Il modo in cui usiamo la parola spiega il nostro sistema di valori e di relazioni. Ritorno con questo articolo su di un argomento a me caro e di cui mi sono più volte già occupato in passato. La comunicazione, il linguaggio verbale in particolare, può creare vicinanza o lontananza, dato che, proprio attraverso la parola, emergono le differenze culturali, le diversità. Così, nella più ampia accezione, chi parla il mio linguaggio è della mia stessa tribù, mentre invece il diverso, il forestiero è qualcuno da temere, da mettere al bando.
La parola che esclude
Il diverso, quindi, è qualcuno con cui non condivido gli stessi significati e significanti linguistici che invece mi permettono di riconoscere chi è simile a me, di riconoscermi nella cultura con la quale mi identifico e nella quale evidentemente sono nato.
Dal punto di vista etimologico, giova riprendere (a beneficio dei nuovi lettori) i concetti chiave già affrontati, la parola è il verbum dei latini e il logos dei greci.
E, anche se nella nostra lingua rimangono ancora tracce di questo in alcuni termini derivati (come verbale oppure diverbio), con il passare del tempo il vocabolo si è decisamente trasformato e si è anche ritirato, se così si può dire, in un ambito molto più circoscritto.
In principio era il Verbo
Come spiega il mio amico Prof. Pietro Reina, è con l’avvento del Cristianesimo che ha sacralizzato il termine connotandolo come la parola rivelata (il Verbo con la V maiuscola) che, in effetti, la parola comincia ad acquisire un senso diverso.
Lo spazio lasciato vuoto, dunque, da questo termine viene occupato dalla parabola che lentamente diventa parola e ancora oggi si riferisce all’atto del parlare nel senso più ampio, quello che noi utilizziamo abitualmente.
La parola che include
Quindi, la parola è una parabola, è un suono che, di fatto, attraversa uno spazio che collega chi emette e pronuncia quel suono a chi lo riceve e ascolta. Non si parla mai a se stessi, si parla sempre a qualcuno (a pensarci bene, questo accade anche nelle endofasie, quando parliamo con noi stessi, dentro di noi).
I due poli di questa parabola indicano, allora, l’esistenza di una relazione, rimandano necessariamente a una socialità. Infatti, nella retorica, parola significa comparazione ma anche similitudine, atto che indica in tutti i casi un confronto con gli altri.
Implicando, dunque, la relazione con qualcun altro, la parola è, di conseguenza, un atto che necessariamente richiede
- comprensione e
- ascolto,
virtù peraltro oggi molto poco praticate. Laddove ascolto e comprensione dovrebbero essere intese unicamente nell’accezione di disponibilità e di apertura verso l’altro.
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Responsabilità della parola
Solo quando la parola viene compresa fino in fondo (e ha per tutti lo stesso significato e lo stesso senso), infatti, essa è in grado di creare relazione. Il che attribuisce un grado di responsabilità al parlante che rifugge dalla logica della scelta casuale di parole ed espressioni.
- Vale in politica, laddove il gioco delle parole è il risultato di un uso tecnico, teso a raccogliere consensi sulle emozioni confuse del pubblico,
- come in azienda,
- nelle relazioni personali,
- a scuola.
La parola dev’essere ovunque comprensibile in relazione ai tempi, alla maturità, alla cultura dei destinatari e alla ricchezza del loro vocabolario.
Se, dunque, la parola fonda, alimenta e nutre il dialogo, deve essere vero terreno comune, di proprietà, nella stessa maniera, sia di chi la propone, sia di chi la riceve, affinché nessuno venga escluso o percepito come forestiero per averne fatto un uso differente.
Parole di scuola
Possiamo non farci caso ma siamo circondati da esempi di dis-integrazione e di esclusione (come contrario dell’inclusione) dalle divergenze nell’uso della parola. Nella scuola odierna, caso più eclatante, questa sembra essere una delle più incardinate contraddizioni.
L’istituzione adotta ancora, infatti, il linguaggio tradizionale e non sembra aver intenzione, nella maggior parte dei casi, di rimodellarsi sull’evoluzione del linguaggio con cui i giovani oggi parlano e si esprimono.
Questa contraddizione fa sentire i giovani ancora di più fuori dalla dinamica insegnante-studenti, proprio per le diverse possibilità di accesso a quelli che dovrebbero essere i più semplici codici di espressione del dialogo e della relazione. E nessuno sembra interessato a trovare un terreno comune.
Non è forse confermato che la scuola è lo specchio della società?
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