Il disgusto è l’emozione che ha il compito evolutivo di proteggere l’organismo da malattie e infezioni, preservando la continuazione della specie. Si tratta, infatti, di un’emozione molto complessa, che riguarda sia la sensazione che il timore della contaminazione, in quanto profondamente intrisa di contenuti cognitivi più ampi della semplice spiacevolezza che coinvolgono anche una componente conoscitiva, fondata, secondo lo psicologo statunitense Paul Rozin, sul pensiero associativo.
Il disgusto e la cultura
Del disgusto e della classica smorfia parla già Charles Darwin nel suo libro L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872) che rappresenta un prezioso contributo per la riflessione su tale emozione, poco trattata a livello scientifico. Darwin spiega che in essa prevale la componente del giudizio di valore che la distingue da una semplice reazione istintiva.
Sebbene, tuttavia, gli stimoli che provocano disgusto possano essere raggruppati in poche categorie universali, uguali in tutto il mondo, l’attribuzione di disgusto, aggiunge Darwin, è fortemente influenzata anche dalla matrice culturale. Significa che quello che è disgustoso per alcuni, potrebbe non esserlo affatto per altri. Il che non derubrica affatto tale emozione da quelle innate ma sposta unicamente l’oggetto del disgusto, a seconda delle diverse culture e dei diversi territori, e lo intride di fattori appresi.
Teorie del disgusto
Qualche decennio dopo, Freud ipotizza che il disgusto non nasca direttamente da uno stimolo esterno ma che derivi, piuttosto, dall’interiorizzazione del comportamento dei genitori nella prima infanzia e che lo sviluppo del senso del disprezzo, per molto tempo gemellato al disgusto, sia un meccanismo sociale, utile al controllo degli istinti fondamentali.
In tempi recenti, la filosofa neostoica Martha Nussbaum spiega che alla base della difficoltà di provare empatia verso persone troppo diverse da noi c’è un innato scontro di civiltà che nasce dalla proiezione sugli altri del disgusto che il bambino prova verso di sé quando scopre la sua natura mortale e fallibile.
In maniera complementare alla Nussbaum, i cui scritti incoraggiano le civiltà occidentali a valorizzare la cultura umanistica per un rilancio della più evoluta e futuribile idea di democrazia, l’antropologa londinese Mary Douglas afferma che il disgusto rappresenta una categorizzazione intellettuale che ha lo scopo di proteggere la capacità degli uomini, di taluni uomini, di organizzare la società e il potere contro tutto ciò che sovverte l’ordine noto e prevedibile.
Il punto di vista neurofisiologico
Dal punto di vista neurofisiologico, sappiamo che il disgusto dipende dall’attivazione di alcuni centri del lobo frontale della corteccia, della regione paraippocampale e, soprattutto, di una parte dei gangli della base, in particolare al livello del corpo striato e del putamen, responsabile del comportamento motorio associato al disgusto, nonché dell’insula, responsabile della risposta emotiva del disgusto associata (specialmente l’insula anteriore) alle funzioni olfattive, gustative e viscerali-autonome.
Osservando alcuni pazienti con alterazioni più o meno evidenti ai segnali mimici di disgusto, Reiner Sprengelmeyer e Andrew J. Calder, ricercatori della Cognition and Brain Sciences Unit dell’Università di Cambridge, in Inghilterra, hanno, infatti, dimostrato che tale esperienza emozionale attiva proprio le strutture cerebrali coinvolte nella percezione gustativa.
I due scienziati, sottoponendo a test di riconoscimento delle espressioni facciali alcuni pazienti con Corea di Huntington, patologia neurodegenerativa che colpisce i soggetti adulti al livello del funzionamento dei gangli della base, hanno rilevato la loro difficoltà a riconoscere il disgusto sul viso delle altre persone.
La smorfia del disgusto
La stessa difficoltà riguarderebbe, ai sensi dello stesso esperimento, anche pazienti giovani che non hanno ancora sviluppato la malattia. Analizzando con risonanza magnetica funzionale altri individui con alterazioni a carico dei gangli della base, come i pazienti psichiatrici con disturbo ossessivo compulsivo e un paziente colpito da danno cerebrale circoscritto a una parte dell’insula e del putamen, il risultato conferma che tutti esprimono difficoltà selettiva a riconoscere mimiche e suoni riconducibili al disgusto e presentano una reattività molto ridotta se esposti a situazioni sensoriali disdicevoli.
Stesso risultato ottenuto dal gruppo di ricerca dell’Ospedale Neurologico di Lione con la misurazione, nel corso di interventi con pazienti con grave epilessia, dei potenziali dell’insula indotti da immagini utilizzate nei test di riconoscimento delle espressioni facciali.
Va detto, tuttavia, che queste aree si attivano anche al cospetto di immagini che non coinvolgono il piano strettamente sensoriale ma anche quello etico-comportamentale, confermando, ancora una volta, l’influenza del contesto culturale nella genesi del disgusto. Quello che non è del tutto chiaro riguarda quali neurotrasmettitori siano coinvolti nei disturbi correlati, poiché ci sono varie strade ancora da percorrere. Si tratta, infatti, di un campo abbastanza recente della ricerca che ha molte potenzialità ma anche l’intrinseca difficoltà di un territorio vasto e multidimensionale, da scandagliare a fondo per dare risposta alle tante domande aperte, specialmente per via della sua complessità di emozione caratteristica e unica dell’essere umano che non può essere studiata su nessun altro organismo vivente.
(Cfr. Gianbruno Guerrerio, La smorfia del disgusto, pubblicato nel n. 13 di gennaio-febbraio 2005 della rivista di neuroscienze e psicologia Mente&Cervello oggi Mind.)
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