Quando non capiamo qualcosa della nostra vita, la prima reazione è quella di provare a sbarazzarcene, dal momento che siamo intimamente ma anche ingenuamente convinti che le cose che ha senso conservare delle nostre esperienze siano solo quelle che riusciamo a comprendere, quelle di cui cogliamo il significato, il senso, le ragioni. Tutte queste cose alimentano il sacco delle esperienze non comprensibili che chiamiamo ombra. Solo un autentico faccia a faccia con il nostro lato oscuro ci svela davvero chi siamo. In questo senso, infatti, ogni ombra, solo in apparenza ostile, è semplicemente l’altro lato della nostra stessa luce. Per questo l’ombra è portatrice di saggezza.
Mi sono già occupato del tema dell’assorbimento e dell’integrazione dell’ombra. Ne ho parlato in diversi articoli, in riferimento al Piccolo libro dell’ombra di Robert Bly e a La scoperta di sé di Claudio Risé, Psicologo e Scrittore italiano di orientamento junghiano. Riprendo l’argomento in questo articolo, mentre leggo il libro Io e (il) Mostro di Roberta Guizzardi, consigliatomi dal mio amico Pino Sassano, scrittore calabrese di grande sensibilità, che conosce il mio impegno alla divulgazione di contenuti che trattano la ricerca dell’identità e l’evoluzione personale.
L’ombra è parte del tutto
La nostra ombra (o il nostro mostro interiore) pur essendo scomoda fa parte della nostra unicità, della nostra interezza. Obiettivo dell’individuo deve, dunque, essere l’integrazione di quella primordiale melma nera con tutto il resto di ciò che siamo, poiché solo questa sintesi produce la scoperta della nostra identità nella sua completezza e l’allargamento stesso della nostra autoconsapevolezza. Occorre, viceversa, dialogare con quella massa informe di esperienze che alimentano le nostre più intime contraddizioni e che prende il nome di ombra o di mostro, in cui confluiscono le nostre domande, le nostre difficoltà, i nostri dilemmi esistenziali.
Ecco che, allora, quel mostro rappresenta quella parte che noi facciamo fatica ad accettare di noi stessi, che non vorremmo accogliere, che vorremmo non avere o non vedere, l’insieme di tutte quelle cose che odiamo di noi stessi e che, in assenza di uno strumento che ci aiuti a evolvere, finiamo per proiettare sugli altri.
Viviamo, infatti, costantemente nel tormento della contraddizione, dell’insensato, del dolore e delle brutture della vita. Evolvere se stessi, però, significa imparare ad accettare che alcune cose necessitino di tempo, che abbiano bisogno di scavarci dentro, affinché possano essere comprese fino in fondo, scrive Guizzardi. Così, cresciamo veramente solo quando impariamo a sviluppare la sensibilità adatta per perdonare qualcuno che ha bisogno del perdono oppure quando impariamo a sperimentare la nostra stessa vulnerabilità per accettare la vulnerabilità e la fallibilità degli altri. Dare valore a qualcosa solo se ritenuta comprensibile significa limitare l’esistenza.
Il processo di individuazione
Claudio Risé spiega che l’incontro con il personale mostro è necessario per evolvere se stessi e che questo incontro è una tappa fondamentale del processo che Jung chiama di “individuazione“. Conoscere le altre tappe, rappresentate da altrettanti archetipi, aiuta a comprendere meglio il senso della ricerca dell’identità.
- La Persona è la prima figura archetipica che aiuta in questa sfida che chiamiamo crescita personale. Letteralmente, per via della derivazione latina, la Persona è il “fornitore dei vestiti e delle maschere che l’individuo utilizza per gestire al meglio il rapporto con gli altri”. Un “Io vicario” che corrisponde, da una parte, alle intenzioni dell’individuo e, dall’altra, alle opinioni dell’ambiente (che compaiono alternativamente) e che permette all’individuo di adattarsi alla società.
- L’Io è la forza che rappresenta l’attività psichica della coscienza. Una delle sue prerogative, fin dalla sua formazione, è la conquista della sua libertà rispetto ai modelli imposti dalla cultura corrente e dagli aspetti collettivi di maggiore influenza e condizionamento dell’esperienza personale. Un Io ben formato è, dunque, un Io autonomo, libero dalle spinte alienanti del mondo che vorrebbe ridurlo all’oggettivazione.
- L’Ombra racchiude tutti quegli aspetti che l’individuo non conosce di se stesso e che preferisce non vedere. Rappresenta tutto ciò che è stato rimosso per l’educazione e le influenze dell’ambiente sottoposte all’individuo. Questi elementi sono rappresentati con figure oppressive, demoniache, distruttive come le emozioni che incarnano fino all’elevazione al livello della coscienza, mostri e viaggi nell’oscurità.
- L’Anima (per l’uomo), rappresentata come una donna, ingloba tutti gli aspetti psichici e mentali, ossia il primo contatto iniziatico dell’individuo con la propria spiritualità. È l’archetipo più comunicativo di tutti gli altri perché sommerge l’individuo di immagini provenienti dall’inconscio. L’Animus (per la donna) rappresenta il maschile, fatto di aspetti pratici e concreti, razionali, e reali, ossia il contatto con la sfera del diretto, del materiale e del tangibile. È in questa fase di relazione con l’Anima che l’Io-adulto prende le distanze da un Io-adolescente, da una Persona non ancora ben definita e dalla piatta sagoma dell’Io-senza-Ombra dell’uomo del gregge, finalmente elevandosi. L’Io non possiede il senso del corpo, che nasce da un sentire arcaico e inconscio: piuttosto, egli lo teme. Per questo, per potersi aprire, deve cedere il passo ai diversi aspetti del processo individuativo, a partire dall’Anima e, naturalmente, dal corpo che, con il suo apparato sensoriale, è coprotagonista dell’intero processo di ricerca e crescita personale.
- Il Sé è la vasta prateria della consapevolezza, il traguardo del percorso di individuazione, il fine dell’individuo che si dispiega avanti a lui. Viene rappresentato come luce, come centro e come Dio. Il Sé rappresenta l’individuo stesso con tutte le sue esperienze. Se l’individuo ha incontrato il Sé significa che l’Io è allineato con esso. Non incontrarlo significa semplicemente che il percorso non è ancora terminato. Il Sé è la totalità psichica, il centro complessivo della personalità conscia e inconscia. In esso trovano sintesi le forze del rinnovamento e del compimento della natura umana. Se esso non riesce a diventare il centro del processo d’individuazione, ciò indebolisce l’Io, la sua coesione e la sua capacità di guidare il processo di crescita personale. Prevalgono, allora, le altre figure, con rischi evidenti per l’equilibrio e il benessere della persona: un Io rigido o la Persona, l’Anima o l’Animus o, peggio ancora, l’Ombra. Infatti, senza la sintesi finale di esperienze di Sé, la personalità rischia di regredire nelle fasi più comode, dalla Persona, con le sue celebrazioni dell’immagine, all’Anima, che riduce tutto all’impero delle emozioni e dei sentimenti. Ma il rischio maggiore è lo sprofondare dall’Anima nell’Ombra, come accade per Otello, poiché, quando il processo di individuazione e di crescita personale è già in fase avanzata, se il soggetto non regge le sfide poste dallo sviluppo della coscienza, viene risucchiato dalle pulsioni distruttive dell’inconscio che abitano l’Ombra.
L’Io e il Sé
Il Sé, dunque, è il vero motore che si rivela gradualmente (e neppure sempre) e che spinge ad ampliare la coscienza, in quanto autentico centro della personalità complessiva, conscia e inconscia, individuale e collettiva. Nel corso della prima infanzia, se è andato tutto bene nel rapporto con la madre, Io e Sé appaiono fusi, interi. Ma, successivamente, sono destinati a separarsi, a perdersi, per potersi ritrovare più in avanti, al completamento del processo di crescita personale. Nella fiaba dei fratelli Grimm, “Hans il bambino di ferro”, ad esempio, il protagonista perde la palla d’oro che rappresenta simbolicamente il “Sé”, appunto.
Con la perdita della totalità, inizia l’educazione che dà vita a una “parzializzazione della coscienza che produce un personaggio capace di cambiare il mondo: l’Io, l’eroe parziale” (in Claudio Risé). Nasce così l’Io-individuale, parziale, limitato, che va pian piano a prendere forma proprio nel confronto con i suoi confini, con la sua limitatezza.
La creatività per vuotare il sacco
Solo più in avanti negli anni, se si struttura un Sé abbastanza forte da spingere verso l’individuazione e l’Io è così elastico e flessibile (forte e strutturato, dunque) da accoglierlo, ha inizio la fase del riconoscimento e dell’integrazione dei contenuti rimossi e accantonati nell’ombra (nel sacco delle esperienze incomprensibili, potremmo dire) che completerà il processo di crescita personale.
Per questo, spiega Bly, se un uomo sigilla nel sacco la sua ombra per vent’anni o anche più, quando quel sacco si apre, le parti negate della personalità si presentano regredite e abbrutite. Perché dentro ci sono tutte le emozioni negative che sono divenute ostili. Esse vanno, perciò, integrate con un mezzo utile, come la letteratura, la scrittura o l’espressione artistica. Cioè, le pratiche artistiche aiutano l’individuo ad aprire il suo sacco e a guardarci dentro in sicurezza.
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