I gesti sono una finestra sul pensiero. Lo afferma lo psicolinguista David McNeill in un articolo pubblicato a Dicembre 2006 dalla rivista di psicologia e neuroscienze Mente & Cervello, oggi Mind, a firma di Ipke Wachsmuth, docente di intelligenza artificiale all’Università di Bielefeld in Germania. I più recenti studi sul cervello dimostrano, infatti, che esiste uno stretto legame tra linguaggio e gestualità. Se, ad esempio, dobbiamo spiegare qualcosa, gesticolare non è solo un rinforzo della parola ma un completamento della stessa informazione che inviamo, la quale, in difetto, rischia di risultare carente e perfino poco comprensibile. Il che assegna un ruolo determinante ai gesti coverbali nell’economia della comunicazione dialogica, poiché a essi è affidato il compito di accompagnare il discorso e trasmettere contenuti difficili da esprimere a parole. Per questo motivo, se non gesticoliamo, ci priviamo e priviamo i nostri interlocutori di un importante canale di condivisione di significati.
Il corpo parla e non mente
Il nostro corpo “parla”. E non può mentire. Per il tramite dei suoi codici, la gestualità appunto, esso sottolinea, ridimensiona o addirittura contraddice ciò che diciamo con le parole. Per questo gli psicologi e i criminologi che si occupano di smascherare i mentitori osservano attentamente le microespressioni del volto e il modo di gesticolare per analizzare la coerenza e la congruenza tra il linguaggio verbale, in prevalenza razionale, e quello non verbale, in prevalenza irrazionale. Movimenti e postura del corpo, infatti, comunicano sempre qualcosa di noi al mondo circostante, anche quando restiamo in silenzio ad ascoltare.
La nostra presenza nell’ambiente è già comunicazione. Anche quando non è precisamente inquadrabile come linguaggio (almeno nel senso in cui lo intendiamo noi).
Le evidenze scientifiche
Grazie alle ricerche condotte su persone con lesioni cerebrali che limitano la mobilità di arti e busto, sappiamo che la gestualità e il linguaggio verbale costituiscono un’unità indivisibile che ha origine dallo stesso processo cognitivo. Così oggi è un’evidenza consolidata che, se il corpo è danneggiato, anche la comunicazione ne risulta compromessa, non solo a livello non verbale (non potendo muovere le mani, ad esempio, è difficile descrivere rapporti spaziali complessi, direzioni e forma degli oggetti) ma anche a livello verbale, venendo a mancare importanti indicatori emotivi utili alla comprensione del messaggio.
Spencer Kelly, Corinne Kravitz e Michael Hopkins, neuroscienziati della Colgate University di Hamilton, nello Stato di New York, spigano che la gestualità è controllata dalle stesse aree cerebrali responsabili del linguaggio verbale. Questo è il motivo per cui i pazienti afasici, che hanno perso la facoltà di parlare o di capire le parole degli altri, hanno difficoltà anche a gesticolare e a comprendere i gesti altrui.
Il legame tra gestualità e linguaggio
Probabilmente il legame tra gestualità e linguaggio è da attribuire alle origini del linguaggio stesso. Uwe Jürgens, che dirige la divisione di neurobiologia del centro per lo studio dei primati di Gottinga, sostiene, insieme ad altri colleghi, che nell’uomo, in una prima fase, si siano sviluppati dei gesti vocali, cioè dei semplici suoni che venivano utilizzati in associazione al movimento delle mani o delle smorfie.
Il fatto che la gestualità spontanea e la lingua parlata possono derivare dallo stesso pensiero fu ipotizzato già negli anni Ottanta dello scorso secolo da Adam Kendon, scienziato cognitivista e fondatore della ricerca sulla gestualità, il quale osservò che il culmine gestuale di un movimento coverbale precede di poco oppure coincide con il suo corrispondente verbale. Con culmine gestuale si intende il vero significante, come ad esempio il gesto di asciugarsi la fronte (mentre si proferisce una frase del tipo: “L’ho scampata bella!”).
Secondo David McNeill, autore del libro Hand and Mind: What Gestures Reveal about Thought del 1992, il processo di produzione verbale e quello di produzione gestuale hanno un’origine mentale comune, in cui un miscuglio di simboli preverbali e di concetti figurati forma il punto di partenza dei pensieri che verranno espressi. Questo incontro è chiamato da McNeill punto di crescita o growth point, ed è una sorta di “seme “da cui germogliano le parole e i gesti (approfondimenti in Gesto e Pensiero. Per una spiegazione dettagliata dello stretto legame tra gestualità spontanea e lingua parlata, David McNeill, University of Chicago Press, 2005).
Il cervello e i gesti
Un importante modello nell’ambito dell’intreccio di rapporti tra linguaggio, pensiero e gestualità è quello di Willem Levelt, direttore di Max-Planck-Institut di psicolinguistica di Nijmegen, in Olanda.
Secondo Levelt, il cervello produce un’espressione verbale in tre fasi.
- Nella prima fase, il cervello concettualizza i messaggi come pura informazione preverbale,
- successivamente trova le parole per il concetto e forma le frasi. In queste due fasi il processo si svolge solo internamente.
- Con la terza fase, entra in azione l’apparato di articolazione che produce l’espressione attraverso i polmoni e le corde vocali.
In questo modello, uno degli allievi di Levelt, Jan-Peter De Ruiter, ha inserito la gestualità, ipotizzando che la fase iniziale di concettualizzazione includa anche un precursore visivo dei gesti. Secondo De Ruiter, in altre parole, il nostro cervello creerebbe degli abbozzi di gesto. Nel secondo passaggio, dall’abbozzo deriva una pianificazione gestuale, cioè un set di istruzioni di movimento che nella terza fase porta a un programma muscolare motorio che dice alle braccia e alle mani come muoversi.
Più di mille parole
Questo modello ci aiuta a capire perché i gesti possono precedere le parole che devono accompagnare. Per cui, così come le parole devono essere prima composte in un’espressione grammaticalmente ragionevole, i movimenti sono guidati da istruzioni motorie standardizzate. De Ruiter ha anche scoperto che la maggior durata del gesto tende a ritardare la produzione verbale a cui si riferisce e che i gesti si adattano al discorso, ragion per cui, se mentre stiamo parlando inciampiamo su una parola e ci blocchiamo, anche il gesto si fermerà e resterà in sospeso, finché le parole non torneranno a fluire.
E poiché il gesto è corpo e il corpo è emozioni, la via più breve per comprendere il linguaggio verbale è l’attenzione alla comunicazione gestuale che è attenzione verso l’unicità dell’altra persona che, per comunicare, non usa solo le parole ma tutta se stessa e la sua storia personale. Per questo, a volte, un gesto può valere più di mille parole.
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