Impariamo prima e meglio attraverso il corpo e il movimento (ad esempio, grazie a un’esperienza concreta), o quando siamo mossi da una chiara motivazione e da intenzionalità. Ciò significa che l’apprendimento ha una base motoria. Il che non implica in alcun modo che debba essere utilizzato il corpo o il movimento per apprendere qualcosa, né che “intenzionalità dell’apprendimento” sottintenda l’impegno consapevole delle persone coinvolte nella relazione educativa. Certo è che, come scrive Raffaela D’Alterio, Pedagogista Clinico e Danzaterapeuta, che ha curato il capitolo del Manuale di Arti Terapie dedicato all’espressione corporea, “siamo di fronte a una frontiera che offre opportunità enormi agli insegnanti, specie in relazione agli apprendimenti dei ragazzi con bisogni educativi speciali.”
La base motoria
Conviene precisare subito che, per base motoria, qui si intendono tutte le attività che l’area motoria del nostro cervello svolge per la comprensione di ciò che accade intorno. Osservare un’azione o compierla, è dimostrato dalle neuroscienze, di fatto, attiva i medesimi circuiti neurali, come chiarisce la scoperta dei neuroni specchio.
Rizzolatti e Sinigaglia, infatti, spiegano benissimo che un cervello che agisce per imitazione di un comportamento reagisce al livello della corteccia motoria. Il che conferma che ogni processo di apprendimento non avviene unicamente a livello simbolico, come sosteneva il modello cognitivista, ma anche e soprattutto a livello motorio.
Il cervello che agisce è, perciò, anche e prima di tutto, un cervello che comprende (So quel che fai, Rizzolatti e Sinigaglia, 2006).
Intenzione e apprendimento
La cosa sorprendente dei neuroni specchio è che mappano e conservano le relazioni intenzionali (oggetto-scopo) che continuamente esperiamo nell’ambiente e che costituiscono la base neurale dei nostri apprendimenti. I neuroni specchio, in altre parole, organizzano l’apprendimento su base intenzionale. Cioè, intorno a uno scopo preciso.
Comprendere è, perciò, cogliere lo scopo di un’azione, ovvero prevedere il risultato delle sue conseguenze. Va detto, per inciso, che le neuroscienze completano queste evidenze affermando che la comprensione e l’apprendimento di nuovi concetti non dipendono solo dalle mappe mentali individuali ma, piuttosto, dalla correlazione tra pattern esterni e interni.
Cioè, se chi ci trasferisce una nozione non riesce a far leva sulle nostre motivazioni ad apprendere, il processo risulta infruttuoso.
Apprendimento come simulazione
Se, dunque, la comprensione avviene su base motoria, cioè, se si basa sulla simulazione dell’azione (osservata, ascoltata, letta), va da sé che
- dipenda dal repertorio di strutture di relazioni intenzionali possedute dall’individuo che si espone all’apprendimento, non meno di quanto
- sia organizzata intorno a uno scopo.
Richiede, inoltre, un certo grado di sintonizzazione, che si realizza per effetto della condivisione delle reciproche rappresentazioni tra “emittente” e “ricevente” un certo insegnamento.
Il linguaggio motorio
Per questo, agli insegnanti, a scuola, se l’obiettivo è ottimizzare l’apprendimento dei discenti, è espressamente richiesto (o auspicabile che venga percepito come tale), ad esempio:
- di attingere al repertorio di concatenazioni precedentemente formate nelle relazioni in classe (per effetto delle interazioni con l’ambiente), condizione basale al realizzarsi dei processi di rispecchiamento funzionali all’apprendimento;
- di privilegiare un linguaggio sensorimotorio, capace di riattivare l’esperienza senso-motoria legata agli oggetti a cui le parole si riferiscono (Borghi, 2010).
È così che nasce la sintonizzazione che valorizza la motivazione ad apprendere, l’attenzione e l’azione finale di rendere per se stessi fruibili le informazioni apprese. L’azione, infatti, è attivata proprio dalla somiglianza strutturale tra i processi neurali di chi apprende e quelli di colui che insegna (o della sua modellizzazione).
0 commenti
Trackback/Pingback