Si chiama Warm Cognition ed è un approccio relativamente recente, nato dalle ultime ricerche delle neuroscienze intorno al campo delle emozioni, che pone queste ultime al centro del processo di apprendimento. Si basa su un concetto semplice e, solo apparentemente, scontato: un’atmosfera serena e incoraggiante favorisce un apprendimento positivo e senza stress. Tanto nei bambini, quanto negli adulti.
Apprendimento caldo ed emozioni
Nonostante la semplicità (e, per certi versi, la banalità) di questo principio, semplicemente esposto dalla Pedagogista e Danzaterapeuta Raffaela D’Alterio nel Manuale di Arti Terapie (di cui sono co-autore e curatore), la quotidianità della scuola, il luogo deputato all’apprendimento per definizione, vive momenti di grande stress, sia sul fronte degli insegnanti che dei bambini. Lo stress è, però, causa di cortocircuito emozionale, di blocco, di chiusura.
Se si verifica, motivazione e attenzione lasciano il posto alla paura. Paura del non-ordinario, del non-già-visto, paura di apprendere il nuovo, perché quel “nuovo” è legato, ancora connesso all’emozione negativa (di paura, quasi sempre, per l’appunto) vissuta per la prima volta durante un apprendimento caratterizzato dall’errore.
Va detto, per onestà intellettuale, che non esistono emozioni negative, data l’utilità di tutte quelle conosciute e la loro importanza sul piano evolutivo. Quando, pertanto, utilizzo la definizione di “emozione negativa”, lo faccio unicamente per brevità, dal momento che, benché non esistano emozioni negative, esistono emozioni che portano con sé reazioni e conseguenze negative per l’organismo o spiacevoli. Che, di norma, si tende a rifuggire, come quelle associate alla sola idea di commettere degli sbagli.
La paura dell’errore
Ma perché mai si dovrebbe aver paura di commettere degli errori? Probabilmente, è solo un fatto culturale. Meglio sarebbe, infatti, approcciare in maniera differente e più appropriata l’esperienza dell’errore: se l’atto di sbagliare, in un contesto in cui è vietato sbagliare, viene associato a emozioni negative, come paura o inadeguatezza, tende a generarsi, nel bambino, un sentimento di malessere che provoca il blocco, la chiusura al nuovo apprendimento (per non parlare delle ricadute anche nella vita adulta di simili inibizioni).
Se l’errore è consentito, allora, è possibile apprendere da esso e imparare ad andare oltre i limiti. Cioè, se l’errore non è associato alla punizione, alla frustrazione, all’umiliazione, ma viene accolto e compreso, diventa risorsa e fonte d’apprendimento. Il sorriso comunicativo e di incoraggiamento sostituisce il rimprovero (che non ha alcun senso al fine di evitare l’errore) e stimola la motivazione e l’attenzione.
L’apprendimento caldo, così, sostenuto da emozioni positive (l’allegria, il buon umore e la magia creata da un sorriso), diventa un vero e proprio approccio educativo che permette di evitare il blocco e il cortocircuito emozionale. «L’intelligenza funziona meglio quando si è felici», afferma la neuroscienziata Daniela Lucangeli. Che continua: «L’errore non è una sconfitta, non è un fallimento. L’errore è una prova a cui si può trovare insieme (insegnante o genitore) una soluzione, una risposta che porta senso di vittoria e crescita che resterà fissato nella memoria come emozione positiva».
Le emozioni “buone”
Apprendere con emozioni positive è, perciò, un principio su cui insegnanti ed educatori possono lavorare molto e bene, per portare al successo la propria missione di formatori e maestri di vita. Cosa che, peraltro, viene confermata dalla psicologia.
Lev Semënovič Vygotskij, psicologo sovietico, il “Mozart della psicologia”, padre della scuola storico-culturale, parla dell’esistenza di uno spazio prossimale che rappresenta lo spazio tra il livello di sviluppo iniziale del bambino (cioè, la sua capacità di soluzione dei problemi) e il suo livello di sviluppo potenziale, ovvero la sua capacità di soluzione di problemi con l’assistenza di un adulto.
Mentre Piaget affermava che il bambino passa attraverso diversi stadi ed è pronto, con il tempo, ad apprendere nuove conoscenze che, agli stadi precedenti, non era in grado di apprendere, Vygotskij, che con i suoi studi, prende le distanze dal collega svizzero, sostiene che il bambino impara da coloro che si trovano a un livello di conoscenza superiore.
Secondo Vygotskij, in altre parole, chi insegna dovrebbe proporre al bambino problemi di livello un po’ superiore alle sue attuali competenze, tuttavia abbastanza semplici da risultargli comprensibili, all’interno di quell’area in cui il bambino può estendere le sue competenze e risolvere problemi grazie all’aiuto degli altri (la zona di sviluppo prossimale, appunto).
Tra psicologia e insegnamento
Questo processo amplia la zona di sviluppo attuale del bambino: egli diventa, così, capace di eseguire un compito autonomamente che prima non sapeva eseguire. Tutto ciò senza sperimentare la frustrazione del fallimento che causerebbe il corto circuito dell’apprendimento provocato dalle emozioni negative.
Di chi parla, in fondo, Vygotskij se non del ruolo dell’educatore (e, quindi, dell’insegnante) in relazione al suo allievo? E quanto è attuale oggi questa teoria che ha almeno un secolo di vita, in un momento in cui l’OCSE pubblica i dati catastrofici sui livelli degli apprendimenti degli studenti italiani. Studenti italiani che sono parte di un sistema scolastico che fonda la sua essenza sul voto e, quindi, sul sistema di gratificazioni e punizioni a cui si riferisce la cultura dell’errore.
Creare un sistema scolastico accogliente che infonda fiducia si può. Ma servono docenti creativi che sappiano personalizzare gli insegnamenti. Solo così l’obiettivo sarà valorizzare i talenti dei ragazzi e renderli autonomi nel mondo adulto.
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