Prendi un gruppo di persone e lo porti su di un’isola deserta, a 12.000 chilometri da casa. Li butti in mare da un elicottero. Così, tanto per far capire loro che, da quel momento, valgono le regole della sopravvivenza e che devono sbrigarsela da soli. Togli loro tutto: il telefono, gli abiti, gli affetti, un tetto, il cibo. Li lasci nudi là per uno, due mesi, finché non imparano a convivere, a cavarsela con quello che trovano. Se sono famosi, meglio. Puoi farci un reality show da mandare in tv: c’è tanta gente che ha voglia di spiare le vite segrete di chi, di solito, è abituato all’agio e al benessere. Ma, se non lo sono, è uguale. Vedrai quello che tireranno fuori, quando scopriranno di dover scavare in fondo a se stessi.
I reality e il voyeurismo
Come mai proliferano i reality e i talent show? Tutti li detestano ma, nello share, hanno sempre una audience elevatissima. L’isola dei famosi, il grande fratello, master chef, amici… Quindi, in molti li guardano. Il motivo dovrebbe farci riflettere. E’ quello che, secondo gli esperti di comportamenti e di scienze umane va sotto il nome di moderno voyeurismo. Ed è dovuto al nostro analfabetismo emotivo, ovvero all’incapacità di esprimere le nostre emozioni in modo autentico che, per questa ragione, si ridestano per riflesso sulle vicende dei protagonisti di uno show.
Vale per i i talenti, i successi e i fallimenti, come pure per le emozioni a cui partecipiamo. Vivere le emozioni degli altri, in tal modo, appare più semplice ed è come se mettesse al riparo i telespettatori dal dover vivere le proprie.
Questo senso di immedesimazione empatica, d’altro canto, permette l’espressione, nel senso latino del termine (ex-premere, premere fuori), di istinti sopiti e primordiali che si risvegliano davanti allo spettacolo delle miserie umane.
Lo show della deprivazione, come nel caso dell’Isola dei famosi, amplifica il piacere della “pratica” del voyeurismo: vuoi mettere il senso di sollievo che dà vedere uno di successo litigare per il cibo o piangere per un insulto? Insomma, la verità è che sapere che c’è chi sta peggio solleva sempre almeno un po’.
L’isola che è dentro di noi
Lo dico subito: non ho mai visto l’isola dei famosi ma ne so e ho visto quanto basta per averne un’idea. Se non fosse uno spettacolo deprimente, direi che l’idea di fondo è geniale. Credo, anzi, che ognuno di noi, per ritrovarsi, avrebbe bisogno di due cose:
- fare teatro almeno per qualche anno e
- passare un mese su di un’isola deserta.
Qui è della seconda che parlo. Mi spiego.
Dormire per terra, sulla spiaggia, in tende, al buio, procurarsi il cibo collaborando, dovere cercare una pacifica convivenza che faccia da contrappeso alle paure dell’isolamento, riscoprire il baratto. Tutto questo diventa una regressione alla vita primitiva, in cui la lotta per la sopravvivenza farà uscire il carattere del più strutturato, sensibile e audace dei naufraghi.
La scala dei bisogni
Perché accade che, all’improvviso, si mettano in scena le miserie umane? Abraham Maslow, psicologo statunitense vissuto nel secolo scorso, afferma che cadere dal livello più evoluto dalla Scala o Piramide dei bisogni, che oggi prende il suo nome, a quello più basso attiva angosce e paure che riportano l’uomo ai livelli primordiali. E si trasformano in aggressività e lotta per la sopravvivenza.
In altre parole, nel gioco del reality, è come se i naufraghi dovessero ricostruirsi lungo un’ideale scala evolutiva che, dai bisogni di base (sfamarsi e dormire, oltre a riprodursi), in cui si trovano scaraventati, portano verso la soddisfazione di quelli di appartenenza e di stima. Per questo il leader, quello più equilibrato in mezzo a tante difficoltà, quello che si fa apprezzare di più per le doti di mediazione, alla fine vince.
Ritrovar se stessi
Perché l’Isola dei famosi è un format geniale? Perché lo scopo della produzione è vedere (e far vedere) quello che succede quando non si ha nessuna certezza su cui contare. Osservare, in altre parole, quanto in basso riesca a scendere l’uomo se vive un costante stato di allarme e di prove da superare. Lo ripeto: detesto questo spettacolo in tv e non lo guardo mai. Ma lo capisco e sono sicuro che, a telecamere spente, funzionerebbe molto meglio e con chiunque, famosi e non.
Se, tuttavia, per un attimo dimentichiamo che siamo davanti allo show delle debolezze umane, non so quanto alterato da ragioni di copione e di audience, si può addirittura provare a cogliere un messaggio positivo. Per chi vi prende parte, se è tutto vero, è, senz’altro, un’esperienza formativa, forse la più difficile: ritrovare se stesso. Con tutto quello che manca sull’isola, infatti, di una sola cosa c’è abbondanza: di tempo. Lontano da tutto e tutti, il tempo scorre lento e può diventare prezioso.
Il tempo vissuto
Non è come essere in città, dove il nostro tempo viene sacrificato ed è già venduto a qualcuno o a qualcos’altro. Lì quello è e devi per forza impiegarlo con te stesso, che ti piaccia o no. Il suo valore torna ad essere quello per cui ci viene concesso: perché sia vissuto. Il tempo permette di ritrovare lo spirito, la dimensione umana e sociale che abbiamo dimenticato di avere, perché nel caos ordinario della vita quotidiana non abbiamo più tempo. Né per noi, né per occuparci delle nostre relazioni che releghiamo alle chat.
Per questo, sarebbe utile a tutti concedersi “un’isola”. Se sei lì, tutto quel tempo può farti scoprire di che cosa sei capace, fino a che punto puoi spingerti per sopravvivere, come tratti gli altri, se sai metterli accanto a te o sempre dopo di te. In una parola, chi sei veramente.
E poiché tutti lo vorrebbero ma pochi hanno il coraggio di intraprendere un percorso a ritroso verso se stessi, ci accontentiamo di vivere le vite degli altri per non dover fare i conti con l’impegno di vivere le nostre.
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