Dal “Va’, pensiero” di Giuseppe Verdi al “Pulcino pio“, il processo di de-intellettualizzazione della nostra società è completato. Tutta colpa della globalizzazione che, con la post-modernità, porta al decadimento dei costumi, dei valori e della cultura. Già tutto ciò che è “post”, per il solo fatto di venire dopo qualcos’altro, suona decadente in sé. Ma basta osservare ciò che accade per renderci conto di quanta strada ci siamo lasciati alle spalle in poco più di un secolo.
La nascita degli Stati Nazionali
Dopo il crollo dell’impero napoleonico ed il fallimento di assoggettare l’Europa all’egemonia francese (1815, Congresso di Vienna), gli Stati Nazionali iniziano a riorganizzarsi. Molti, come l’attuale Germania, per via dei troppi secoli di frammentazione interna e dominio straniero, per riappropriarsi della propria cultura, che nasce dalla riscoperta e dalla valorizzazione delle tradizioni, non possedendone di proprie, iniziano ad inventarne. Nascono così riti e culti del tutto creati ad hoc, per convincere i popoli delle origini degli Stati e della loro supremazia rispetto agli stranieri e ai barbari.
La formazione delle coscienze delle nuove generazioni, che rappresentano le future classi dirigenti su cui poggia l’identità degli Stati dell’Ottocento, passa per
- la visita ai grandi Musei (è in questo periodo che nascono, dopo il Louvre a Parigi del 1793, l’Isola dei Musei di Berlino e il British Museum di Londra) e per
- il Gran Tour, la consuetudine dei rampolli delle famiglie della borghesia europea di viaggiare, in compagnia dei precettori, per conoscere i luoghi della cultura. La maggior parte di questi viaggi vedevano l’Italia come meta privilegiata, alla scoperta delle rovine della civiltà della Roma imperiale.
Rivendicare lo spirito nazionalista
Il senso di questo riappropriarsi della propria cultura e conoscerne di altre è la spinta nazionalista di rivendicare la superiorità di un popolo che può contare, ad esempio, nei Musei del proprio Paese, sul fatto di vedere esposte testimonianze di culture minori, o di inviare nei luoghi che furono culla della civiltà i propri giovani a formarsi alla vita e ad accrescere il proprio sapere.
Uno tra i grandi nomi della storia del Novecento che incarna, perfino agli estremi, questo spirito è Hitler. Basti ricordare le opere costruite dal regime nazista, le modalità e i luoghi in cui si tenevano i raduni del Terzo Reich, in stile tipicamente romano, per ritrovare la sintesi di quanto fin qui detto.
La globalizzazione e la società liquida
Con la post-modernità e la globalizzazione, mentre prima ogni Stato tendeva e custodire gelosamente la propria cultura, si verifica una totale inversione. Arriva internet, compaiono mezzi di trasporto più veloci ed economici e, in un attimo, l’economia diventa globale. Tutto è alla portata di tutti e ogni bene, anche la cultura, può essere mercificato.
Ecco che crollano quei rigidi confini dell’Europa dell’Ottocento, in favore di quella che Zygmunt Bauman, il sociologo polacco scomparso di recente, battezza con il nome di società liquida. Una società in cui gli estremi coesistono e si fondono in confini che, di fatto, non esistono più.
Per questo oggi non sorprende più che il sacro di accompagni al profano e che non faccia differenza andare in un Museo per vedere i resti di una creatura preistorica o accontentarsi di una copia. E’ così che una cultura si de-intellettualizza, perché finisce per ammettere tutto, anzi meglio ciò che è fugace, semplice, sbrigativo, fungibile, rinnovabile e non impegnativo.
Non è forse su questo che si basa il consumismo? E non è vero che il consumismo ha contagiato anche la cultura?
I nuovi musei
Le foto che vedete le ho scattate personalmente al Centro Commerciale Auchan di Giugliano in Campania, vicino Napoli. Mi sembrava impossibile osservare degli adulti “spiegare” i dinosauri ai figli in un luogo in cui le famiglie vanno per fare acquisti. Bisogna arrendersi all’idea che questi siano i nuovi Musei della (in)cultura di massa.
Che ci piaccia o no, questo è. Bauman aveva ragione.
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