Che cosa accadrà con l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel metodo didattico e, più in generale, a scuola? Al di là degli indubbi benefici che la tecnologia ha e avrà nelle nostre vite, come permetterci di conoscere prima la mappatura di ambienti e terreno per prevenire le sciagure e intervenire strategicamente in caso di calamità e incidenti, eseguire complesse operazioni chirurgiche a migliaia di chilometri di distanza, riprodurre virtualmente contesti storici per vivere interattivamente i grandi eventi della storia eccetera, un grido di allarme viene lanciato da una parte degli insegnanti italiani che, chiamati a sorvegliare sul buon uso degli strumenti da parte degli studenti, vedono anche le possibili controindicazioni. E chiedono che, unitamente alla scuola dell’intelligenza artificiale, si continui a percorrere con decisione anche la strada della scuola dell’intelligenza emotiva, nella cui direzione ancora si fa fatica ad immaginare formazione dei docenti e investimenti pubblici. Analizziamo.
Intelligenza artificiale vs intelligenza emotiva
L’intelligenza artificiale spopola. Passo dopo passo, più velocemente di quanto non si creda, entrerà nelle nostre vite, nelle nostre abitudini, nelle nostre relazioni. Per un po’ ci sorprenderà ma presto non ci faremo più caso. Con il tempo, strumenti sempre più performanti, capaci di campionare la nostra voce e di decodificare il tono emotivo di un messaggio in chat, ci eviteranno perfino l’impiccio di distrarci dal nulla che ci vede impegnati per rispondere, poiché la macchina saprà come farlo. Non è uno scherzo: è solo questione di quando accadrà ma accadrà.
I complessi algoritmi di riconoscimento facciale, adottati da piattaforme social come Instagram e Tik Tok, ci conoscono meglio di noi stessi senza aver bisogno dell’intelligenza artificiale. Sanno, ad esempio, che se usiamo un filtro per migliorare il nostro aspetto, probabilmente non ci piacciamo abbastanza, non ci arrendiamo alle rughe, alle imperfezioni o ai chili in eccesso. E colgono le microespressioni dei nostri stati d’animo prevalenti, proprio mentre operiamo con lo smartphone tra le mani, combinandoli con i nostri gusti, evinti dal tempo in cui indugiamo su di un dato contenuto, per proporcene sempre di nuovi e indurci a scrollare all’infinito.
L’unico scopo dei social è sedurre il pubblico con le affinità emotive e convincerlo a non abbandonare. Mentre noi dell’uso che si fa di questa quantità enorme di informazioni che ci riguardano e del fine per cui vengono raccolte sappiamo poco e nulla, se non che servono a far soldi, ad accrescere la dipendenza dalla tecnologia e che, per taluni, sono tutto all’infuori di un innocente intrattenimento.
Gli adolescenti e i social
Probabilmente, voi che leggete questo articolo non siete manipolabili. E forse è proprio per questo che il titolo vi ha attratto e che state continuando a leggere. Ma è lecito chiedersi che cosa accada a un’adolescente, ancora troppo fragile emotivamente e sguarnita (personalmente, ritengo che un social come Tik Tok debba prevedere l’iscrizione dopo i vent’anni, quando le strutture cognitive deputate a gestire le emozioni si siano formate) che, tendenzialmente depressa e catalogata dal grande fratello come tale (oggi, purtroppo, molti adolescenti lo sono, ragazzi e, soprattutto, ragazze), si vede inondare di contenuti che acuiscono il suo senso di inadeguatezza e di disistima, al punto da cristallizzare il suo mondo in quattro mura virtuali da cui si esce solo accettando di disintossicarsi. Ammesso che la persona in questione abbia il coraggio e trovi le forze per chiedere aiuto.
La tecnologia non va demonizzata. Anzi: nelle intenzioni di chi la crea e ne finanzia i progetti i propositi sono nobili. Perché è vero: la tecnologia può rendere il mondo migliore e può semplificare la vita. Semmai, vanno demonizzati gli eccessi e gli usi sconsiderati. Cioè, tutti quegli aspetti che tolgono la tecnologia dal controllo responsabile dell’uomo.
Parimenti, e con esiti perfino peggiori, anche l’intelligenza artificiale rischia di diventare, senza una regolamentazione di prospettiva, una spada di Damocle sulla testa della democrazia e del benessere sociale. Provo a spiegarmi meglio.
Chat-GPT di OpenAI
Dal momento della sua introduzione, Chat-GPT di OpenAI è apparso, più che uno strumento per snellire il lavoro e aiutare le persone ad ottimizzare tempo e procedure, un modo per delegare alla macchina l’impegno che solitamente è appannaggio dell’uomo.
Relativamente al comparto scuola, sembra un affare per tutti ridurre la fatica dell’insegnamento con l’ausilio dei robot (con grande risparmio di tempo da destinare alla progettazione e alle altre incombenze burocratiche) e quello dei compiti a casa.
Si direbbe che tutti abbiano da guadagnarci:
- gli studenti sanno già tutto su come fare con il massimo della precisione a tradurre una versione dal latino, a svolgere un problema di matematica, a fare una ricerca sull’Europa napoleonica o qualsiasi altro compito nel giro di una manciata di secondi senza aver mai due elaborati uguali in tutto il mondo;
- i docenti possono preparare la lezione del giorno dopo in pochi minuti, con slide accattivanti o demandare all’avatar la spiegazione in classe, a correggere le verifiche e perfino fare gli scrutini di fine anno (basta chiedere tutto questo all’intelligenza artificiale per ottenere giudizi più che accurati);
- i dirigenti avranno un corpo docente più libero e meno stressato (specie se i ragazzi miglioreranno le loro performance o, meglio, i voti con l’intelligenza artificiale);
- le famiglie saranno più felici con i buoni voti che l’intelligenza artificiale farà prendere ai ragazzi.
La fiera della vanità
Massima resa, zero problemi. Almeno è quello che sembra emergere dalla Fiera della Scuola di Firenze, Didacta 2023, stando alle impressioni del Prof. Salvo Amato, docente di informatica e fondatore dell’Associazione Professione Insegnante, molto attiva sul web e sui social, che ha definito la manifestazione annuale sui temi della scuola come “La fiera della vanità”.
“Sembra la scuola dei balocchi. Ma non lo è. La realtà è molto diversa dalla favola di Pinocchio. Ma forse è interesse di tutti avere tanti Lucignolo”, afferma. Eppure, si direbbe che tutta l’attenzione degli addetti ai lavori e una parte cospicua delle risorse economiche messe a disposizione dal Governo per risanare la scuola italiana vadano in quella direzione.
Se, infatti, l’intelligenza artificiale sarà (forse) in grado di promettere voti migliori (al più), è certo che tutto questo avverrà a detrimento dell’impegno, della motivazione, del desiderio, della curiosità, dell’apprendimento, dell’attenzione, dell’autonomia, della responsabilità e della socialità.
I pericoli della tecnologia
Il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer quarant’anni fa aveva predetto che questo momento sarebbe arrivato. Forse, però, neanche lui aveva previsto che sarebbe arrivato così presto: “Stiamo producendo preoccupanti masse di telespettatori che, con il massimo della fantasia, riusciranno al massimo a dire ok”, scriveva nel 1985.
Se l’implementazione dell’intelligenza artificiale nella nostra routine non avverrà gradualmente e sotto il controllo di chi possa arginarne gli effetti peggiori, ci si rivolgerà contro.
- Perché imparare, se c’è qualcosa che memorizza le informazioni e le rende disponibili al bisogno con un click?
- Perché studiare una poesia o un passo di letteratura, se ogni chiave d’interpretazione è a portata di mouse?
- Perché credere in qualcosa, se si può credere in tutto (e a niente) allo stesso tempo?
Il rischio è quello di un futuro senza memoria e senza storia, che può avere conseguenze anche sul piano evolutivo. Se non serve pensare, sentire, memorizzare, quella scatola magica che abbiamo tra le orecchie per quanto ancora ci servirà?
La scuola dell’intelligenza emotiva
Vogliamo credere ancora ad una scuola dell’intelligenza emotiva, che parli di emozioni legate all’apprendimento e alla conquista del sapere e di empatia, per scongiurare un futuro omologante di tecnocrati insensienti, privi di pensiero critico e derubati sotto al naso dei principi fondanti della democrazia. Anzi, felici di aver contribuito al loro stesso impoverimento.
- Come si può, infatti, allenare il pensiero a trovare le soluzioni o immaginare un sapere meno che dialogico, senza far sperimentare il punto di vista e le emozioni dei grandi della storia che hanno partorito il progresso e la cultura che, in tutte le loro forme, abbiamo la fortuna di ammirare?
- Senza esperienze del genere, che sono il cuore della scuola e che nessuna intelligenza artificiale può dare, come ci si può raffigurare simpateticamente la categoria dell’altro e comprenderlo, invece di combatterlo?
- Ci sarà ancora spazio per la creatività e l’immaginazione davanti agli abusi da intelligenza artificiale?
- E, infine, che ne sarà dei buoni propositi dell’Agenda 2030 in un mondo di “docili macchine” che sconfessano e criticano la tradizione, peccando di incomprensione delle sofferenze e bisogni altrui?
AI ma con cautela!
La pratica del pensiero critico, la sfida dell’immaginazione, la vicinanza empatica e la capacità di comprensione sono elementi necessari per la democrazia moderna, posta a fondamento di un’economia robusta. È, dunque, lecito domandarsi in che modo si vogliano proteggere questi principi, se gli sforzi andranno nella sola direzione di facilitarsi le cose (ma certamente non l’apprendimento) con gli aiuti esterni.
“Il futuro delle democrazie mondiali è appeso a un filo”, scrive Martha Nussbaum in “Non per profitto” nel 2011.
Occorre preservare, di conseguenza, la possibilità, che è da sempre demandata alla scuola, di coltivare il sapere come risultato dell’incontro, della partecipazione, del dialogo, del coinvolgimento e del confronto critico, perché solo così avremo adulti liberi di scegliere nel segreto delle urne. Che solo una scuola dell’intelligenza emotiva può ottimisticamente promettere.
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