Qual è il limite della nostra scuola? Credere di poter sviluppare l’autonomia di pensiero indipendentemente dall’educazione delle emozioni e dei sentimenti. Oggi è abbastanza chiaro, e le neuroscienze lo dimostrano, che le emozioni hanno bisogno di essere educate, perché educandole si potrà educare anche il pensiero. Anche perché, se non riusciamo a regolare proprio la nostra emozione, non soltanto non riusciamo a pensare ma, non pensando, siamo esposti al rischio di infelicitarci l’esistenza, perché dietro a ogni decisione e appuntamento della nostra vita si cela il rischio di un pericoloso fallimento.
Il dibattito sull’educazione
Le emozioni sono, dunque, la parte più cara e significativa della nostra vita e hanno bisogno di essere educate. Se, infatti, da una parte il pensiero logico (e la scuola operano fortemente in questa direzione) viene educato con la storia e con tutto quello che noi definiamo cultura, occorre, d’altro canto, domandarsi quale sia il modo migliore per educare le emozioni. L’unica risposta possibile è che le emozioni si educano prima di tutto con le emozioni stesse e poi anche con il pensiero. Questo vuol dire che possono essere educate utilizzando i percorsi artistici e il lavoro sul corpo che, come già detto, è la cassa di risonanza dei vissuti emotivi che l’espressione artistica permette di incontrare.
Questo spiega, tra l’altro, il crescente interesse della scuola all’educazione emotiva e dello sport: nello sport c’è la storia delle nostre emozioni, la storia di quello che noi siamo diventati, soprattutto perché lo sport è un mezzo fondamentale di educazione
- alla fiducia,
- all’autostima,
- al rispetto.
Temi delicati e caldi nel dibattito sull’educazione nella società contemporanea.
L’arte, peraltro, svela le emozioni, perché permette di portarle fuori e di vederle (e di riappropriarsene) in altra forma (quella artistica, per l’appunto) che accompagna la persona verso l’autoconsapevolezza.
Il ruolo del docente
Ecco, allora, che per una crescita armonica dei ragazzi ciò che viene richiesto all’insegnante è di essere anche un trainer, un coach emotivo, perché questo farà crescere gli studenti in maniera armonica, come auspicato in nome di un futuro e di un mondo migliori.
L’educazione emotiva a scuola, in questo senso, ha il compito di sopperire ai limiti di un’educazione fin troppo razionale, basata su logica, pensiero e parola (con quali risultati, poi, sarebbe tutto da vedere!). Non tutto può essere risolto a livello della ragione. Occorre, per contro, cavalcare di più gli stati d’animo con cui abbiamo avuto dimestichezza fin dall’alba della nostra storia, molto prima di iniziare a parlare.
Due in particolare sono gli aspetti fondamentali che dovrebbero essere curati dall’educazione emotiva:
- il riconoscimento e
- la regolazione delle emozioni.
Vediamo che significa tutto questo, vediamo perché è urgente: capiremo come l’educazione emotiva nella scuola e l’esistenza di un Metodo Didattico dell’Intelligenza Emotiva, di un linguaggio che aiuti a prendere confidenza con le emozioni, sia la chiave per il successo educativo, da una parte, e dell’apprendimento, dall’altra.
Tutti competenti?
Riconoscere le emozioni (va detto) è, tuttavia, obiettivo tutt’altro che semplice. Tutti credono di
- avere grande dimestichezza con l’alfabeto emozionale,
- di possedere grande intelligenza emotiva,
- di essere capaci di empatia
- e di poter riconoscere facilmente tutte le emozioni,
specie quelle degli altri, ma la realtà è differente. C’è di positivo che questa competenza può essere appresa e che in tal senso aiuta molto il gioco creativo. Per questo i mezzi artistici sono ideali per lo scopo.
Riconoscere le emozioni
Riconoscere opportunamente le nostre emozioni per riconoscere quelle degli altri (e saperle distinguerle) è fondamentale e deve essere un obiettivo dell’educazione emotiva (prima in famiglia ma anche) della scuola, come della crescita personale degli adulti. Il discorso sul riconoscimento delle emozioni si articola lungo tre gradi di profondità crescente della questione.
- Riconoscere le emozioni primarie e distinguerle da quelle secondarie. Una educazione emotiva ben fatta deve aiutare a riconoscere le emozioni che appartengono alla storia evolutiva dell’uomo (paura, felicità, rabbia e dolore, secondo la più recente classificazione che ne fa lo psicologo e studioso americano Paul Ekman) e distinguerle da quelle derivate, da quelle sfumate, che derivano in buona misura anche dall’imprinting culturale. Riconoscere le emozioni primarie è più semplice. Le emozioni secondarie e derivate sono ben più difficili da comprendere.
- Riconoscere le emozioni proprie e distinguerle da quelle degli altri. A questo livello si gioca la partita dell’empatia: sapere quel che noi proviamo per poter riconoscere gli stati d’animo degli altri ci aiuta a sentire anche la sofferenza degli altri, a essere, quindi, più miti e a imparare ad ascoltare e a tollerare (competenza di cui ha bisogno il mondo ma che in natura scarseggia).
- Separare e distinguere le diverse identità emotive (la nostra da quella degli altri). Anche quando sappiamo riconoscere le nostre emozioni e riconoscerle negli altri, questo può non significare essere in confidenza con l’emozione guida. Ma se siamo allenati a riconoscere gli stati emotivi, abbiamo una maggiore probabilità di riconoscere l’emozione di fondo della nostra vita e immaginare quale sia quella degli altri. Questo ci permette di comprendere i comportamenti, i pensieri e le chiavi attraverso cui una persona legge il mondo e a tollerare, quindi, la differenza che invece oggi viene vista come un pericolo e una minaccia. L’identità emotiva è lo strumento attraverso il quale, infatti, noi diamo un significato a noi stessi e al mondo. Se noi ci rappresentiamo il mondo attraverso la paura o la tristezza o il senso di colpa, ci facciamo un’idea del mondo coerente con la nostra emozione di fondo. Ma se noi ci rappresentiamo il mondo attraverso un misto di emozioni che non conosciamo o identifichiamo correttamente, in tal caso diventa più difficile riconoscere l’emozione guida e, quindi, comprendere gli altri ed empatizzare con loro. Ciò a cui si rimedia con una buona educazione emotiva.
Regolare le emozioni
Il secondo aspetto riguarda la regolazione delle emozioni. Se consideriamo che le emozioni stimolano la produzione di ormoni e di sostanze come serotonina e dopamina, che pervadono tutto il corpo e diventano
- battito cardiaco,
- sudorazione,
- attivazione muscolare,
la ragione in tutto questo non può nulla. Anzi arriva solo subito dopo a prendere coscienza di quello che sta accadendo al corpo. È così che avviene la regolazione degli stati d’animo.
È un processo che si può verificare solo in parte: il fatto che tutte le sostanze pervadano il nostro corpo, e che quindi i fatti emotivi, ad esempio, sono anche quelli che ricordiamo di più, rendono difficilmente controllabili le emozioni con il pensiero e la ragione. Questo, tuttavia, continua a rimanere l’orientamento dei cognitivisti, i quali credono ancora oggi che l’impegno di educare l’uomo possa avvenire solo attraverso la cultura, perché è la cultura che ci salverà. Molti esperti di processi educativi e formativi come Daniela Lucangeli, Umberto Galimberti e Massimo Recalcati, però, affermano che nessun apprendimento può avvenire senza affettività. A maggior ragione nessun apprendimento emotivo è possibile senza emotività.
Rimane sempre vero il fatto che la più importante educazione emotiva avviene per il tramite dei nostri genitori e della relazione emotiva che abbiamo con essi. Questo determinerà la nostra sicurezza da adulti. Se, come spiega Bowlby, le nostre relazioni di attaccamento saranno di tipo sicuro, allora riusciremo ad affrontare in mondo congruo
- il dolore,
- le preoccupazioni,
- l’infelicità e
tutto ciò che di negativo potrà accadere nella nostra vita. Ma se abbiamo delle difficoltà sul piano emozionale, (e in molti hanno delle carenze su questo piano), allora diventa percorribile la strada di un piano B: l’educazione emotiva secondaria che ripari i deficit legati all’educazione primaria e ai condizionamenti culturali.
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p style=”text-align: justify;”>E questo diventa il compito della scuola, attraverso una didattica funzionale, basata sull’intelligenza emotiva.
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