Tanto che si sostenga la priorità dell’emozione sulla cognizione o, viceversa, della cognizione sulle emozioni, ciò che oggi appare inconfutabile è che in ogni esperienza vissuta vi sia tutta la complessità umana con gli inscindibili intrecci che le sono propri. Significa che l’uomo non può fare a meno di sentire e pensare contemporaneamente e che, in quanto vivente senziente e pensante, egli è sempre, costantemente, immerso in tutte le sue emozioni e in tutto il suo mondo cognitivo. Appare subito chiaro, dunque, che un discorso su una delle due dimensioni senza contemplare anche l’altra risulta insoddisfacente e incompleto, soprattutto se si considera che ogni necessità pratica del vivere quotidiano ha bisogno di azioni concrete che il piano emotivo da solo non basta a risolvere. E che, al tempo stesso, risulta, all’opposto, troppo riduttivo affrontare il tema delle emozioni come un catalogo ordinato di espressioni mimiche con base organica.
Multidimensionalità delle emozioni
L’argomento che riguarda la comprensione delle emozioni deve, di conseguenza, essere inserito in una cornice certamente più ampia che tenga conto della loro multidimensionalità. La soggettività dell’esperienza emotiva è paragonabile a quello che accade con la percezione della realtà.
Attesa, infatti, la convinzione condivisa che non esista una realtà oggettiva ma che tutto sia subordinato al modo in cui il soggetto, per il tramite dei sensi e del corpo, percepisce il mondo fuori, resta tuttavia vivo un secolare antagonismo tra realismo e idealismo che si riflette nel binomio cognizione-emozione e ad esso applicabile.
Come, infatti, il realista si concentra su ciò che vede e che definisce realtà, mentre l’idealista replica che essa abbia ragione di esistere solo in funzione di un soggetto che la osserva, alla stessa maniera possiamo paragonare il pensiero e la cognizione agli elementi geometrici e spaziali dell’osservazione, vale a dire alla profondità del campo visivo, alla sua altezza e alla sua larghezza (ovvero, agli indicatori numericamente misurabili), e le emozioni ai singoli elementi che la abitano e che fanno parte del personale campo percettivo dell’osservatore.
L’esperienza sensoriale
L’individuo, per effetto del funzionamento del senso della vista, può cogliere solo porzioni di realtà, quelle relativa al suo vertice di osservazione, mentre è la sua mente a dare continuità alla percezione, creando l’immagine di un tutto ipotetico. Se egli potesse escludere gli elementi geometrici,
in altre parole, vedrebbe galleggiare tanti oggetti nel nulla ma non godrebbe mai di una visione integrata della realtà, la sola a dare un senso al libero arbitrio. Allo stesso modo, possiamo affermare che non ha senso escludere dall’umana esperienza gli elementi cognitivi (che nell’esperienza percettiva corrispondono agli elementi geometrici della realtà) e concentrarsi solo su quelli emotivi (che nella stessa esperienza corrispondono ai particolari, agli oggetti), poiché la vera libertà coincide con i modi sempre nuovi di far dialogare due diverse dimensioni che rendono unico ogni vivente.
All’atto pratico, però, è come se questo antagonismo tra realismo e idealismo e tra cognizione ed emozione non fosse mai stato superato, a tutto vantaggio di un’interminabile diatriba. Senza pretesa alcuna di completezza, dunque, sarà nostra cura, nelle pagine che seguono, offrire una panoramica sintetica dei diversi punti di vista e delle diverse teorie, ciascuna avente in comune con le altre le basi scientifiche, anatomiche e organiche, ma nessuna delle quali definitamente elevabile a dogma.
Emozioni come aggregatori sociali
Nostro obiettivo è supportare, avvalorare e, in un certo modo, rilanciare l’idea dell’intrinseca intelligenza delle emozioni e della loro importanza, in quanto aggregatori sociali, superando un modello realista di costruzione della società civile in nome di un mondo più equo e sostenibile.
Sono, infatti, proprio le componenti affettiva, cognitiva e sociale delle emozioni a sostenere la teoria della funzione di queste ultime di aggregatori sociali e di elementi mediatori delle transazioni interpersonali che fanno sentire adeguati ed efficaci gli individui, in quanto membri di una collettività. La psicologia dello sviluppo sociocostruzionista, d’altro canto, oggi assegna alle emozioni un ruolo che va oltre la salvaguardia e la sopravvivenza dell’individuo. Insiste, piuttosto sui cosiddetti sistemi motivazionali interpersonali (SMI)[i].
Secondo tale teoria, infatti, sono le emozioni che regolano e influenzano in maniera sostanziale, con tutto quello che ne consegue, le interazioni interpersonali. Da questo punto di vista, la necessaria funzione sociale delle emozioni è l’elemento su cui verte la ricerca intorno alle competenze emotive e alla loro finalità.
Il velo di ignoranza
La questione, ad ogni buon conto, era già sollevata da John Rawls con la metafora filosofica del velo di ignoranza già nel 1971. Secondo il filosofo politico statunitense, in un ipotetico consesso di uomini chiamati a stabilire le regole fondamentali della società in cui andare a vivere, l’unica certezza per gettare le basi per una società veramente equa e per realizzare il principio di giustizia distributiva risiede nell’ignoranza di ognuno del ruolo che andrà ad occupare al suo interno e di tutti gli altri fattori sganciati dai talenti naturali.
Se, infatti, i padri fondatori della società non terranno in debito conto il valore delle emozioni e dei sentimenti che animeranno la collettività, essi non potranno mai dare vita ad un mondo giusto solo stabilendo leggi, regole e sanzioni. Al contrario, tenendo opportunamente in conto come si debbano sentire le persone (e ignorando se ognuno nascerà maschio o femmina, ricco o povero, normodotato o disagiato), l’assemblea adotterà regole tendenti ad offrire ai più svantaggiati il massimo vantaggio. La qual cosa libererà perfino i più ricchi dal senso di colpa di accumulare e godersi ogni genere di bene e privilegio a scapito delle classi sociali più indigenti[ii].
Rawls immagina, tuttavia, che tutte le argomentazioni di questi ipotetici padri fondatori siano razionali e si interroga su che cosa accadrebbe se essi tenessero conto anche dei sentimenti naturali.
Um mondo più giusto
Va aggiunto che la società contemporanea, utilitaristica, a dispetto delle sue intenzioni, e pervasa da contraddizioni e disuguaglianze, sembra decisamente improntata alla razionalità e poco sui sentimenti[iii]. Al suo interno, il realismo imperante vede il progresso come l’avanzamento su di una linea continua fatta da infiniti punti, tutti separati e distinti tra loro, ciascuno dei quali esclude quelli precedenti.
In uno scenario geometrico come questo, progredire significa lasciarsi qualcosa alle spalle, disfarsene definitivamente, erigere muri con quello che è stato, ignorando la ricchezza dell’integrazione che, per contro, caratterizza una visione d’insieme che tiene conto anche di altri elementi, utili alla ricerca di soluzioni nuove al suo interno. Soluzioni alle quali è impossibile arrivare con l’atteggiamento di chi va avanti guardando solo dinnanzi a sé o tenendo d’occhio unicamente gli aspetti numericamente misurabili delle cose.
Ecco: nell’ottica di un mondo migliore, integrare posizioni diverse significa superare una volta per tutta l’esclusivo appannaggio della logica e della cognizione e accogliere e valorizzare anche i sentimenti e le emozioni, in quanto elementi di relazione, su cui costruire una società meno conflittuale e più giusta.
[i] Lo psichiatra Giovanni Liotti (1945-2018), considerato uno dei fondatori del cognitivismo evoluzionista, autore del best seller Cognitive processes and emotional desorders, spiega che nell’interazione tra gli individui entrano in gioco cinque fattori innati che costruiscono altrettanti sistemi motivazionali: l’attaccamento, la competizione, l’accudimento, la cooperazione e l’attività sessuale. Ognuno di essi viene attivato e disattivato dalla sussistenza di date condizioni. Ad esempio, se il sistema di attaccamento viene smosso dal senso di solitudine e disattivato dalla vicinanza protettiva di una persona disponibile, quello di accudimento è attivato dalla richiesta di protezione da parte di un membro del gruppo sociale e disattivato dal segnale di ritorno che trasmette sollievo. Dal che deriva la natura interpersonale e relazionale dei sistemi motivazionali interpersonali e del loro funzionamento. In tali condizioni, infatti, le emozioni si manifestano in funzione delle differenti ragioni dell’attivazione motivazionale.
[ii] John Rawls (1921-2002), autore del best seller Una teoria della giustizia, tradotto in italiano per la prima volta nel 1982, reinterpretando lo strumento del contratto sociale del XVII secolo, spiega che una giustizia distributiva equa debba agire sul piano della riduzione delle disuguaglianze immeritate e creare un sistema dove i meno avvantaggiati possano ottenere il massimo vantaggio possibile. Rawls si muove in opposizione all’utilitarismo il quale, nel suo intento di massimizzare la felicità comune in quanto semplice somma delle felicità individuali, può perfino arrivare a legittimare la violazione di talune libertà fondamentali.
[iii] Basti pensare che oltre l’80% della ricchezza mondiale è concentrato nelle mani di 22 dei 196 Paesi. Gli Stati Uniti sono al primo posto, senza sorprese, con 29,40 dollari, o quasi un terzo della ricchezza totale, mentre la Cina è al secondo posto (ancora senza sorprese, vista la crescita roboante degli ultimi 40 anni), con 17,71 dollari. Questo ha senso considerando l’alta concentrazione di individui ultra-ricchi in entrambi i paesi: la Cina e gli Stati Uniti ospitano più della metà dei miliardari del mondo, e otto delle 10 persone più ricche del pianeta sono americani, tra cui il più ricco del mondo, Elon Musk. Il Giappone è al terzo posto della lista, con 6,93 dollari. Come gli Stati Uniti e la Cina, il Giappone ha anch’esso un’alta porzione di cittadini con valore netto ultra-alto, o individui con un patrimonio netto di 30 milioni di dollari o più. L’India è al settimo posto nella lista, nonostante abbia il terzo più alto numero di miliardari in tutto il mondo, ma ha anche una massiccia popolazione di 1,4 miliardi. Un fattore che contribuisce a questo dato potrebbe essere il livello relativamente alto di povertà del paese. Nelle prime posizioni abbiamo il “mondo sviluppato” e tra chi insegue le nazioni più importanti dei Paesi in via di sviluppo. È importante notare che, mentre gli Stati Uniti e la Cina detengono la maggior parte della ricchezza mondiale, entrambi i paesi lottano ancora (e parecchio) con la disuguaglianza della ricchezza. Attualmente, l’1% delle famiglie statunitensi detiene il 31,7% della ricchezza familiare del paese. E mentre la Cina ha fatto progressi sulla povertà nell’ultimo decennio attraverso la rapida crescita economica a cui accennavamo prima, il divario di ricchezza tra i ricchi e i poveri del paese è aumentato negli ultimi anni. Fonte: creditnews.it.
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