Ci apriamo all’adultità, alla maturità, nel momento in cui avvertiamo il bisogno di raccontarci diversamente da quanto non abbiamo fatto prima. È in quel preciso istante, dettato dal bisogno di raccontarsi con altre parole o con altre modalità, nuove e più sincere, che inizia, inevitabilmente, una nuova fase della nostra vita. “L’età non c’entra”, scrive Duccio Demetrio: “Può accadere a vent’anni come a settanta”. E ogni volta, è l’elemento scatenante che determina quel cambiamento nel modo di essere e di pensare. Per molti il fattore scatenante è un vero e proprio bisogno di evolvere sé stessi, di prendersi cura di sé in qualche modo. Per altri, come scrive Claudio Risé nel libro “La scoperta di sé“, è la vergogna o il disgusto che si prova verso quell’io con cui, a un certo punto, fatichiamo a riconoscerci.
Il concetto di maturità
Ciò che noi abbiamo vissuto nella nostra storia intensamente e i momenti che consideriamo cruciali, che siano piacevoli o momenti che consideriamo dolorosi, in tutti questi momenti, abbiamo fissato dei ricordi che appaiono indelebili e intermittenti. Essi affiorano alla nostra memoria nei momenti più impensati. L’autobiografia, in tal senso, ci aiuta a tessere le fila di questi tasselli sparsi nella nostra memoria.
Maturità, allora, diventa l’atto di comprendere i nessi esistenti fra tutti questi fili attorcigliati che appartengono alla nostra storia o di tutti questi frammenti di immagini che attraverso l’autobiografia creativa ci tornano alla memoria.
L’autobiografia, infatti, può essere
- scritta,
- narrata,
- realizzata sotto forma di processo artistico,
- reale o
- immaginaria.
Dipende dalla scelta che opera il suo autore, dalla scelta di narrare di sé.
È comunque un processo di crescita che possiamo definire (con Duccio Demetrio) di “adultizzazione”. Non che il bambino e l’adolescente non siano in grado di fare un lavoro autobiografico ma la capacità di cogliere i nessi e fare i collegamenti appartiene alla maturità, agli anni dell’adultità.
La scoperta di sé
È in questo momento che il significato della nostra vita comincia ad apparirci un po’ più chiaro, attraverso le trame che riusciamo a tessere e che rendono sempre più nitidi, visibili e netti i contorni di quell’immagine, di quel disegno di sé che spesso viene colto dagli altri prima ancora che da noi stessi. Questa riflessione diventa una scoperta di pienezza di sé, che lascia intravedere ancora una lunga strada da fare, dedicando una grande attenzione a tutto ciò che potrebbe ancora dover essere intrapreso, perché troppo presto abbandonato e messo da parte.
La maturità (intesa come età adulta) è il tempo dei bilanci. Fatale che porti con sé nostalgia e tristezza. Capita anche di vivere piccoli o grandi momenti di depressione: i ricordi ci chiedono di essere riordinati in base a dei criteri che non ci sono ancora ben chiari e potrebbero procurarci o rievocare qualche dolore. È così che occuparsi di
- ridisegnare se stessi,
- la propria vita e
- individuare gli stili di vita
porta alla scoperta che ciò che noi siamo non è soltanto il diletto di ciò che la mente vuole ricordare o respingere ma anche il puzzle in cui la priorità di alcuni ricordi e la marginalità di altri hanno un loro senso.
Se, allora, il desiderio giovanile è vivere del presente e proiettarsi al futuro, il desiderio dell’adulto è imparare a vivere dell’istante che la vita offre. Senza, tuttavia, disdegnare un sguardo al suo passato. Ecco, allora, che il presente della persona adulta, in piena e consapevole maturità, o ancora di più della persona anziana ma giovane dentro è un desiderio fatto di ricerca. Ricerca che parte dalla scoperta che la propria mente può fare ciò che prima era impossibilitata a fare e che si nutre delle necessità di continuare a rinnovarsi fino a quando il cambiamento non sarà molto evidente, prima a se stessi, e poi agli altri.
L’adultità e i sogni
Nella stagione della vita che chiamiamo adultità o maturità (che per alcuni, va detto, potrebbe non arrivare mai!), i sogni si arrestano, si fermano. È come se vivessero lo stallo e la sospensione dell’attesa. Ma non è un’attesa statica, bensì dinamica. È l’attesa che vengano ridefiniti, in virtù dei nuovi traguardi che serviranno alla persona per continuare a sentirsi viva.
Sentirsi vivi esprime il bisogno di esserci, il sentire di esserci, di essere presenti a se stessi e al mondo in un nuovo modo. Certamente in una condizione di maturità. Questo nuovo modo di vivere il presente, in questa fase della vita, equivale un po’ a desiderare di vivere ancora il tempo che è già passato: diventiamo tutti un po’ come Penelope nel desiderio (più o meno) inconscio per rinviare l’incontro con il futuro. Il desiderio di futuro per Penelope coincide con il perseguire l’eterno presente ed ella, con Ulisse, ci insegna che questo tempo adulto è fatto di pazienza che deriva dal pathos, dalla passione. Un pathos che aiuta a ricordare e che è fatto di ricordi ma che vive anche dell’ascolto del possibile.
Un pathos rimemorante che è fatto ancora di progetti, nella consapevolezza che ciò che doveva compiersi di fondamentale è già avvenuto e non può tornare. È così che la maturità della donna e dell’uomo permette di ricomporre i frammenti e di riannodare le fila di una storia che in alcune sue parti fondamentali si è già compiuta.
Ci aspettano nuove storie
È vero che ci saranno nuove storie. Ma potranno essere scritte proprio grazie al fatto che esistono quelle precedenti.
In fondo, non facciamo altro nell’età adulta che sperimentare il nostro personalissimo stile di vita. Poi ad un tratto accade qualcosa, un gesto, qualcosa, qualunque incontro che ci faccia intendere che lo stile che abbiamo cercato e che probabilmente abbiamo adottato fino a quel punto della nostra esistenza deve essere cambiato.
Scrivere la nostra storia in questo momento ha, allora, un senso tutto nuovo. Perché questo incontro autobiografico indica strade nuove per raccontare di desideri e aspettative che devono essere necessariamente diversi dal passato. Il resto è fascino della scoperta a cui improntare un nuovo stile di vita.
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