Il nostro viaggio introspettivo con le storie autobiografiche inizia con Po, il protagonista della fortunata serie cinematografica “Kung Fu Panda”. L’attenzione va a due episodi in particolare. Il primo è la ricerca della pergamena contenente l’inesistente ingrediente segreto del Guerriero Dragone (che troviamo nelle prime due puntate); il secondo è il tema della formazione e dell’insegnamento (a cui è dedicato l’intero terzo episodio). I messaggi dei tre film sono molto chiari: non esiste alcun ingrediente segreto. Quando Po entra in possesso della pergamena, infatti, scopre che essa è vuota, che non vi è scritto nulla al suo interno. Po, cercando l’ingrediente, vede riflessa la sua faccia. È egli stesso l’ingrediente segreto.
Nessun ingrediente segreto
Il messaggio è chiaro: inutile ricercare ingredienti segreti per affrontare le sfide. Serve fiducia nei propri mezzi, non aiuti esogeni.
Il che conduce al secondo argomento. Per infondere fiducia agli altri occorre avere la fiducia nei propri mezzi che deriva dalla padronanza di sé, dall’autoconsapevolezza. Ma perché Po non ne ha? Insomma, non è esattamente il prototipo agile e scaltro del guerriero, secondo l’immaginario collettivo.
Per di più, il povero Panda si trova catapultato per caso in un’avventura che è davvero troppo più grande di lui, visto che deve anche formare il suo esercito. Insegnare, però, non è mai un atto tecnico o meccanico. Piuttosto, significa aiutare gli altri a scoprire i propri talenti e creare le condizioni perché siano invogliati a tirare fuori il meglio. Lo scopo di ogni insegnamento, infatti, dovrebbe essere incoraggiare chi è esposto all’apprendimento a mettere in campo ciò che ama, le più elevate qualità, i talenti, per diventare, per dirla con il Maestro Shifu, “la miglior versione di se stesso”.
Ma che senso ha?
“Ma che senso ha?”, si chiede Po fintanto che è impegnato a fallire miseramente nel tentativo di insegnare agli altri l’arte del kung fu.
Perché il livello di
- preparazione,
- autocontrollo e
- fiducia
è inizialmente troppo basso.
Ma quando è che un formatore riesce a essere efficace? Quando la sua autenticità riesce a essere di ispirazione per le persone che lo circondano che, in tal modo, sono stimolate ad apprendere e a trasformarsi nella migliore versione di se stessi, senza pensare di poter diventare una copia del loro insegnante.
In realtà, è proprio il Maestro Shifu che, annunciano il suo ritiro con queste parole, getta nello sconforto il povero Po che non comprende affatto, a quel livello del suo involuto sentire, il senso della frase del vecchio saggio.
Il paradosso del formatore
Come mai, dunque, Po va così in confusione? “In realtà”, pensa il panda, “è più facile insegnare quando ci si concentra sugli altri e non su se stessi!” Ma non è affatto così.
Se vogliamo, proprio nelle parole di Shifu è sintetizzata la filosofia dell’arte d’insegnare: lungo la strada che chiamiamo “formazione”, sia essa personale o professionale, scopriamo a ogni passo di poter “dare” agli altri solo quello che prima abbiamo compreso. E che abbiamo fatto nostro, che è integrato alla nostra stessa identità.
Per questo, la nostra ricerca e la nostra abilità nell’insegnare si risolve sempre scoprendo “noi stessi”.
Un ottimo libro o un corso di formazione restano concetti astratti se prima non sono stati d’aiuto agli stessi formatori e se non hanno contribuito a plasmare la loro (la nostra!) profonda autenticità.
L’importanza delle radici
Allora ci è chiaro perché Po resta così interdetto: perché, in realtà, egli non sa “quello che è”, non conosce la sua storia. E questo lo rende disarmonico, debole e vulnerabile. Come può, dunque, un condottiero del genere guidare gli altri per rafforzare se stessi?
Po, infatti, è un panda ma viene allevato e cresciuto da un’oca che chiama papà, perché da piccolo viene abbandonato dai suoi genitori. È nel corso della storia narrata nei diversi episodi che egli, che non ha mai conosciuto la sua provenienza, finalmente riscopre le sue origini. Solo così, tornando nel villaggio dei panda, Po si riappropria delle sue radici, ritrova la sua identità e, in definitiva, il suo centro. E comprende chi è veramente.
Quando Po è sull’orlo del baratro, prima della grande sfida, ritrova l’aiuto di entrambi i “genitori” e questo gli consente di “integrare” simbolicamente entrambe le esperienze. Come d’incanto, l’identità personale si ricompatta nella presa di consapevolezza di sé e nella tardiva comprensione delle parole del vecchio maestro.
Arriva l’illuminazione e, con essa, la fiducia. Adesso Po può finalmente rompere gli indugi e prendersi il suo ruolo di maestro designato. In che modo? Aiutando gli altri a potenziare quello che già sono, quello che in realtà sanno già fare e, soprattutto, che amano fare.
L’arte di insegnare
In quanto educatori, insegnanti, formatori e maestri, solo ciò che autenticamente e profondamente siamo può essere utile alle persone che incontriamo sul nostro percorso. Vale tanto che accada tra i banchi di scuola come in una corsia d’ospedale o nelle luminose sale riunioni delle multinazionali: apprendere non varia con il contesto ma solo in forza di chi eroga l’insegnamento.
Tutto ciò che è rigidamente tecnico appare inautentico e artificioso, memorizzato ma non appreso, destinato a non attecchire. Per contro, solo ciò che tocca la pancia e il cuore delle persone viene ricordato per sempre e diventa parte integrante della loro vita. Perché le persone cambiano quando incontrano un sapere carico di passione, autenticità e di emozioni che volentieri vorranno richiamare al cuore (dal latino, ricordare significa proprio questo, per contrapposizione a rammentare che è “richiamare alla mente”).
Bene: in quel flusso di informazioni che vanno e che vengono tra chi dà e chi riceve c’è la condivisione di se stessi e dei vissuti individuali. Per questo, specie a chi insegna, è richiesta la consapevolezza della storia personale. Compito a cui assolvono brillantemtente le storie autobiografiche per la crescita personale.
Se lo ha imparato Po, possiamo impararlo anche noi.
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