La paura è l’emozione più importante della nostra storia personale e della storia evolutiva della nostra specie. È la paura che, infatti, ci ha permesso di sopravvivere, consentendoci di individuare i pericoli e di evitarli o di combatterli.
Il viaggio
Nel viaggio verso la salvaguardia della specie, dunque, l’uomo ha dovuto attraversare molte paure, soprattutto quella di diventare il pasto di una belva feroce. Da quando, tuttavia, il problema del genere umano non è più essere inseguiti dai leoni e dalle tigri, le paure si sono moltiplicate e sono diventate, qualora ciò fosse possibile, ancora più estese e pervasive.
Una delle ragioni per cui accade oggi di provare paura autoprodotta dalla nostra mente risiede nel fatto che, un tempo, questa nostra compagna di viaggio era la leva per attivare il pensiero che portasse alla soluzione di un problema (quello, appunto, di salvarsi la pelle per continuare a riprodursi). In altre parole, il nostro cervello ha memorizzato, nel corso dei millenni della storia umana sul nostro pianeta, la traccia emotiva della paura come motore per ideare strategie per risolvere problemi concreti. Traccia che oggi rimane nei nostri pensieri. Con una differenza: se un tempo il pensiero era finalizzato all’azione, essendo i pericoli ormai immateriali, oggi esso è un surrogato dell’azione. Cioè, sostituisce un’azione che non c’è. In altre parole (poiché le paure sono prevalentemente immateriali e immaginarie), non potendo tradurre in azione il pensiero, esso permane, si moltiplica, si amplifica e diventa pervasivo.
Questa, peraltro, è la ragione per cui gli psicologi sostengono che il pensiero sia essenzialmente nevrotico, nel senso che si autoproduce anche (e soprattutto) quando non può dare luogo a una concreta finalizzazione (ovvero, il passaggio all’azione).
La paura
Così, la paura dei nemici reali, presente in tutti i racconti, nell’era moderna si traduce nella continua sensazione di dover affrontare una possibile perdita. Ma, non essendoci alcuna azione concreta da compiere a fronte di una paura immaginaria, finiamo per soffrire. Viviamo le giornate come se qualcuno ci stesse rubando il futuro o mettesse in pericolo la nostra felicità.
Le nostre paure diventano così
- la delusione,
- le aspettative che riponiamo negli altri o nello Stato,
- l’incertezza,
- l’incompletezza,
- l’incompiutezza,
- la sensazione di perenne sospensione…
tutti stati d’animo che, in verità, genera la nostra mente (che non si sa bene perché sia programmata in questo modo) per dare un nome all’emozione che non ha voce.
Naturalmente, gli effetti della paura non riguardano soltanto la nostra storia individuale ma hanno dei riflessi anche nella nostra stessa storia di relazione. Così, siamo sempre più diffidenti, guardinghi, sfiduciati, preoccupati, e, di conseguenza, ostili e aggressivi.
D’altro canto, la paura viene costantemente alimentata anche dei grandi comunicatori, il che ci rende ancora più permeabili e vulnerabili, al punto che anche le nostre scelte e i nostri comportamenti ne sono fortemente condizionati.
La paura è, d’altro canto, la merce più venduta e, al tempo stesso, quella più facilmente vendibile, data la sua presa immediata sulla nostra mente. Così, le pagine dei giornali, i notiziari politici, i TG, i post sui social sono impostati intorno al rifornimento emotivo del clima di terrore a cui è difficile resistere. Rifornimento emotivo che fa della paura, oggi come un tempo, il più efficace mezzo di propaganda politica.
L’uomo con lo zaino
Scontento e deluso, allora, l’uomo moderno si consegna con grande rassegnazione all’ansia e alla depressione, connaturate con la sensazione di essere saccheggiato, depredato, derubato della felicità.
Quand’è allora che sconfiggiamo la paura? Quando ne acquisiamo la consapevolezza, la osserviamo come si osservano i pensieri, con distacco, la attraversiamo e, in fondo, vi scopriamo il coraggio.
Siamo in viaggio, lungo la nostra vita, con uno zaino in spalla. Sta a noi decidere che cosa metterci dentro. Se lasceremo che altri mettano per noi la paura, gravoso sarà il fardello che dovremo sopportare. Se, viceversa, sceglieremo la strada della consapevolezza, allora, quello zaino diventa un kit di sopravvivenza. Personalmente, ho pochi dubbi: per affrontare questo tempo servono agilità emotiva, leggerezza e felicità.
Solo così, diventeremo capaci di affrontare anche il percorso più impervio.
Si può fare, prendendosi del tempo per se stessi (il banner in fondo a questa pagina spiega come).
Certo, occorre precisarlo, quando la sofferenza psichica è profonda e radicata al punto da essere invalidante, serve sempre un intervento più profondo, con i giusti specialisti.
Ma, nella maggior parte dei casi, i percorsi di formazione all’intelligenza emotiva aiutano le persone a esprimersi, a osservarsi e a migliorare la qualità della loro vita. E anche quella delle altre.
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