La parola d’ordine di chi sceglie la nostra professione è “rallentare”. Personalmente, mi riconosco nella frase del Buddha “Quando scoprirai chi sei veramente, riderai di ciò che credevi di essere”. Anche perché questa cosa mi è successa davvero. E credo che sia accaduto anche a voi. Non so in quanti sceglieranno di fare la professione dell’Arti Terapeuta che, al pari di altre, è più una missione che un mestiere, alla quale tuttavia non ci si può presentare impreparati. Ho spiegato in altre conferenze, con i miei scritti e in video come questo attuale sia un momento di grande allarme sociale, in presenza del quale agiremmo da sprovveduti, se ignorassimo il grande rischio che corriamo noi e le future generazioni.
Recuperare valori e rispetto
Il punto è che, se non ci preoccuperemo tutti di recuperare la cultura dei valori e del rispetto, nell’interesse delle relazioni e dell’ambiente (che sta pagando così a caro prezzo questa diffusa maleducazione) il nostro destino, come genere umano, è irrimediabilmente segnato. In questo senso, una delle cause di questo crollo verticale dei rapporti, è nel cambiamento culturale a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni.
Vi faccio un esempio.
Ai miei tempi, in discoteca si ballavano i lenti. Funzionava così. All’improvviso la musica calava, partiva un lento e la pista si svuotava per ripopolarsi in pochi secondi di coppie che si stringevano. Da questo insieme di relazioni di contatto già si capiva chi in discoteca ci arrivava accompagnato e chi, giunto da solo, ci andava per provare ad uscire accompagnato.
Cioè, in fondo, e questa era la cosa bella di quel lento supplizio, tutti erano lì per ottenere esattamente la stessa cosa. Lo so perché, negli anni ’80 dello scorso secolo, io facevo parte della schiera di adolescenti che facevano di tutto per piacere e farsi scegliere per un lento al centro della pista.
La società liquida
Poi, d’un tratto, tutto cambia e i balli di coppia diventano vecchi e superati. La società si fa liquida e si ammala di solitudine e di isolamento, camuffati da persistente connessione.
Non che la distanza che oggi separa persone che seggono accanto per delle ore, nelle sale riunioni come nelle classi, sia imputabile al tramonto di un genere musicale ma viene da chiedersi quanto manchi adesso, alla società, quel contatto?
Adesso che siamo distanti gli uni dagli altri, paghiamo innanzi tutto la distanza da noi stessi, per rimediare alla quale ci resta ancora la possibilità di fare un passo indietro e rallentare. Qualcosa potrebbe cambiare, se le cose fossero fatte in nome di un alto “perché”. È per questo che ho concepito quello che faccio come una missione.
L’effetto butterfly esiste
Ho chiesto alle persone che ho incontrato di darmi una mano, perché se insieme contribuiremo a cambiare anche di poco la cultura nell’immediato, cambierà il mondo. L’effetto butterfly esiste: è sufficiente un battito d’ali di una farfalla per provocare un uragano dall’altra parte del mondo. La verità è che questo battito d’ali nessuno lo vuole fare. C’è bisogno di gente che dica “io ci credo”.
- Voi in che cosa credete?
- Credete al cambiamento?
- Credete nei sogni?
Se state rispondendo di sì, siete fortunati perché siete sulla strada giusta, la strada che percorre chi sa buttare il cuore oltre l’ostacolo e prevedere quello che accadrà al di là di quella barriera.
Me lo ha insegnato la storia di Wayne Gretzky, che nel 1982 fu considerato il più importante giocatore al mondo di hockey sul ghiaccio. A chi gli chiedeva quale fosse il motivo del suo successo, era solito rispondere: “Molto semplice: mentre tutti inseguono il disco, io cerco di andare nel punto in cui prevedo che andrà a finire”.
Non è forse questo che occorre fare?
Creatività ed emozioni
Occorre attivare creativamente le risorse e provare a immaginare quello che accadrà a noi tutti, al mondo, se continueremo a credere nella nostra missione di portare in alto la cultura dei valori e delle emozioni. Provare a pensare in che modo quello che noi arti terapeuti e formatori facciamo oggi possa diventare un chiaro modello per lo sviluppo dell’Intelligenza Emotiva (ciò a cui tutti vorrebbero prepararsi, tuttavia senza ancora mettere il giusto impegno per arrivarci).
La maggior parte delle persone che prende parte alla mie conferenze, allora, è in cerca di soluzioni “low cost”, come se servisse un corso per ottenere risposte a quesiti irrisolti. Così, agli insegnanti che mi chiedono “che faccio domani?”, spiego che la risposta arriva quando ognuno si fa le giuste domande. E che l’ingrediente magico è sempre “chi” sceglie una data strada per perseguire i suoi obiettivi, senza demandare a nessun altro la ricerca delle soluzioni.
Queste domande, spiego, vengono stimolate dalla creatività, poiché a questo serve il lavoro creativo (dunque, non a dare risposte ma a svelare ponendosi le domande corrette).
Il mito di Edipo
La letteratura queste cose le spiega benissimo. Conoscete la tragedia di Edipo, figlio di Laio, re di Tebe? Alla sua nascita, Laio riceve un oracolo che gli preannuncia che sarebbe stato ucciso dal figlio. Laio affida allora il figlio al servo e gli chiede di sopprimerlo. Ma il servo, guardando questo tenero bambino, si intenerisce e decide di salvargli la vita, portandolo nella vicina Corinto.
I regnanti della città, Polibo e la moglie Peribea non possono, infatti, avere figli e così decidono felicemente di accoglierlo. Edipo diventa ufficialmente loro figlio. Passa del tempo. Edipo diventa adulto.
Un infausto giorno, però, egli riceve l’oracolo che gli predice che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Edipo inorridisce (anche perché sfuggire al proprio destino, in letteratura come nella vita, è cosa impossibile) e, per non permettere al fato di compiersi, fugge da Corinto e si rifugia nella vicina Tebe. Accade tuttavia che lungo la strada Edipo abbia un diverbio, per motivi di precedenza, con un viandante.
La lite diventa una sfida a duello che Edipo vince, mentre il viandante muore. Si scoprirà poi che il viandante era Laio, il vero padre di Edipo.
L’errore di Edipo
A questo punto la prima parte della profezia si è avverata. Tebe però è sotto lo scacco della Sfinge che ha diffuso la peste in città. Edipo la sfida e risolve il suo enigma: «Qual è l’animale che al mattino cammina con quattro piedi, a mezzogiorno con due e la sera con tre?» Risponde: “l’uomo”.
Tebe viene liberata dalla peste ed Edipo viene acclamato come nuovo Re. Sale, così, al trono, e, sposa Giocasta, che nel frattempo è vedova di Laio, da cui avrà due figli, Ismene e Antigone. Ecco che anche la seconda profezia si è avverata.
Nel corso del tempo Edipo scopre la verità, ma nel momento in cui sta per chiedere conferma a Giocasta se è realmente suo figlio, entra nella stanza e trova Giocasta, che nel frattempo aveva conosciuto anch’essa la verità, impiccata. Edipo accecato dalla rabbia, prende le fibbie della cintura di Giocasta e si acceca, per non vedere e non sapere.
Per la cultura greca, vedere è conoscere, sapere. L’uomo che si priva della vista decide di non sapere. Ed è quello che fa Edipo. Benché non sia il solo messaggio.
Alla ricerca delle origini
La tragedia dell’Edipo Re, la più importante opera della letteratura occidentale, è anche il simbolo della ricerca delle origini. “Sono, dunque, io tuo figlio, Giocasta?” È la domanda di Edipo che non avrà mai risposta, perché Giocasta si è impiccata. Ed è la spasmodica ricerca delle origini dell’uomo che non ha mai né fine né certezze.
La ricerca delle origini è, in fondo, la ricerca dell’identità. Una ricerca davanti alla quale non c’è mai la certezza che arrivi una risposta. Ogni persona dovrebbe provare a darsi una risposta nell’intimo della sua vita personale, attraverso il processo creativo.
Attraverso il Metodo Autobiografico Creativo abbiamo scoperto insieme come ognuno possa essere tante cose in più e differenti rispetto a ciò che credeva di essere. E mi collego al discorso iniziale, quando dicevo di riconoscermi nella frase del Buddha “riderai di quello che prima credevi di essere o che volevi sapere di te stesso”.
Creatività come svelamento
Il processo creativo non svela le verità assolute ma crea dei punti di domanda, svela qualcosa che prima era nascosto. Quando metto in forma creativa qualcosa che apparteneva a me, la investo delle mie emozioni, di tutto ciò che sono.
E, a quel punto, non ho bisogno di interpretare o di far interpretare a qualcun altro ciò che ho tirato fuori ma sono io stesso a pormi delle domande: “e se fosse realmente così?”. “Se fosse vero, in altre parole, che sono anche questo, così diverso da quello che voglio sapere di me stesso?”
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