare a riconoscersi, per acquisire maggiori informazioni su se stessi, per rivisitare e migliorare il sistema delle relazioni con gli altri. Non esistono diversità in grado di limitare questa ricerca. Si potrà, poi, discutere su quanto relativo sia tale concetto. Il dibattito è aperto…
La mia esperienza
Da alcuni anni, in equipe con la psicologa del nostro Istituto, conduco laboratori di Arti Terapie finalizzati alla scoperta della comunicazione non verbale quale espressione immediata e diretta delle emozioni. Ovviamente, non è solo questo lo scopo dei percorsi progettati, dal momento che ciascuno di essi prevede finalità e obiettivi sempre diversi. Ma tanto che ciò avvenga
- in ambiente scolastico, con gli studenti,
- in ambito formativo, con gli insegnanti o con gli operatori della relazione d’aiuto,
- in comunità, con pazienti psichiatrici o con demenza,
- in ospedale, con degenti o gestanti, o
- in contesti didattici, con gli allievi in formazione nei corsi di Arti Terapie,
l’incontro con il benessere è una tappa fondamentale.
Esso, però, è una conquista ed un punto di partenza al tempo stesso. Imprescindibile in tutte le azioni volte alla prevenzione ed alla riabilitazione: un traguardo nel senso più ampio ma anche complementare rispetto ad altri obiettivi degli interventi programmati.
Tuttavia impossibile da raggiungere senza la massima disponibilità ad accorciare le distanze con la propria vita affettiva.
Stralcio dell’articolo Le Arti Terapie per il benessere psicofisico – di Stefano Centonze -, pubblicato nel numero di Dicembre 2006 della Rivista mensile 50 & Più – Ed. ENASCO – e nel Numero 3 – Anno I – della Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze Online.
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