Nel suo processo di sviluppo e crescita, l’Io viene sottoposto continuamente a sfide dovute alla presenza di altri modi di essere. Persone, cose, fenomeni che nello scorrere del tempo caratterizzano la personalità ma che costituiscono modi diversi di rappresentarsi le cose della vita. Questi aspetti nuovi, le passioni, le emozioni, i talenti, la frustrazione per non aver ottenuto qualcosa cui si aspirava, le piccole perversioni, i vissuti sofferti e traumatici finiscono così per non essere riconosciuti. Dunque, negati, essi finiscono nell’ombra. L’ombra può essere allora considerata come quella dimensione del processo di individuazione che porta alla scoperta dell’essere nella quale vengono ricacciati quegli elementi che vengono espulsi dalla coscienza.
Piccolo libro dell’Ombra
Metaforicamente, il concetto viene ben espresso con l’immagine del bambino che, lungo la strada della sua crescita, trova diversi oggetti che si getta alle spalle, nel sacco che gli impedirà di vederli (Robert Bly, Piccolo libro dell’Ombra, Edizioni Red 2003). Tuttavia, sapere che cosa ci si è buttato alle spalle è importante per raggiungere il vero Sè, anche perché, prima o poi, il sacco diventa talmente pesante da impedire alla persona di muoversi oppressa dal fardello.
Avviare, dunque, un dialogo con l’ombra diventa il confronto nel corso del quale gli oggetti rifiutati possono essere integrati alla coscienza, mentre altri definitivamente scartati. Ecco quello che definiamo consapevolezza.
Se non si celebra questo rito di esplorazione interiore, successivamente, infatti, questi stessi contenuti “tenderanno a spostarsi dai residui dell’inconscio personale ai contenuti matematici e arcaici dell’inconscio collettivo, ancora più imprendibili”, scrive Claudio Risé nel libro “La scoperta di sé”, dei contenuti dell’ombra personale. Perché gli eventi traumatici, inquietanti e insopportabili, relegati nei meandri dell’ombra, allorché definitivamente rifiutati, si associano a tutte le diverse forme rifiutate nel corso della storia dell’umanità.
Quando l’Ombra fa paura
Per questo, quei contenuti finiscono per assumere gli aspetti paurosi dell’inconscio collettivo, aspetti che, più che dalla psicologia, vengono illustrati con grande efficacia dall’arte e dalla creatività.
In questo senso, il lavoro di produzione di immagini con il Metodo Autobiografico Creativo è un’indagine sugli archetipi, individuali e collettivi, che esprimono i contenuti soffocati con cui l’individuo, l’Io, preferirebbe non avere che fare ma che si esprimono inconsapevolmente nella relazione con l’altro.
È così che si sviluppano due figure separate e distinte.
- Da una parte l’Io, rappresentazione della coscienza e delle responsabilità che la persona consapevolmente assume,
- dall’altra, l’ombra, come rappresentazione di potenzialità e di sfide evitate.
E nel riconoscimento di questa separazione che inizia il processo di crescita personale: con la scoperta dell’emozione della vergogna che la persona prova per il fatto di non sentirsi adeguata alle proprie intenzioni e di vivere, pertanto, nella menzogna. L’equilibrio verso il quale si tende, allora, ruota intorno alla scoperta di un’emozione, intorno alla quale si viene a cercare una stabilità.
Ma, per approdare a tanto, l’Io deve confrontarsi con l’ombra, benché, se potesse ne farebbe volentieri a meno. Facendo emergere a livello conscio l’oscurità, il confronto con la dimensione intima di sé si rivela doloroso e pauroso e, al tempo stesso, ricco e proficuo per la crescita personale dell’individuo. Bene: in questa fase, la creatività è il mezzo privilegiato.
I mandala
La mistica orientale attribuisce questo potere alle forme circolari del mandala, un ritirarsi concentrico dalla periferia della coscienza verso il centro della personalità, il Sé.
Convergere verso il centro della personalità, l’inconscio, infatti, mette l’individuo di fronte
- al caos,
- alle imperfezioni e
- all’irregolarità di quello che vi accade all’interno.
D’altro canto, è proprio per non confrontarsi con questo caos che le persone preferiscono guardare verso l’esterno, all’apparente ordine delle cose del mondo. Infatti, nel corso di questa indagine in cui si osserva quello che è fuori di noi, nel mondo, possiamo sempre attribuire la colpa agli altri, invece di farci carico del nostro caos personale. Per questo le persone rifuggono l’indagine introspettiva e preferiscono arroccarsi sulle posizioni della razionalità e del conscio collettivo: per non fare i conti con se stesse.
Benché, tuttavia, avventurarsi nel caos sia difficile e, a tratti, spaventoso, è fondamentale affrontarlo, piuttosto che ignorarlo, fingendo di vivere situazioni ordinate. Senza affrontare il caos, in altre parole, non esiste alcuna possibilità di crescita personale (e di individuazione, per dirla con Jung).
Potere della creatività
Ecco, in definitiva, in cosa risiede l’efficacia trasformativa delle immagini e della creatività che le genera. Esse svelano il caos interiore, lo attribuiscono all’individuo e lo separano dall’esterno (perché sono finite, limitate).
Ma, come tutte le zone di confine, mentre l’immagine del caos separa l’individuo dal mondo circostante, nello stesso tempo lo collega ad esso. E gli spiega come solo la capacità di riappropriarsi di quel caos, riconoscendolo come proprio, di mettervi ordine, trovarvi significati e darvi un senso, può impedire che esso finisca disordinatamente e istericamente nel mondo.
Il limite che lo trattiene dentro (con le sue immagini inconsce), allora, in un primo momento, separa e protegge dall’esterno (per aiutare l’autoconsapevolezza) ma, contemporaneamente, lo collega al mondo fuori, tramite l’inevitabile relazione rivelatrice.
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