In passato, l’identità era determinata alla nascita dalla condizione sociale e dal genere (maschile o femminile). Oggi, invece, è il più importante dei “doveri” della libertà e dell‘individualismo, una conquista per molti ma non per tutti. Nelle società olistiche (come l’India), dove l’identità di gruppo vince su quella individuale, il compito di individuarsi è minimo: i doveri sono soprattutto nei confronti della famiglia, della casta, della tribù. Nelle società individualiste, invece, ognuno ha il compito e la responsabilità di conoscere se stesso, appropriarsi della propria sessualità, capire che cosa voglia o intenda realizzare nella vita. Ritorniamo, in questo articolo, sul tema delicato dell’adolescenza.
La ricerca dell’identità
Soltanto se sappiamo chi siamo nel mondo possiamo poi decidere a cosa aspirare, quali ruoli assumere, come relazionarci agli altri. “Non sono quello che dovrei essere e neanche quello che ho intenzione di essere, però non sono più quello che ero prima”. Questo aforisma, trovato dallo psicologo Erik Erikson in un saloon di cowboy (riportato da Anna Oliverio Ferraris in un articolo pubblicato nel 2004 su Mind), esprime lo stato d’animo dei ragazzi all’inizio dell’adolescenza. Prima di riuscire a sciogliere questo nodo dovranno fare prove e autovalutazioni, indossare identità diverse, capire come gli altri li vedano e alla fine venire a patti con la realtà, rinunciando al sogno di una totale libertà di scelta e di autodeterminazione.
I media e il mercato, d’altro canto, si sono inseriti con successo nella problematica identitaria dei teenager, fornendo immagini di identità ideali, spesso irraggiungibili, e di identità-surrogate, legate ai consumi. Hanno compreso che gli adolescenti, prima di acquisire un’identità individuale stabile, vivono una fase di “moratoria” in cui esplorano identità diverse, senza però impegnarsi in scelte definitive, sfruttando a scopi commerciali questo loro atteggiamento ondivago, sia individuale che di gruppo.
Identità strutturata e rassicurante
In anni in cui l’identità individuale è incerta, il gruppo degli amici, la gang o la setta parareligiosa possono fornire un’identità più strutturata e rassicurante. La costruzione dell’identità individuale, soprattutto in un mondo in continuo movimento e di non facile interpretazione come quello attuale, richiede, però, impegno. È tutt’altro che immediata e non e riducibile alla semplice acquisizione di abiti alla moda, automobili, rituali rassicuranti o gadget più o meno sofisticati. Molti comportamenti adolescenziali a rischio (alcool, droga, sfide estreme, giochi pericolosi…) sono legati al bisogno giovanile di rischiare e di superare delle “prove” per dimostrare il proprio valore a se stessi e agli altri e ottenere considerazione, rispetto e autostima.
I cambiamenti che si verificano nel corpo e nella psiche a partire dalla pubertà portano i ragazzi a
- confrontarsi continuamente sia col mondo esterno sia con quello interiore,
- a testarne i limiti,
- a verificare la consistenza dei confini tra il dentro e il fuori, tra l’autorizzato e il vietato, tra l’obbedienza e la trasgressione.
Meno la realtà esterna offre limiti rassicuranti, significati e obiettivi che rendano questi limiti sopportabili, meno il soggetto si sente sicuro nello spazio che deve esplorare e più deve “lavorare” autonomamente per costruirseli. Col rischio, ovviamente, di spingersi troppo oltre. Per questo, se un ragazzo non riesce a dare un senso alla propria esistenza e a capire chi sia veramente e chi possa diventare, il rischio di cadere nelle devianze resta alto.
I compiti degli adolescenti
Agli adolescenti sono, allora, richiesti alcuni compiti importanti, come già detto in un precedente articolo.
Importante è, ad esempio, adeguare le dinamiche relazionali in famiglia, dalla modalità bambino-genitore a quella adulto-adulto. Si tratta di un passaggio delicato e graduale, sia per i figli che per i genitori.
- I primi devono rinunciare al bozzolo familiare e avventurarsi verso nuovi legami sentimentali e ruoli sociali (“lavoro” psicologico che può essere agevolato dai familiari e dalla società, se quest’ultima offre reali opportunità di realizzazione). Non si tratta di spezzare i legami con la famiglia d’origine ma di trasformarli, senza restare intrappolati nell’illusione che la propria famiglia sia il mondo intero e che il proprio spazio di vita si esaurisca in essa.
- I genitori, d’altro canto, devono accettare l’idea che i figli non siano più e che siano diventati adulti come loro, autonomi e autosufficienti.
Lo strappo tra adolescenti e famiglie
In molti casi, lo strappo violento di un teenager con la famiglia non è tanto indice di una raggiunta autonomia quanto, piuttosto, della difficoltà di acquisire una propria indipendenza emotiva senza dover rompere i ponti. Cioè, il conflitto con le figure genitoriali, che prelude all’adultizzazione, dal piano di co-costruzione dell’identità e, quindi, anche simbolico, si traferisce al piano dello scontro fisico. L’acting-out assume, allora, i contorni del dramma per cause diverse:
- lo stile educativo troppo punitivo e repressivo oppure trascurante e respingente,
- le caratteristiche personologiche del giovane,
- la strenua resistenza del genitore all’emancipazione del figlio,
- le complesse dinamiche create dalle separazioni e dai confitti,
- i tanti traumi familiari, antichi e mai superati.
Alcuni, ad esempio, alcuni hanno difficoltà a separarsi dalla propria immagine di sé bambini e dal clima iperprotettivo in cui sono cresciuti: sperimentano, così, due emozioni tipiche che esprimono opposizione al cambiamento:
- una profonda malinconia per ciò che dovrebbero lasciare e
- il senso di colpa nei confronti dei genitori. Peraltro, alcune forme di depressione sono specificamente legate a queste dinamiche psicologiche.
Tra indipendenza e bisogno di protezione
È, tuttavia, normale che in una prima fase un ragazzo si sperimenti, faccia delle prove di autonomia, ondeggi tra il bisogno di indipendenza e la voglia di protezione. Man mano, però, il suo compito diventa di imparare ad autodirigersi, a contare di più su se stesso a dipendere sempre meno dai genitori. Ed è opportuno (se non addirittura fisiologico) che i genitori lo supportino, accettandone l’evoluzione, e non cerchino, con ricatti emotivi, di tenerlo legato a sé. Per questo è importante che essi inviino messaggi rassicuranti, del tipo “sono contento se anche tu diventi adulto come me”.
Lasciar crescere i figli e permettere lo di sperimentarsi naturalmente non significa che debbano disinteressarsi alla loro crescita o abbandonarli a se stessi. Anzi: non c’è ferita peggiore dell’indifferenza. In un mondo complesso e pieno di insidie come quello attuale, è, invece, importante che i ragazzi abbiano negli adulti dei riferimenti stabili e affidabili, disponibili al dialogo e allo scontro costruttivo.
Spiegare senza mettersi in cattedra, contrapporsi senza umiliare, aiutare senza creare dipendenza. Ecco quello che i ragazzi si aspettano dai genitori.
La scomparsa dell’adulto psicologico
D’altro canto, questo è reso più difficile dalla scomparsa dell’adulto psicologico (molti lo sono solo all’anagrafe) in favore di genitori infantili che, per mancanza di mezzi personali, si fanno mettere in crisi da critiche e attacchi dei figli, i cui tentativi di collocarsi nel mondo non vengono affatto compresi. In un mondo pieno di sirene dalla voce suadente, i giovani hanno più che mai bisogno di buoni maestri, di adulti che vogliano (e sappiano) fare gli adulti, instradando su pregi e difetti di questa società e motivando all’impegno con un dialogo costruttivo.
Sul finire dell’adolescenza, in concomitanza con l’inizio della fase della giovinezza, nella mente di un giovane dovrebbe essersi delineato un progetto di vita (o un piano d’azione) e delle strategie per realizzarlo. Egli dovrebbe anche sentirsi abbastanza forte da
- riuscire a compiere delle scelte responsabili in campo sentimentale (l’epoca del “se mi amano, esisto” e delle crisi d’identità dei primi amori falliti dovrebbe essere superata), lavorativo, politico o di impegno sociale,
- assumersi delle responsabilità (i ragazzi adesso comprendono che anche le difficoltà più grandi o le tragedie in apparenza irreparabili possono essere superate senza far ricorso all’aiuto dei genitori e che tutto questo non comporta alcun alibi alla deresponsabilizzazione) e
- onorare gli impegni (superando il dolore e la perdita, eventi inevitabili nella vita).
Quando si diventa adulti
Con la maturità intellettuale ed emotiva, in definitiva, i ragazzi dovrebbero
- essere venuti a contatto con forme di cultura adatte alla complessità del mondo,
- possedere apprendimenti sufficienti per avvalersi delle tecnologie e delle strutture di supporto della società,
- essere in grado di orientarsi nel mondo,
- padroneggiare conoscenze e abilità, sia tecniche che sociali,
- fare scelte informate e mature,
- formare relazioni umane basate sulla fiducia,
- saper essere di aiuto agli altri e saper chieder aiuto quando necessario,
- diventare cittadini consapevoli,
- dotarsi di un codice morale,
- autodirigersi, senza abbandonarsi passivamente alle mode e alle parole d’ordine,
Solo con questo bagaglio sarà finalmente possibile lasciare la “terra di mezzo” e incominciare la vita adulta.
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