Nessun comportamento è libero dall’influenza delle emozioni, neanche i pensieri. Perché anche i pensieri, al pari degli altri comportamenti, possono essere educati. Esiste, infatti, una chiara relazione tra emozioni e pensieri che produce un loop sul quale possiamo intervenire. Se nutriamo la nostra mente di pensieri positivi, se interrompiamo sul nascere l’effetto scivolo delle emozioni negative, ci predisponiamo volontariamente a modificare le inefficaci abitudini di pensiero e a vivere delle emozioni piacevoli che ci proiettano nella modalità creativa. Diversamente, ci rifugiamo in una modalità difensiva in cui i pensieri negativi su noi stessi realizzano le peggiori profezie. Alla lunga, la disarmonia di questa modalità di gestire gli stati mentali diventa una malattia.
A che servono i pensieri?
La funzione evolutiva del pensiero, legata alla formazione della neocorteccia, è garantire la sopravvivenza, ideando strategie mirate alla fuga dai pericoli e alla soluzione dei problemi. A patto, però, che il pensiero si traduca in un’azione concreta. Se non accade, esso assolve al compito di surrogato dell’azione, un’azione simulata, immaginata, dunque, che ha lo scopo di scaricare l’eccessiva tensione a carico dell’Io.
Evolutivamente, tutto questo aveva un senso, visto che l’uomo era chiamato a ideare strategie per non diventare la colazione della tigre con i denti a sciabola. Ma, da quando i pericoli sono sempre meno reali e sempre più immaginari (vissuti depressivi, senso di inadeguatezza, ansie, incertezze, dubbi sul futuro), perché legati al mondo della mente, i nostri nemici non solo non sono diminuiti ma si sono perfino moltiplicati.
I pericoli, dunque, oggi si spostano, per lo più, dal mondo reale a quello della mente. Essendo, però, impossibile risolvere con un’azione reale un pericolo non reale, il carico di tensione aumenta in modo esponenziale e, con essa, la sofferenza psichica. Ma si tratta di paure immaginarie che vengono alimentate da pensieri distruttivi e da emozioni negative.
I pensieri possono essere modificati
Un principio del buddhismo, oggi recuperato e valorizzato da diverse correnti psicologiche, come la Psicosintesi di Roberto Assagioli, citata da Giulio Cesare Giacobbe nei suoi libri, dice che noi veniamo dominati da tutto ciò con cui ci identifichiamo, mentre dominiamo tutto quello da cui ci dis-identifichiamo. Poiché noi ci identifichiamo con i nostri pensieri e con le nostre emozioni, finiamo per credere che il mondo della nostra mente sia il mondo reale e per cadere nelle pericolose trappole che i pensieri ci tendono. E poiché i pensieri negativi hanno la peculiarità di riprodursi di continuo e inconsapevolmente, visto che, per una legge d’inerzia, questa crea un inspiegabile godimento per il nostro cervello, fermare il circolo vizioso che producono diventa difficile, se non si sa come fare.
Per dis-identificarsi dai pensieri caotici, occorre riuscire a spostare l’attenzione dal pensiero alle reazioni emotive (in genere, alla paura che proviamo) o, cosa un po’ più complicata, all’immagine che abbiamo di noi stessi in quel dato momento. Questa operazione ci aiuta a vedere con distacco il pensiero (si chiama distacco estetico), a riconoscerlo come inefficace o passeggero e a interrompere il loop. Una buona strategia è, a questo punto del processo, la sostituzione del pensiero abituale con un’immagine piacevole (cioè, ad esempio, distrarsi da una preoccupazione, concentrandosi su cose che ci fanno sentire bene).
Naturalmente approdare all’autoconsapevolezza richiede applicazione ed esercizio costanti. Per questo esistono Scuole di crescita personale, come quella di Coaching in Intelligenza Emotiva.
I pensieri dipendono da noi
Quando accettiamo il circolo vizioso di riproduzione e moltiplicazione dei pensieri negativi, autorizziamo implicitamente la nostra mente a infliggerci sofferenze. Scrive Giacobbe: “Il pensiero è come un coltello: ci puoi imburrare il pane o tagliartici la gola. È incredibile come quasi tutti preferiscano la seconda soluzione e non la prima.”
Insomma, i pensieri dipendono da noi. Se sono negativi, il nostro organismo si intossica con il cocktail di emozioni negative che si diffonde nel nostro organismo. Le conseguenze si chiamano disarmonia e malattia. E, cosa ancora peggiore, realizzano la profezia che, senza accorgerci, creiamo e realizziamo intorno a noi stessi (mi va tutto male, sono sfortunato, ce l’hanno tutti con me, nessuno mi aiuta, ecc…).
Se siamo abbastanza abili da correggerli con pensieri gradevoli, scopriamo che la felicità è realmente a portata di mano.
Fuori dal cerchio delle preoccupazioni
Rivolgere l’attenzione verso l’interno, verso di noi, restando, quindi, nel cerchio di influenza di cui parla Covey, invece di affannarci nel cerchio delle preoccupazioni, che è tutto intorno ma fuori da noi (nel mondo dei pensieri caotici che interferiscono con la nostra felicità,) ci porta a riappropriarci di noi stessi e del nostro potenziale di trovare soluzioni creative per la nostra vita. Che, poi, è il segreto per godersi la vita.
Poiché il loop di pensieri si basa sulle abitudini, la soluzione è, in definitiva, la trasformazione dell’abitudine stessa. Lo ha scoperto Bill Wilson, l’ideatore del programma in dodici passi per gli Alcolisti Anonimi. Il suo metodo ebbe successo perché si basava sulla sostituzione della routine. La routine, come spiega Charles Duhigg, è l’unica fase dell’abitudine che può essere sostituita. Duhigg spiega che le abitudini non possono essere dimenticate o cancellate ma possono essere sostituite, modificando la routine. Il ciclo dell’abitudine, infatti, parte da un detonatore (o segnale, un fatto, un’emozione, un pensiero, un desiderio) che innesca una routine (la ripetizione ciclica di un’abitudine) che, a sua volta, offre una ricompensa.
Per modificare le abitudini, allora, basta sostituire la routine. Wilson ipotizzò, infatti, che la smania (ricompensa) degli alcolisti non fosse essere ubriachi ma rifuggire l’angoscia per mezzo del bere (routine). Creò, dunque, gruppi di mutuo aiuto (sostituzione della routine) che assolvessero esattamente alla funzione di dare sollievo emotivo.
Che cosa saremmo disposti a fare se scoprissimo che cambiare un pensiero abituale può darci sollievo?
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