L’insegnante deve far leva sulle emozioni dei ragazzi. Ma che vuol dire? E’ la domanda che mi ha rivolto Salvo Amato di Professione Insegnante, nel corso dell’intervista a “Isola Creativa”, evento nazionale di Artedo su “creatività e intelligenza emotiva”. Dal mio punto di vista significa almeno due cose. Vuol dire, intanto, che l’insegnante deve aver risolto il dialogo con la sua Ombra (deve, cioè, possedere una chiara consapevolezza emotiva, cosa non impossibile ma alquanto rara, man mano che si sale di grado d’istruzione) e avere una buona conoscenza delle persone che ha di fronte. È la prima competenza che stimola la seconda. La seconda, infatti, si basa molto sull’empatia dell’insegnante che lo aiuta a conoscere bene i ragazzi. Si tratta di assunti di base della scuola dell’intelligenza emotiva.
Emozioni per insegnare
Come faccio a valorizzare i talenti delle persone che ho di fronte se non so niente di loro, se non so come vivono, che cosa provano, da quali esperienze di vita provengono? Provate a pensare: avere queste informazioni, che sono nozionistiche ma anche relazionali ed emotive, permette al docente di personalizzare un insegnamento.
Ma la scuola lascia poco tempo per avere un’informazione così ampia e rotonda sugli studenti. Nei miei incontri formativi, consiglio agli insegnanti (specie a quelli di scuola media-superiore) di non improvvisare mai. Piuttosto di preparare a casa la lezione, davanti lo specchio, ripetendo ad alta voce e immaginandosi in giro tra i banchi, fuori dalla cattedra, per la spiegazione. Preparando il momento esatto in cui inserire aneddoti e digressioni che coinvolgano e tocchino la vita degli studenti che hanno più bisogno di essere motivati e chiamati dentro la dinamica della relazione educativa.
Non lo fa nessuno. Ma la lezione, per essere efficace, deve essere un’azione teatrale studiata a tavolino. Personalizzare l’insegnamento con creatività per emozionare e incoraggiare il desiderio di apprendere: è questo che vuole fare la scuola di Intelligenza Emotiva. Non solo (o necessariamente, talvolta) insegnare le emozioni.
Una linea guida per gli insegnanti
SA: Mi fai riflettere su cose che noi già facciamo e su cose che dovremmo imparare a fare. Quindi, in qualche modo, l’intelligenza emotiva ci dà la possibilità di definire, stabilire una linea guida al lavoro degli insegnanti?
SC: Direi di sì. Ma l’insegnante non ha bisogno di soluzioni preconfezionate, benché sembri essere costantemente alla ricerca proprio di questo. Se è abbastanza creativo (o ci lavorerà), le soluzioni per agganciare i ragazzi le troverà da sé, una volta che gli sarà chiara la linea dell’orizzonte da seguire. Faccio un esempio. Ho appena terminato “Scuola creativa”, il best seller di Ken Robinson. Nel libro sono riportati gli esempi straordinari di buone prassi introdotte in alcune scuole per motivare gli studenti. Vi parlo dell’esperienza della Grange Primary School di Cardiff.
Tutto ha inizio nel 2005, quando alla guida della Grange viene nominato un nuovo dirigente. Richard Gerver, questo il nome, nel periodo di più bassa reputazione della scuola e di più alto rischio di dispersione, si inventa “Grangeton”, un progetto di “città nella scuola” per motivare gli studenti o rilanciare la sua scuola come azienda. In che modo? Osservando il modo in cui i bambini apprendono e quello che loro amano: il gioco. Nascono, così, emittenti radiofoniche e televisive, interamente gestire dai ragazzi, per sviluppare il linguaggio. Poi, crea dei finti ambulatori per fare in modo che i ragazzi, fingendosi medici, si prendano cura gli uni degli altri. Nasce, così, una scuola creativa, basata sul gioco come fonte di apprendimento.
Motivare con il gioco
Quando accadono queste cose, il sistema relazionale comincia a funzionare diversamente e meglio. Il livello della motivazione degli studenti è cresciuto a tal punto che oggi Gerver non fa più il dirigente ma va in giro per il mondo a raccontare la sua esperienza.
In fondo, pensiamoci, non ci vuole poi tanto per creare motivazione. Se, ad esempio, nella mia classe ci sono ragazzi a cui non piace studiare, mi chiedo: “Che cosa sono bravi a fare? Quel che cosa può diventare la leva per far emergere un talento, che non emergerà se continuo a fare le cose nella stessa identica maniera. Che cosa posso fare per valorizzare quello che sanno fare? In che modo posso agganciarli alla motivazione per lo studio della mia materia?” Insomma, ci vuole creatività, inventiva.
In altre esperienze, citate da Robinson, intere classi speciali tra studenti demotivati, che si consideravano poco intelligenti, con bassa autostima e che non pensavano di andare all’università, con la sola abolizione del voto e l’introduzione di materie pratiche, hanno cambiato le sorti scolastiche (e di vita) di tanti adolescenti. Che hanno, così, scoperto di poter andare all’università, di non avere niente di diverso dagli altri.
La chiave è il docente
Allora che cos’è che funziona? Qual è l’ingrediente segreto del “Guerriero Dragone”, direi citando “Kung Fu Panda? Quello che facciamo o il modo con cui lo facciamo? Il “che cosa” o il “chi”? Perché dipende solo da noi e dalle nostre motivazioni, i nostri “perché”, decidere di agire un cambiamento creativo.
L’auspicata ora di Intelligenza Emotiva in classe, allora, non vuole rivoluzionare la scuola. Vuole, semmai, rivoluzionare l’insegnamento, insistendo sulle basi da cui ci siamo troppo allontanati. Le emozioni, nell’acquisizione di questo nuovo vertice d’osservazione sui fatti della scuola, sono straordinariamente importanti. Non fosse altro che per un fatto di disparità di posizioni percettive tra l’insegnante e la classe.
Consapevoli dell’ombra
SA: Cioè, i ragazzi sanno di più sulle emozioni dell’insegnante di quanto egli non possa sapere sulle emozioni dei ragazzi?
SC: Esatto. Nel “Piccolo libro dell’Ombra”, l’autore, Robert Bly, afferma che la persona che abbia già risolto l’incontro con la propria zona buia, l’Ombra a cui accennavo prima, e vi abbia fatto i conti, è come se avesse un’anima più densa, più condensata, di cui gli altri si accorgono. Questo incontro accorcia le distanze tra la persona e le sue emozioni, inspessisce l’anima e la rende inscalfibile.
È così che la persona si riveste di autorità (dice, testualmente, l’autore; io preferisco parlare di autorevolezza). In altre parole, è come se i ragazzi “vedessero” il corvo sulla spalla del loro insegnante che lo consegna definitivamente alla leadership della classe.
Sembra un discorso semplice e scontato ma ti assicuro che non lo è. Trenta studenti (bambini o adolescenti non cambia) che osservano per cinque ore di fila il docente si insinuano nelle pieghe della sua anima. I ragazzi si accorgono se sta male o bene e sanno usare queste informazioni (emotive) al momento giusto. Esercitano, insomma, la manipolazione di cui sono capaci per i loro scopi da studenti. Gli insegnanti non coglieranno mai le stesse cose dei ragazzi perché, al più, mantengono alta l’attenzione sulla classe, non sul singolo. Non ne avrebbero neanche il tempo.
Per questo sono così importanti le emozioni nel processo di apprendimento. Ma gli insegnanti, se si parla delle loro emozioni e non di quelle dei ragazzi, fuggono via. Invece è proprio ciò intorno a cui bisogna formarsi. Perché la comunicazione è soprattutto fatta di emozioni. E l’efficacia educativa dipende dalla qualità della comunicazione.
Fare lezione con intelligenza emotiva
SA: Condivido. Lo leggevo nel tuo ultimo libro “Comunicare con intelligenza emotiva”.
SC: “Comunicare con intelligenza emotiva” non è specificamente pensato per gli insegnanti. Vale per tutti. Comunicare, in definitiva, non è altro che incontro tra emozioni. Ma se l’incontro avviene al buio….
In relazione al mondo della scuola, mi viene da aggiungere che è per questo che i grandi “maitres à penser” del nostro tempo sostengono che gli insegnanti andrebbero scelti in funzione delle competenze emotive e non delle conoscenze.
0 commenti
Trackback/Pingback