Non c’è popolo che non si sia raccontato attraverso le sue storie o che non abbia avuto i propri racconti (leggende, miti e fiabe), tramandati, di generazione in generazione, attraverso la magia della narrazione intorno al fuoco. La tradizione del racconto delle storie, a ben vedere, affonda le sue radici nella notte dei tempi. Mentre, però, nel mondo classico (da Omero in poi) le gesta eroiche dei grandi condottieri ispiravano l’opera dei cantori del tempo, lo stesso non accadde per la Fiaba, per lungo tempo considerata la sorella povera del Mito e della Leggenda. Così, prima della sistematica ricerca di Perrault che diede vita alla prima raccolta scritta, essa restò relegata alla diffusione orale.
A che servono le Fiabe
Ciò, in qualche maniera, preservò nei secoli l’originario ed intrinseco valore di strumento di cura del Racconto di Fiabe – cosa, peraltro, sconosciuta ai più -, dal potenziale terapeutico incontestabile ed oggi largamente rivalutato. Non solo, dunque, Racconti per bambini. Basti pensare, infatti, a che vasto pubblico possa rivolgersi un racconto: attraverso le fiabe, per esempio, è possibile agire sulla stimolazione delle funzioni cognitive (memoria, pensiero, attenzione) in persone con importanti deficit come i pazienti con demenza, sul miglioramento del livello d’attenzione e delle capacità di apprendimento in bambini in età scolare, sul contenimento dell’iperattività o sulla slatentizzazione di sofferenze represse.
Attraverso le fiabe, parimenti, è possibile operare una rivisitazione della propria storia personale per assumere nuove informazioni sui processi interiori che inducono all’agire. Il giusto compromesso potrebbe essere, allora, di considerare le Fiabe come … Racconti per bambini i ogni età… . Ancora oggi, dopo secoli di tradizione orale con il passagio alla raccolta scritta, la Fiaba conserva la propria funzione ma ha dovuto cedere parte della propria identità al racconto ludico con cui spesso viene confusa. La domanda è: in un contesto sociale quale quello attuale, improntato all’immagine ed alla comunicazione, quanto sarebbe importante recuperare il ruolo del narratore?
Il potere terapeutico della Fiaba
C’era una volta … che cosa? Non due amici di cui uno avaro e l’altro generoso ma tre porcellini, una fata, na strega, un gigante….
Dunque, c’era una volta … una metafora, un simbolo. Un simbolo a cui viene demandata la doppia funzione i rappresentare – in primo luogo – la nostra vita interiore (con i suoi drammi ed i conflitti) e, contemporaneamente, risvegliarne istinti e paure. In secondo luogo, data la sua stessa natura, di agire indirettamente, quasi di soppiatto. Non bisogna, infatti, trascurare che sebbene oggi le Fiabe siano molto spesso impiegate in processi volti al rinforzo di abilità in persone con disagio, esse, per forma, struttura contenuto, sono concepite per un ideale pubblico di piccoli ascoltatori. Come dire che ogni argomento trattato dal racconto, per mezzo dell’attento narratore che assume la funzione fondamentale del terapeuta, i colui che guida la verbalizzazione, deve allarmare e tranquillizzare, dire tutto e non minacciare nulla, creare un continuo gioco di tensione e distensione, al riparo del camino e delle mura domestiche tra cui nulla potrà mai accadere. Ecco, dunque, la valenza del simbolo: rivolgersi alla sfera dell’immaginazione e favorire in tranquillità i processi di identificazione del bambino nella trama e nei personaggi della storia.
Immaginazione come riparazione
L’esordio – “c’era una volta”, appunto, non “ci fu”, “c’è” o “c’è stata” una volta… – è la garanzia per il bambino che ascolta che può lasciarsi condurre in tutta sicurezza in una storia ambientata in un tempo indeterminato e in un luogo imprecisato. Tutto ciò che accade non coinvolge né il narratore né l’ascoltatore, é il tempo (presente) o il luogo (la stanza) in cui essi vivono. C’era una volta è la garanzia che la storia on sia accaduta, non stia accadendo, non accadrà e non sia mai accaduta. Ciò permette alla metafora di agire perché libera la storia dalla sua durezza e permette al bambino di essere più sereno e di immaginare.
E, immaginando, il bambino può giocare con temi che appartengono alla sua realtà psichica come l’amore, l’abbandono, la morte, la paura, fino al lieto fine che stimola i processi di riparazione utili al suo sviluppo emotivo.
La Fiaba personale
Non serve, tuttavia, essere bambini per sperimentare il potenziale delle Fiabe. Chiunque può rivolgervisi, per ricerca, per puro diletto oppure per imparare a conoscersi meglio. Come nel caso degli adulti, in genere educatori e operatori della relazione d’aiuto, che, così possono riflettere sulle personalità modalità di funzionamento rispetto agli altri.
Nella scrittura della fiaba personale, infatti, ognuno può riflettere sul protagonista, sull’antagonista della storia e sulle difficoltà che, con il linguaggio metaforico, ritorna. Sono le difficoltà della quotidianità quelle che ognuno può ritrovare, rileggendo attentamente la propria storia ed avendo la pazienza di dipanare la matassa dei simboli con cui quella storia parla. A ciascuno, di ciascuno.
C’era una volta
“C’era una volta…” è, dunque, la proposta davanti alla quale ognuno parla alle e delle varie parti di sé, sotto forma dei vari personaggi (del dramma, dell’opera o della fiaba) o per conto di ciascuna di esse. Un impegno non quotidiano che coglie di sorpresa ma che non preoccupa: parlare di sé sotto forma di metafora, che ha sempre più chiavi di lettura e mai una sola interpretazione, infatti, rende sicuro portare fuori e condividere con il gruppo le proprie parti nascoste (a volte anche le ombre). Ed è quello che accade, sia nella storia individuale che in quella del gruppo. In fondo, lo sforzo richiesto è di mettere sul foglio non UNA fiaba ma LA fiaba, ovvero quella e solo quella che viene fuori dalla scelta del materiale a disposizione e dalla penna dell’autore, in quel preciso contesto e momento e che mai più potrà essere scritta nella stesa maniera. Ed ecco che, vedendo dall’alto quel foglio che contiene una parte di noi, prendiamo coscienza di alcuni aspetti della nostra personalità che fino a poco prima ignoravamo e trasformiamo in storia il nostro passato.
Al ritorno dal viaggio nella fantasia, il nostro mondo interiore si presenta definitivamente modificato. O se non altro, avremo molto su cui riflettere.
La Fiaba del Gruppo
La Fiaba del Gruppo è il punto di arrivo dell’intera esperienza. Un po’ il risultato di tutta la fase di preparazione in cui ciascun componente sperimenta su di sé la possibilità di mettersi in gioco, andando oltre le naturali difese e resistenze, per approdare a momenti creativi.
Lavorando in gruppo, tuttavia, l’attenzione si sposta dalla metafora personale alla dinamica. In tal modo, la condivisione dell’esperienza aiuta i partecipanti a riflettere su come ognuno si veda all’interno del gruppo. E’ un’attività che può essere pensata anche in classe, con i bambini. In questo caso, possono essere usati personaggi di fantasia o le carte di Propp, data la forte identificazione con i personaggi che raffigurano. Spetta all’insegnante decidere, in questo caso, se inviare un messaggio, pilotando la metafora, o osservare le dinamiche di leadership e controleadership che spontaneamente si creano.
Con gli adulti, è quest’ultimo il senso di un’attività di gruppo. Un insegnate, ad esempio, può riflettere sulla sua capacità di collaborare tra pari e di essere o meno efficace nelle dinamiche di relazione. Per il resto, è un’esperienza che va provata.
L’esperienza pratica in sintesi
L’esperienza si basa su laboratori pratici di creatività, anche con tecniche di Arti Terapie, idealmente così strutturati:
- presa di coscienza del proprio corpo come primo mezzo per entrare in relazione con gli altri;
- comunicazione non verbale attraverso il suono, la musica, il movimento ed il tratto grafico;
- stesura della Fiaba personale;
- stesura di una Storia del gruppo;
- drammatizzazione attraverso strumenti musicali, danze e colori.
Chiudo con una frase di Maria Varano, psicoterapeuta e autrice del libro “Guarire con le Fiabe” (Ed. Meltemi).
“Forse perché la capacità di stupirsi e di sognare non la abbandonava mai, la fanciulla che si trovava nella grotta in attesa della nave teneva tra le mani i suoi unici averi: un quaderno, una penna e dei colori. Queste tre piccole cose le avevano permesso di affrontare il dolore, la solitudine, la malattia e l’abbandono.”
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