La scienza offre strumenti preziosi per la didattica ma non rappresenta la soluzione a tutti i problemi scolastici. Specialmente quando si va in cerca di soluzioni pret-à-porter. Sono diversi gli studi che lo spiegano. Il Teaching and Learning Research Programme, programma di ricerca sull’insegnamento e l’apprendimento, condotto qualche tempo fa nel Regno Unito, riassume, ad esempio, i vantaggi dell’interazione tra neuroscienze ed educazione per formare un linguaggio comune tra le due discipline e per sviluppare progetti interdisciplinari. I risultati, pubblicati su Mind, Brain and Education, dimostrano il grande interesse degli insegnanti sul funzionamento del cervello per una ottimale pianificazione delle lezioni. Na parlano Roberto Cubelli, Docente di Psicologia generale presso il Dipartimento di Scienze Cognitive e della Formazione dell’Università di Trento, e Sergio Della Sala, Docente di Humane Cognitve Neuroscience all’Università di Edimburgo, in Scozia, in un articolo dal titolo Scienza e Didattica, pubblicato nell’ottobre del 2008 da Mind. Nonostante la grande attenzione sull’argomento, i problemi d’interpretazione e di utilizzo delle evidenze fa sì che il rapporto tra scienza e didattica appaia, ad oggi, ancora nebuloso.
La scienza e la didattica
Il fascino della scienza è innegabile ma il loro impiego può diventare fuorviante, se utilizzato senza un’adeguata consapevolezza critica. Mentre, infatti, gli insegnanti cercano di capire come si orienti il cervello rispetto alle informazioni provenienti dall’ambiente per migliorare l’insegnamento, cercando di selezionare le modalità più efficaci (benché frutto di esperienza e conoscenze personali più che di percorsi formativi strutturati), gli scienziati cercano di dimostrare come la scienza ed il metodo abbiano un ruolo di primo piano anche in ambito pedagogico. Con tutti i limiti che questo comporta.
La corrente di pensiero che si oppone alla didattica trasmissiva e concettuale prende piede in Gran Bretagna a partire dagli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso con il tentativo di mettere al bando l’apprendimento meccanico. Nello sforzo di rifiutare il concettualismo ed escludere ogni forma di memoria nelle forme più evolute d’apprendimento, iniziano a diffondersi metodi didattici innovativi, come quella che darà vita all’esperienza pedagogico-ludica della Grange Primary School di Cardiff dell’illuminato Dirigente Scolastico Richard Gerver. Ancora oggi – e non solo nel Regno Unito – la convinzione che l’apprendimento meccanico sia un esercizio inutile è comune tra gli insegnanti. Ma è ancora l’unico ad essere pratico.
L’apprendimento costruttivista
L’introduzione dell’apprendimento costruttivista segna, dunque, un cambiamento significativo nell’educazione con un movimento lontano dall’apprendimento trasmissivo e mnemonico: un nuovo approccio educativo che enfatizza l’importanza della comprensione dei concetti al posto della mera memorizzazione delle informazioni. Questa idea era basata sulla convinzione che l’apprendimento fosse più efficace e significativo quando gli studenti costruivano attivamente la loro comprensione, piuttosto che quando ricevevano passivamente le informazioni. Un tipo di approccio che ha portato a metodi di insegnamento più interattivi e centrati sullo studente.
La maggiore distorsione di questo cambio di rotta risiedeva, tuttavia, proprio nell’aver immaginato di poter deporre definitivamente e completamente l’apprendimento meccanico, etichettato come inutile. Non è affatto detto, infatti, che l’apprendimento meccanico e l’apprendimento concettuale debbano confliggere e non coesistere, se lo scopo è elevare l’efficacia dell’insegnamento per rendere più efficaci e durati gli apprendimenti.
L’apprendimento meccanico resta un passaggio importante per raggiungere una comprensione più profonda dei testi, delle formule e dei pensieri. Ad esempio, la poesia o la memorizzazione di fatti fondamentali, come le tabelle di moltiplicazione o la struttura di base di una lingua straniera, agiscono da facilitatori dell’apprendimento concettuale, non essendo con esso per nulla in contrasto: una solida base di conoscenze può aiutare gli studenti a costruire, collegare e comprendere concetti più complessi.
Più metodi d’apprendimento
Come, dunque, l’apprendimento meccanico non dovrebbe essere l’unico metodo di apprendimento, poiché può essere utilizzato come uno strumento per aiutare a facilitare l’apprendimento più profondo e concettuale, allo stesso modo neanche l’apprendimento concettuale dovrebbe essere l’unico. L’educazione efficace spesso richiede un mix di metodi, tenendo conto delle esigenze, dei punti di forza e degli stili di apprendimento individuali degli studenti. Per questo, quando parliamo di didattica dell’intelligenza emotiva, in riferimento alla proposta di legge mirata alla sua introduzione tra le metodologie d’insegnamento nella scuola italiana di ogni ordine e grado, parliamo di integrare metodi e non di privilegiarne uno o un altro.
D’altro canto, la didattica dell’intelligenza emotiva è proprio un metodo trasversale, basato sulla relazione docente-discente, che ha la funzione di rendere più efficace la didattica trasmissiva e più sistematica la didattica concettuale. Partendo, naturalmente, dalla formazione del corpo docente a modulare opportunamente i metodi in base alle necessità. Aspetto che si coniuga alla perfezione con le indicazioni ministeriali di valutare e aggiornare costantemente i metodi didattici, affinché riflettano le più attuali ricerche e teorie sull’apprendimento efficace. Essendo l’educazione un campo complesso e in continua evoluzione, a maggior ragione nell’epoca della tecnologia e dell’intelligenza artificiale che, se non utilizzate con intelligenza, possono diventare delle barriere insormontabili all’apprendimento.
Intelligenza emotiva vs intelligenza artificiale
Peraltro, c’è chi sostiene che l’intelligenza emotiva sia l’ultimo baluardo contro l’avanzata selvaggia (non quella intelligente) dell’intelligenza artificiale che è destinata a trovare sempre più spazio nella scuola pubblica, a tutto detrimento dell’impegno a memorizzare e a pensare criticamente, potendo demandare tutto questo ad una macchina.
La scienza, però, se è scienza vera, non è mai prescrittiva ma descrittiva ed esplicativa. Vuol dire che deve integrare e rendere migliori anche le applicazioni che con la scienza sembrerebbe abbiano poco a che a fare. Come la relazione.
Ma un modo giusto di trasferire le informazioni non potrà mai essere sostituito da nulla: semmai, potrà rendere migliori anche gli apprendimenti mnemonici. Per questo, se è vero che le teorie scientifiche possono essere validate o falsificate dall’esperienza e dai metodi di lavoro degli insegnanti, resta vero al tempo stesso che, nell’interazione tra neuroscienze e didattica, non può essere determinato alcun rapporto gerarchico ma solo una relazione paritetica che, su fronti diversi, concorra al medesimo ambizioso risultato: nutrire il desiderio ed elevare gli apprendimenti. Che sono, poi, gli obiettivi della didattica dell’intelligenza emotiva per tutti i gradi d’istruzione.
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