“Quando ho tolto la benda, non potevo credere ai miei occhi. Lavorando bendata, non avevo per nulla la percezione delle immagini che stavo creando.” Sì, il fascino delle Arti Terapie è proprio questo: creare qualcosa che sfugge al controllo del pensiero logico e della parola. E meno controllo si ha sulle cose che accadono, più l’incanto della creazione ha la possibilità di realizzarsi. Svelando, in questo modo, un universo intimo e sconosciuto su cui riflettere.
Raffigura te stesso
La mia consegna nei laboratori che conduco sul Metodo Autobiografico Creativo con la Tecnica della Fiabazione è molto semplice: crea l’immagine del tuo corpo ad occhi chiusi. Faccio indossare dei foulard per questo. La tentazione di sbirciare è troppo forte e correggere l’estetica dell’opera le toglie l’autenticità del qui ed ora dell’esperienza: se guardo, correggo ciò che non mi piace; se correggo, il mio lavoro perde il suo valore simbolico, mentre è proprio quello che deve emergere nell’immediatezza dell’esperienza creativa.
- “L’ho fatto in fretta….”
- “Ho fatto la prima cosa che mi è capitata…”
- “È solo un caso che…”
Il caso? Perché, esiste il caso?
Dove siamo?
Premetto che siamo in un contesto di formazione, non di terapia (a questo link trovi tutte le informazioni preliminari al mio lavoro). Chi vorrà, senza alcuna forma di giudizio, potrà apprendere nuove cose di sé con il contributo del gruppo. Soprattutto ha una grande possibilità. Comprendere come la conoscenza di sé sia fondamentale per sperimentare l’empatia. Ecco perché, per poterci mettere in gioco tutti insieme, siamo tutti amici. Il caso siamo noi e lo chiamiamo in causa quando ci sentiamo nudi e questo è intollerabile per il nostro impulso a restare ancorati al suolo e alla ragione. Perché partire dal corpo e scoprire di aver creato una rappresentazione metaforica dell’immagine interiore fa sentire pericolosamente nudi. Quando il gruppo, in cerchio intorno al lavoro plastico dell’immagine del corpo, parla delle sensazioni che trasmette, il profilo che viene fuori spiazza il suo autore. Perché è tutto vero, quando non ci sono proiezioni isolate di oggetti interni dei singoli: altro che caso!
Il tempo e la fretta
Assegno un’ora per svolgere questo lavoro, dopo un momento di attivazione e di movimento che induca a portare l’attenzione sulla percezione corporea. In media, dopo la metà del tempo hanno già terminato quasi tutti.
“E’ perché ognuno ha tempi interiori diversi: in pochi riescono davvero a godersi un momento intenso, riservato a sé, immersi nelle atmosfere musicali di sottofondo”, spiego. La verità è che la fretta ci domina e ci porta a spasso, come se dovessimo sempre correre al prossimo appuntamento. Ma siamo lì, in laboratorio. Allora, in quel contesto, il tempo interiore accelerato, la fretta, diventa di capire come funziona l’attività che sto svolgendo e passare alla svelta a quella successiva. Perché ho bisogno di capire e tradurre in termini logici quello che faccio per capire a cosa possa servirmi tutto ciò.
Insomma, dobbiamo sempre sapere prima cosa c’è in fondo al percorso. Proprio quello che ci impedisce di goderci il viaggio. Senza accorgerci che così rischiamo di diventare i nuovi dinosauri: divoratori del tempo e a rischio di estinzione.
Per questo non riusciamo ad assaporare più nulla.
Quello che le parole non dicono
Dalle dimensioni dell’immagine, dalla quantità di materiale impiegato traspare la percezione interiore che ognuno ha di sé. Così, in un laboratorio tenuto in Veneto, Valeria, una ragazza lombarda, alta, bella e con due enormi occhi celesti, si raffigura piccolissima e piatta. Glissa. Ride e scherza. Dice di essere stata male durante l’esperienza e che non le è piaciuta affatto. Minimizza davanti alle osservazioni dei partecipanti, poco allenati a leggere oltre le righe: “si vede che consideri i tuoi occhi, sporgenti e smisurati nell’opera, un dettaglio importante per te”, le dicono.
Tutto vero. Ma poi?
Poi io le parlo e le chiedo se riconosce come proprio il “bisogno di sentirsi piccoli e protetti” e scoppia in lacrime. Mentre singhiozza, racconta di un’infanzia vissuta nel complesso della sua altezza. Lei, la gigantessa, ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lei. Lei che per indole e statura è stata chiamata a questo ruolo dalla natura.
- Allora, dov’è il confine tra corpo e mente?
- Dov’è il punto di incontro che si chiama consapevolezza che ci fa comprendere che il nostro corpo racconta tutto di noi a gente troppo distratta per “sentire“?
- E quanto pesa scoprire che i primi ad essere distratti siamo proprio noi?
Serve attenzione per conoscere se stessi, gli altri e vivere felici.
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