Ho trattato diffusamente il tema dei monumenti dell’anima per la scoperta di sé (l’intelligenza intrapersonale) e, in definitiva, per migliorare la dimensione sociale, l’intelligenza interpersonale. Ma qual è la loro funzione specifica? Analizziamo. Se è vero che il “Monumentum” che prende forma grazie al processo creativo non permette di agguantare la verità, se è vero che sarebbe più opportuno parlare di più verità svelate dall’atto creativo, perfino contraddittorie tra loro ma contemporaneamente presenti (come nella metafisica della personalità), se, al tempo stesso, è vero che la creatività offre quella o quelle verità al suo, al loro autore in forma di domanda, è anche vero che esso rispetta e mantiene la sua funzione di aiutare una presa di coscienza e di educare al pensiero. E, soprattutto, di educare alla capacità di raccontare quel pensiero, di narrarlo, come, per esempio, accade con l’atto della scrittura della fiaba autobiografica.
Narrare di sé come scoperta
Narrare il pensiero, educarsi a raccontare di sé, mantenerne memoria e ricordo è, peraltro, fondamentale in un momento in cui la concezione stessa della memoria si è totalmente stravolta. Il lavoro con i monumenti dell’anima, allora, assume la funzione salvifica del benessere personale perché agisce a un livello a cui nessun dispositivo mobile e nessuna memoria artificiale, algida per definizione, potrà mai intervenire.
Bisogna rivendicare il diritto a tenere memoria di ciò che siamo, perché la memoria, come afferma la neuropsicologia, è tutto ciò che abbiamo dentro ed è la nostra prima conoscenza. La memoria, dunque, è conoscenza e misura della conoscenza che verrà. Perché la nostra storia è indispensabile per creare relazioni tra le informazioni e un processo di sintesi con tutto ciò che sta fuori e che via via veniamo apprendendo.
Per contro, un passivo accumulo di informazioni non può possedere in nessun caso la capacità di selezionare le conoscenze e di metterle in relazione tra loro, come invece fa la memoria dell’uomo.
Le memorie artificiali
Occorre, dunque, prestare attenzione ad un allarme silente: affidarsi alle memorie artificiali ed espandibili, al di là della comodità di poterle avere sempre in tasca per una rapida consultazione all’occorrenza, aumenta per l’individuo il rischio di perdere il contatto con la propria identità. E anche in questo caso può soccorrerci un po’ d’indagine etimologica.
“Uomo”, “homo” in latino, deriva da “humus”, terra, un sostantivo che esprime tutto ciò che si contrappone all’etere, anche all’etere del web. La provenienza del nome rinvigorisce la forza delle origini della natura umana e il radicamento alla Madre Terra.
Affidare, dunque, la conservazione della memoria umana a strumenti informatici vuol dire interrompere i legami con le origini, perché decade l’“humilitas”, l’umiltà, ancora un termine derivato dalla stessa radice che indica la qualità indispensabile per poter apprendere nuove conoscenze, acquisire ancora nuove informazioni e depositarle nella memoria.
La scoperta di sé è un incontro
Ma non è né l’unico né il peggiore dei rischi. Perdere il contatto con se stessi, con le proprie origini, con l’identità personale, annullare, quindi, la memoria in quanto archivio dei momenti più significativi della storia personale e di quella della collettività a cui si appartiene, crea
- fantasmi,
- ombre,
- i cosiddetti “mostri”.
Si tratta di derive e aberrazioni che offrono all’individuo spaventose distorsioni della sua realtà interiore. Il “Monstrum” (ancora un sostantivo derivato da “moneo”, ammonire, da cui deriva l’italiano “mostrare”) è, allora, quel bagaglio di storia negata, di storia che si cerca di allontanare dalla memoria ma che puntualmente ritorna, se non viene elaborata e, perfino, integrata.
Memorie e mostri
I percorsi di consapevolezza, come quello sui Monumenti dell’anima, sono, dunque, il mezzo per attraversare anche le zone più buie, più impervie dell’esistenza umana, strada sulla quale incontrare, appunto, i mostri, i fantasmi e le ombre personali, per approdare alla pienezza, alla maturazione e alla pacificazione con se stesso.
Se, in conclusione, è vero che noi siamo la nostra stessa conoscenza, è anche vero che nel nostro passato, nella nostra storia e in tutto ciò che noi siamo, c’è, in definitiva, la chiave di lettura e di interpretazione di tutto il nostro futuro e di tutto il nostro presente che apprendiamo passo dopo passo. Anche nei “mostri” che compaiono per mostrarci ciò che di noi non vogliamo vedere ma che vive in fondo a noi stessi e che i Monumenti dell’Anima svelano, portandoli alla luce.
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