he gli adolescenti stiano mediamente male è un fatto notorio. Come lo è anche il fatto che essi non riescano a dare un nome al loro malessere. Ma la sofferenza dell’attuale generazione di adolescenti è tanto più allarmante quanto più è silenziosa e strisciante. Oggi questo serpeggiante, innominabile nodo allo stomaco, dovuto alla deprivazione emozionale che ne inibisce l’individuazione e l’isolamento, si chiama omologazione e nichilismo. Porta con sé depressione e disturbi di vario genere, con insorgenza sempre più precoce. Purtroppo, infatti, vale anche per i bambini e interessa un range d’età così ampio da arrivare ad abbracciare almeno un ventennio. Che fare? Pensare una riforma che introduca l’educazione emotiva a scuola.
Il malessere degli adolescenti
Cambiano i tempi, cambia il modo di stare male e quello di esternarlo. Così, il malessere dei nostri tempi non è più quello dei consueti comportamenti disadattati. Né l’emarginazione mostra caratteristiche di esclusione visibile, tangibile, riconoscibile e riconducibile a categorie:
- il bambino difficile,
- l’alunno inibito e depresso,
- l’adolescente ansioso.
La nuova sofferenza si esprime con
- il silenzio e la paura,
- l’omologazione e il nichilismo,
- un elevato bisogno di dipendenza e
- una diffusa e preoccupante apatia.
Per questo è più difficile individuare e combattere i nuovi mali dei giovanissimi. Ma gli effetti sono devastanti.
Nella condizione di apatia, omologazione e nichilismo dei ragazzi, afferma Alex Korb, Neuroscienziato della Brown University, “[…], la particolare sintonizzazione dei circuiti neurali crea la tendenza verso un modello di depressione che ha a che fare con il modo in cui il cervello affronta lo stress, la pianificazione, le abitudini, il processo decisionale e l’interazione dinamica di tutti quei circuiti. E, una volta che un modello inizia a formarsi, provoca dozzine di piccoli cambiamenti nel cervello che creano una spirale discendente.”
La scuola, però, spesso confonde questo “inedito malessere” con
- l’indolenza,
- la maleducazione,
- la svogliatezza.
Ma questi sono gli effetti della sofferenza, non la causa.
Quali cause?
Le cause, semmai, dovrebbero essere principalmente ricondotte a tre fattori tra loro interagenti:
- La ridotta capacità, da parte delle famiglie, di accogliere, capire e contenere i disagi e le conflittualità dei figli;
- Il dilatarsi a dismisura delle fasi evolutive dei giovani (l’adolescenza in molti casi sembra non terminare mai: per questo l’Io tarda a strutturarsi);
- La massiccia presenza sul mercato di prodotti, situazioni, (pseudo)valori in grado di orientare mode, consumi, comportamenti, convinzioni.
Il che significa:
- genitori meno disponibili,
- stili educativi sbagliati e
- un’economia che genera bisogni in gran quantità per poi svuotarli di significato
ma che concorrono, allo stesso momento, ad espropriare gli adolescenti
- del desiderio e, con esso,
- della capacità di esplorazione,
- delle emozioni,
- delle passioni,
- della voglia di rischiare, di immaginare e, quindi, di alimentare il desiderio stesso.
Tutti uguali
La corsa all’omologazione, la mancanza di desiderio e l’incapacità di sognare creano in molti adolescenti e in tanti bambini un disagio oggettivo, prima ancora che soggettivo.
- La caduta del desiderio,
- l’incapacità dei bambini di affrontare con competenza e senza timore le proprie emozioni e
- la difficoltà di molti giovani di rappresentarsi il futuro
bloccano la crescita in molti adolescenti e preadolescenti. Spaventati dalle proprie emozioni e impauriti dalla relazione con l’altro, a molti non rimane che percorrere vie disfunzionali. Moltissimi giovani assumono bevande alcoliche e pasticche senza le quali pensano sia impossibile divertirsi, provare emozioni e sensazioni positive, conoscere e allacciare rapporti. Molti bambini, già dai primi anni di scolarizzazione, picchiano i compagni, altri bambini e preadolescenti si mostrano ingestibili a scuola.
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Integrare o aggregare?
Tutto questo malessere, che si esprime attualmente con forme così nuove e inedite, entra nelle scuole cogliendo di sorpresa i docenti, così come coglie di sorpresa genitori e famiglie. Per questo,
- se trent’anni fa si parlava ancora di “inserimento” dell’alunno svantaggiato,
- per poi passare al concetto di “integrazione”,
- oggi si dovrebbe parlare piuttosto di “aggregazione”,
nel senso di una pedagogia finalizzata ad aggregare negli alunni adeguate competenze di vita (o psicologiche) al fine di favorire capacità quali:
- lo sviluppo dell’autocontrollo;
- la consapevolezza emotiva;
- l’attitudine a una comunicazione chiara, efficace e assertiva;
- l’affermazione del proprio Sé attraverso il confronto e la cooperazione;
- il graduale sviluppo della curiosità, del desiderio, del senso di appartenenza, della tolleranza alla frustrazione e alla noia.
Competenze che andrebbero favorite e implementate dalla scuola dell’infanzia alla maturità. Si chiama educazione emozionale ed è considerata troppo “basilare” dal nostro inefficace sistema d’istruzione che appare troppo lanciato verso il baratro per rallentare la sua folle corsa e accorgersi di quanto siano importanti i fondamentali.
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