Non ci potevo credere. Glielo ha detto davvero! Grande, Paolo Bonolis! Mio padre, insegnante di lettere classiche in pensione, avrebbe detto, come in una circostanza disse: “Io, al suo posto, non direi di essere laureato, perché si esporrà solo a grandi figuracce”. Quindi, grazie. Grazie a nome di tutti. A nome di chi non ha potuto studiare e mette il condizionale nelle ipotetiche ma un pensiero, alla fine, lo esprime. Grazie a nome di chi ruba le ore al sonno perché ha un concorso che non può fallire e deve mandare avanti una famiglia. Grazie a nome di chi ammira la cultura del saper stare al mondo e si batte perché altri arrivino ad esprimere la propria.
Grazie a nome di tanti bravi giovani che conosco, che della loro laurea ci hanno fatto tappezzeria di lusso, con il logo della Repubblica Italiana, e lavorano nei call center. Grazie, ancora, a nome di chi un titolo ce l’ha (e anche la cultura, visto che non sono la stessa cosa) ma per emergere deve lasciare il nostro Paese perché viene sempre dopo il Salvatore di turno.
Ad Avanti un altro su Canale 5
“Mi chiamo Salvatore e sono laureato”.
“Bene, Salvatore. Passiamo alle domande. Che cosa si dice comunemente di una persona che vuol lasciarsi il passato alle spalle? Che beve come una spugna o che vuol dare un colpo di spugna?”
“Che beve come una spugna”.
“Ma no! Che vuol dare un colpo di spugna, no?”
“Eh… è una domanda difficile”.
“Ma come difficile? Lei non ha mai sentito dire che qualcuno vuol cancellare il passato con un colpo di spugna?”
“No. Mi aspettavo una domanda più… più…facile”.
Luca Laurenti e il pubblico iniziano a ridere. E Bonolis incalza.
“Più facile di così?”
“Sì, perché non è una domanda pertinente….”
“Pertinente con cosa?”
“Con il mio percorso accademico!”
A queste parole Bonolis balza in piedi. Zittisce Laurenti, che cerca di intervenire, con un perentorio “Aspetti, mi faccia sentire” e strabuzza gli occhi, come si vede nella foto che sono riuscito a scattare in quel preciso istante, mentre si rivolge nuovamente al ragazzo: “Ma dice sul serio? Come fa a non sapere queste cose?”
“Perché non c’entrano nulla con il mio percorso accademico!”
“Il suo percorso accademico? Ma lei è sicuro di essersi laureato?”
Standing ovation in casa mia. La faccia di Laurenti dice tutto.
Emarginare la cultura della supponenza
Ora, siamo d’accordo che cultura e titoli non viaggino necessariamente sugli stessi binari. Però, se una regola ci fosse, dovrebbe davvero essere così per uno che si definisce “dottore“. Provate voi, tuttavia, ad immaginare uno così, imbellettato, in un ruolo di potere. In azienda, in politica, nelle Istituzioni. Perché poi quelli cosi, che antepongono il titolo al nome e magari ti danno del tu, tanto fanno che ci arrivano.
Intendiamoci: non ce l’ho con il ragazzo. Per me è uno spunto per riflettere su cosa dovremmo fare per avere un mondo più equo e meritocratico.
Ma, allo stesso tempo, non posso non pensare che c’è un popolo che alle sette del mattino è in tram, in treno, in autobus, in auto, nel traffico delle città, per correre ad insegnare a tanti ragazzi qualcosa che serva a loro perché costruiscano una società migliore. E che non merita di assistere a questo scempio. Come non posso non pensare a tante professioniste plurititolate a cui i più si rivolgono con il “Signora”.
Insomma, ho una figlia piccola e non vorrei mai che, da grande, si trovasse davanti uno così.
Perciò, grazie, Paolo, per aver dimostrato che si può e si deve avere il coraggio di emarginare l’ignoranza, la supponenza e l’autorefenzialità. E dire, con serietà: “si faccia da parte”. E avanti un altro!
Bravo! Concordo su tutto. Purtroppo io non guardo la tv per cui mi perdo regolarmente certe “chicche” di cultura, ma approvo in pieno i suoi commenti su ciò che è accaduto. Ancora bravo!
Stefano
Bravo! Concordo su tutto. Purtroppo io non guardo la tv per cui mi perdo regolarmente certe “chicche” di cultura, ma approvo in pieno i suoi commenti su ciò che è accaduto. Ancora bravo!
Stefano
Grazie mille. Mi fa molto piacere ricevere l’apprezzamento da un professionista come Lei.
Saluti
Stefano
mi associo nel congratularmi con te Stefano per lo splendido commento e nonche’ osservazione sul comportamento errato del ragazzo durante la trasmissione, effettivamente dobbiamo fare i conti con una generazione di laureati ignoranti come gia’ sostenuto qualche anno fa da Vittorio Sgarbi in un suo intervento televisivo dove sosteneva che in Italia abbiamo tantissimi giovani che studiano a scuola rispetto al periodo dell’anteguerra e che pero’ nonostante cio’ abbiamo un elevatissimo numero di giovani culturalmente ignoranti, andando coi’ a schernire il livello di preparazione culturale che viene insegnato nelle nostre scuole.
Grazie, Valter. Molto gentile da parte tua.
A presto.
Stefano
Eliminerei Bonolis ….. è dagli anni 70 che fa rimbecillire le persone cm le sue battute stupide
Possiamo dire che, se fosse accaduto davanti ai nostri occhi invece che a Canale 5, durante la trasmissione di Bonolis, ci saremmo chiesti: dove andremo a finire di questo passo?
In effetti, la mia non è l’apologia di Paolo Bonolis ma la stigmatizzazione di comportamenti, anche se estrapolati dai contesti che offrono lo spunto per la riflessione.
Grazie, Maria.
A presto
Stefano
Non guardo mai Bonolis ma dico che ha fatto bene, non si può non rispondere correttamente a una domanda tanto banale
Da semplice vecchia diplomata in ragioneria modestamente penso di essere all’altezza di tanti laureati d’oggi che scrivono commettendo un sacco di errori ortografici e non solo.
Vero, Marilena. Infatti, è questo che scandalizza, associato all’insistenza del ragazzo di esibire il titolo. Invece di una giustificazione, in altre parole, si è rivelato un aggravante.
Per quanto riguarda i titoli, aggiungo che oggi l’Europa insiste sulle competenze che – guarda un po’- non sono dimostrabili da chi possiede pezzi di carta. Non è da lì, infatti, che si può capire se un laureato sa, sa fare e sa essere. Oggi, in altre parole, una competenza vera vale molto di più di un titolo.
Grazie.
Stefano
L’idiotismo specialistico (Lukács) palesato dal laureato è una caratteristica essenziale della postmodernità. È il sintomo di una malattia sistemica.