Nei giorni scorsi, la Camera ha approvato all’unanimità una proposta di legge che mira «all’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico» della scuola. In pochi, tuttavia, ancora oggi, hanno ben compreso che cosa siano le «competenze non cognitive» e, soprattutto, solo una manciata di pensatori e senzienti ne ha compreso l’utilità del loro inserimento tra i metodi didattici della scuola. Le esternazioni sui social di una parte dei docenti e alcune autorevoli firme (almeno, così mi sembravano prima di aver letto i loro articoli) che remano nella direzione contraria (e chiedono a gran voce che la stessa legge venga bloccata in Senato) mi autorizzano a difendere questa fondamentale conquista e a spiegarne le ragioni. Potrò farlo, tuttavia, in maniera sommaria, rimandando gli interessati a tutti gli articoli di questo sito che da anni trattano l’argomento della necessità di fondare, finalmente, una scuola dell’intelligenza emotiva.
Sono di parte, lo so!
Ho da tempo legato il mio nome al movimento che intende introdurre l’intelligenza emotiva nella scuola italiana. Ho iniziato nel 2018, allorquando mi presentai con l’idea di una Mozione Parlamentare all’On. Bellucci di FdI. Fu proprio l’On. Bellucci a prendere l’impegno con me, nel corso della presentazione nella Sala delle Conferenze Stampa della Camera dei Deputati. Ho proseguito in tutto questo tempo e, nel novembre 2020, ho collaborato alla stesura della Proposta di Legge in tema di necessità di formazione del corpo docente a quelle che oggi vengono chiamate competenze non cognitive. Nelle more, anche la Proposta di Legge “Lupi”, di cui tanto si parla in questi giorni, è passata per le mie mani. Sono stato tre volte a Montecitorio per presentare le mie idee su quella che dovrebbe essere la scuola del futuro.
Oggi, però, più di ieri, mi sento parte in causa in quello che accade. Vuoi perché sono ancora tra i pochi a insistere su questa linea di coerenza e parlarne apertamente, vuoi perché questo, nel frattempo, è diventato il mio lavoro principale. Da editore e da formatore, infatti, scrivo e distribuisco alcuni tra i pochi corsi di alta formazione sull’intelligenza emotiva a scuola. Non trascuro il fatto, quindi, che con grande facilità si potrà confondere la causa comune (per la quale mi batto ma a cui nessuno, tuttavia, mi ha mai incaricato) con quella personale.
Diciamo, allora, che ho iniziato a scrivere corsi di formazione per il mondo della scuola per tre motivi:
- per legittima difesa, poiché ho paura del clima di conflitto sociale, alimentato dai grandi comunicatori che nessuno ha i mezzi emotivi per smascherare. Clima che si respira ovunque e che credo che la scuola debba avere la sua parte nell’arginare (fenomeno delle baby gang, bullismo e cyberbullismo – fenomeni dall’insorgenza sempre più precoce-, femminicidi, violenza di genere, diffusione del terrore, addormentamento della coscienza collettiva, degrado ambientale e non so dove finirei con l’elenco se il mio obiettivo non fosse un altro…);
- perché non lo faceva nessuno (ma qualcuno doveva pur farlo nell’interesse di tutti quelli che ne avvertono l’urgenza). Sia chiaro che non mi aspetto che venga compresa la fatica del pionierismo nel deserto, quando si tratta di portare avanti talune battaglie;
- infine, per dare consigli. Già! Perché, se non ci fosse una Proposta di Legge, io direi esattamente le stesse cose che dico e scrivo adesso. Conoscere strade alternative o aggiuntive (che in molti preferiscono non vedere, ritenendo di sapere anzitempo dove si andrà a parare) ritengo sia una ricchezza. Poi, i docenti si regoleranno. Nessuno vuole imporre qualcosa.
C’è un’altra ragione: io ci credo veramente. E continuerò su questa strada, anche se la Legge sulle competenze non cognitive dovesse tramontare. Perché sono certo che sia la strada giusta per sollevare le sorti della scuola. Per questo voglio provare a convincere tutto il mondo che il mio punto di vista sia quello corretto. Poi ognuno ne farà quello che vuole. E io continuerò con chi avrà voglia di starmi a sentire.
Non perdiamo tempo
Vengo al dunque. Gli articoli che ho letto in questi giorni di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere della Sera con il titolo di “La scuola non deve essere luogo di controllo e omologazione“, e quello di Mariano Turigliatto, pubblicato sul Fatto Quotidiano con il titolo di “La legge sulle ‘soft skill’ è l’ennesimo tentativo di snaturare la scuola“, mi trovano molto perplesso poiché completamente e incomprensibilmente anacronistici e decontestualizzati. E spiego perché.
- Innanzitutto, devo supporre di essermi perso qualcosa. È impossibile, infatti, che un pensatore titolato come il Prof. Galli della Loggia possa ritenere che i problemi della scuola si risolvano “dotando gli studenti poveri del computer di cui sono privi” e che non comprenda che, per “insegnare davvero a scrivere in italiano a centinaia di migliaia di giovani che continuano a uscire dalle aule [scolastiche] incapaci di farlo”, serva entusiasmarli, motivarli, interessarli, adattando le nozioni alle loro storie personali, alle inclinazioni e ale passioni, tutti aspetti legati alle emozioni degli studenti.
- Turigliatto parla di una legge che “introduce un’ulteriore attività, trasversale a tutte le discipline, che potrebbe/dovrebbe servire ad affiancare le competenze tecniche e culturali (hard skills), i contenuti e i metodi delle discipline scolastiche, con quelle generate dall’intelligenza emotiva dei ragazzi e dal loro background famigliare e sociale (soft skills).” Ma non è affatto così, come spiega molto chiaramente in premessa il dispositivo di Legge 2372 in corso di approvazione: “Non si tratta di introdurre una nuova materia curricolare né di stravolgere gli ordinamenti didattici esistenti, ma di migliorare il rapporto con gli studenti.”
- Posso, al tempo stesso immaginare, tuttavia, che gli autori degli articoli non siano abbastanza informati sul fatto che proprio le competenze non cognitive siano il mezzo per approdare ad apprendimenti stabili, come, appunto, scrivere o parlare. Non essendo il loro mestiere, probabile che non immaginino come si debba articolare una didattica curricolare che agisca, oltre alla viralizzazione del sapere, anche all’acquisizione delle competenze emotive, che non sono “altro” dai contenuti ma solo “altra modalità”, io credo la più efficace, a supporto, a sostegno di una didattica trasmissiva che ha reso famosi i ragazzi italiani, stando a quanto rileva il Centro di Ricerca Educativa dell’OCSE, per la loro incapacità ermeneutica. Interpretare, infatti, vuol dire mettersi dalla parte dell’altro, ciò a cui prepara un’educazione all’empatia (che, per inciso, già in sé non può che far bene ai nostri adolescenti). Se mai dovessero leggermi, invito gli autori degli articoli in questione a leggere uno qualunque dei miei articoli degli ultimi anni sulle premesse alla Didattica dell’intelligenza emotiva e sull’importanza dell’educativa emotiva per l’educazione del pensiero. O sull’insegnamento personalizzato e l’apprendimento multisensoriale creativo.
- Secondo me, non è credibile che una legge che vuole addestrare i ragazzi all’«autocontrollo», alla «stabilità emotiva», all’«empatia», alla «fiducia in se stessi» e alla «resilienza», a «gestire le emozioni e lo stress», a «comunicare», a «prendere decisioni» e a «risolvere problemi» venga meno che applaudita da tutti. Eppure, c’è chi scrive che coltivare la fiducia in se stessi e l’autostima, la capacità di adattarsi in fretta alla scuola, alla società, all’azienda, imparare a resistere alle tensioni e allo stress, sviluppare la capacità di organizzare e pianificare, studiare, applicare e ascoltare, coltivare intraprendenza, comunicatività e resilienza, lavorare in gruppo, saper negoziare, esercitare leadership, sembra che siano gli atti supremi dell’espressione di un “totalitarismo omologante” partorito da un “Parlamento dove regnano l’incompetenza e la demagogia”. Ma la legge dice e auspica l’esatto contrario!
Insomma, non solo abbiamo già dimenticato che tutto questo è espresso nella Raccomandazione 23 Maggio 2018 sulla Didattica per Competenze dell’Unione Europea ma stiamo dimostrando di essere noi i primi ad aver bisogno di una scuola dell’intelligenza emotiva. O delle competenze non cognitive.
In breve
In breve: le competenze non cognitive offriranno delle opportunità enormi a docenti, studenti e famiglie. E gioveranno alla scuola italiana, dato che le esperienze affini in altri Stati (di cui parlo negli articoli che consiglio per gli approfondimenti) hanno fatto registrare ottimi risultati.
Soprattuto, gentile Prof. Galli della Loggia, si può non essere d’accordo ma le accuse di incompetenza e il livore delle parole sono proprio le cose che vanno combattute in una scuola che vuole contrastare gli odiatori in erba. Figurarsi se ne vogliamo di adulti. In molti saranno d’accordo con lei. In tal caso, anch’io sono tra gli incompetenti che hanno voluto questa legge. I più confido che saranno d’accordo con me. Ma, se non sarà così, non penserò di aver davanti dei somari abilitati all’insegnamento.
Credo che in tutte le cose ci sia qualcosa di buono, senza creare categorie dicotomiche che si dibattono tra “amico e nemico”: è proprio l’impoverimento lessicale e la mancanza di consapevolezza delle implicazioni emotive delle parole che creano questi schemi di pensiero fallimentari. Davvero in questa legge non c’è nulla che valga?
O bianco o nero?
Chi viene educato al bianco o al nero, senza ammettere le tante sfumature di grigio, si fa portare a spasso dai grandi comunicatori, quelli che impongono il totalitarismo omologante di cui viene tacciato ogni tentativo di andare nella direzione esattamente opposta.
In democrazia dovremmo ammettere la divergenza di opinioni come una ricchezza. Annullare gli atri non è mai la cosa giusta. Anzi, la vera demagogia (ciò di cui viene accusata la proposta di legge sulle competenze non cognitive) è proprio cercare di annichilire l’altro sparando a zero, senza alcuna proposta alternativa. Ma questa è un’arte nella quale oggi tutti sanno eccellere, anche senza chilometrici curricula. Personalmente, ho molto rispetto delle competenze altrui ma sono costretto a chiedere a ognuno di occuparsi di ciò di cui è altamente competente. E di lasciar fare il proprio lavoro agli altri. Se poi non saremo d’accordo, se ne potrà parlare: in che misura? Perché? Qual è l’alternativa? Non è che il disaccordo comporti necessariamente l’incompetenza di chi non la pensa come noi. La scuola delle competenze non cognitive deve insegnare proprio questo, laddove ciò sfugga anche agli illustri cattedratici. E forse tutti avremmo ancora bisogni di andarci ad accomodare per un po’ tra i banchi di una scuola dell’intelligenza emotiva. Nessuno escluso.
Chiudo: secondo me, si tratta di un grande passo per restituire alla scuola il ruolo di ascensore sociale. E, se la legge non andrà avanti, si potranno comunque perseguire i suoi principi nella sostanza, con i docenti più giovani e motivati a cambiare le tante cose che realmente non vanno nel sistema d’insegnamento della scuola italiana. Io continuerò a fare il mio in questa direzione. Anche se dovessi restare da solo.
Spero proprio che la legge venga approvata. Io sono un’insegnante e seguo la scuola in arte terapia. I ragazzi hanno tanto bisogno di esprimere le loro emozioni con più linguaggi e non ponendo loro domande dirette come succede oggi, ma non solo da parte degli insegnanti ma anche dagli esperti esterni. Comunque come dici tu, anche senza legge si può fare tanto.