Perché la creatività in classe per migliorare l’apprendimento dei ragazzi? Perché il prodotto creativo, osservabile in quanto tale, facilita l’associazione delle immagini ai contenuti e la loro archiviazione nella memoria implicita: l’arte, in altre parole, parla la lingua gradita al cervello, quella, appunto, delle immagini. Ecco il passaggio del mio discorso agli Arti Terapeuti, tenuto a Cefalù a “Isola Creativa 2019”, nel corso del XVII Congresso Annuale di Artedo, in cui spiego l’importanza dell’Apprendimento Multisensoriale Creativo e la necessità per i docenti di riscoprire la creatività per personalizzare l’insegnamento.
Immagini ed emozioni per apprendere
Se tutti gli insegnanti tenessero conto di queste informazioni, la motivazione ad apprendere sarebbe molto maggiore. Invece, come afferma Galimberti, l’insegnante ripete da trent’anni la lezione nella stessa identica maniera. Con la conseguente noia degli studenti.
Quanto sarebbe utile, allora, rivalutare il linguaggio delle immagini per persone che hanno l’obiettivo di far crescere altre persone? È una questione di sensorialità interessate in questo processo di cattura delle informazioni. Se l’insegnante facesse vedere ciò che dice, senza affidarsi soltanto al linguaggio parlato (visto che il nostro cervello funziona per immagini), permetterebbe una più facile ed efficace memorizzazione di quelle informazioni.
Se le informazioni, poi, sono corredate da emozioni positive, l’apprendimento è ancora qualitativamente migliore.
In fondo, è per questo che il nostro cervello, quando si annoia, si affatica di più: perché, quando è motivato, è come se si trovasse in stato di grazia, condizione in cui gli apprendimenti diventano automatici e restano impressi. Richiamarli alla memoria è facile in tali modalità di archiviare i dati acquisti. È un po’ come muoversi nelle stanze di casa: c’è una memoria implicita che ci guida, dettata dal fatto che conosciamo bene gli ambienti con cui abbiamo una confidenza “visiva”.
Ed ecco collegati i discorsi di creatività, emozioni, sensorialità, apprendimento e crescita personale.
Un apprendimento parallelizzato
Perché, allora, non spostare gli apprendimenti sulla medesima modalità che usiamo quando ci muoviamo in luoghi familiari?
Bisogna semplicemente spiegare come si fa ad apprendere vedendo le cose, invece di sentirle soltanto. Si chiama “apprendimento parallelizzato”, proprio perché più informazioni vengono processate nel medesimo istante. In realtà, tutte le nozioni catturate dai sensi, arrivano al cervello in una forma parallelizzata. Una parte analizza la luminosità della scena, una parte ne analizza le sagome, qualcuna cattura i colori…
A metà tragitto, queste informazioni arrivano ai sensi. Se vengono associate anche alle emozioni, è molto più probabile che queste informazioni, parallelizzate, appunto, creino una memoria implicita e automatica (che è ben diversa dalla memoria di lavoro, la memoria esplicita che segue una via seriale, più rigida, che, invece, viene utilizzata quando le cose non interessano ma occorre sforzarsi di ricordarle, almeno per un po’).
Immagini della mente
Nel libro “Immagini della mente” l’autore, Giovanni Lucignani, scrive: “Bisogna immaginare che l’apprendimento sia come una clessidra. Le informazioni prima sono parallelizzate, poi, nella strozzatura della clessidra, quelle stesse informazioni si serializzano e arrivano alla coscienza.
Ma se quelle informazioni non incontrano il gradimento della nostra mente, cioè se noi abbiamo delle aspettative che vengono deluse da quel modo di fare apprendimento, quelle informazioni si disperdono, cioè finiscono nella memoria di lavoro; se, invece, rispondono alle aspettative (e, quindi, se coinvolgono sensi ed emozioni insieme), tornano parallelizzate un attimo prima che vengano inviate alla memoria implicita (quella che permette di ricordare le cose senza nessuno sforzo, appunto, come quando ci si muove in luoghi familiari).”
E la vera conoscenza non è per caso quella che si fonda sulle cose che non sappiamo di sapere?
Vedere è sapere
Quindi, comprendiamo l’importanza di vedere come mezzo per conoscere. Cosi, se io sono un docente e so che il cervello funziona per immagini, ti do le immagini. Così, le informazioni le catturi meglio. Inoltre, se mentre te le do, ti faccio anche emozionare, perché le ribalto sulla tua vita, di cui so qualcosa evidentemente, allora sì che favorisco un apprendimento personalizzato ed efficace.
Bisogna creare interesse, motivazione, entusiasmo perché agli altri arrivino le informazioni che vogliamo che apprendano. Ecco a che servono le emozioni nella scuola dell’intelligenza emotiva. Ecco perché serve qualcuno che dica come lavorare per arrivare alle emozioni. Ma non succederà niente se il cambiamento non partirà da ognuno di noi.
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