L’incontro con l’immagine che emerge dalla creatività personale può considerarsi una sintesi dei molteplici contenuti attraverso cui si esprime l’inconscio che parla alla parte cosciente. Le immagini del processo creativo sono le stesse che la persona vive e produce durante il sogno, momento in cui tutti i contenuti emotivi, etici, estetici, i vissuti e i valori vengono rappresentati con una forza che non può essere diversamente espressa da concetti razionali. Riconoscersi in quelle immagini e in quelle figure, le stesse con cui parla l’inconscio, porta, allora, l’individuo ad abbandonare l’idea che egli costruisce di se stesso nell’era moderna, allorquando preferisce apparire nel modo in cui vorrebbe vedersi, piuttosto che riconoscere, tra le altre cose, le proprie fragilità, le difficoltà e le inquietudini.
Creatività e intelligenza emotiva
Riappropriarsi, allora, delle immagini con cui la parte più profonda parla alla coscienza (e che essa teme e rifugge) è il modo più efficace di abbandonare la superbia razionale che caratterizza gli ego contemporanei, di grandi pretese ma in fondo deboli e poco consapevoli. Solo in questo modo, infatti, è possibile avviare un dialogo ed un confronto con gli aspetti profondi, archetipici perché arcaici e collettivi, che le immagini (con delle emozioni che raccontano) esprimono.
La consapevolezza che nasce da quell’incontro rende più fluida e flessibile l’immagine che ognuno ha di sé e apre ad una relazione più tollerante e autentica con gli altri e con il mondo esterno. Ecco in che modo al creatività si apre all’intelligenza emotiva. Ecco, in definitiva, perché il mio Metodo Autobiografico Creativo (da cui è tratta l’immagine in evidenza) aiuta a potenziare la competenza che chiamiamo Intelligenza Emotiva.
Il principio d’identità
Il filosofo francese Michel Maffesoli, nel libro “La trasfiguration du politique” del 1992, con il concetto di “metafisica della soggettività” (che è una caratteristica della modernità) afferma che nessuno può essere ridotto ad unità, ovvero che nessuno può corrispondere al solo “principio di identità”, dal momento che in ogni persona convivono molteplici aspetti, per nulla identici tra loro, spesso tutt’altro che simili e, nella maggior parte dei casi, completamente diversi gli uni dagli altri.
Essere consapevoli di sé, allora, significa ammettere l’esistenza e la coesistenza armonica (nel senso che convivono in “armos”, in lotta, in armonia) degli opposti che è possibile rilevare allorquando si smette di guardare verso l’esterno, per aderire ad una immagine sociale ed ideale, e si inizia a volgere lo sguardo verso l’interno. Quello è il momento in cui cessa la fase declamatoria di sé e dell’individuo e inizia quella dell’ascolto e del dialogo interiore che porta alla reale crescita personale che Jung chiama individuazione.
L’inconscio parla per immagini
Poiché l’inconscio si esprime attraverso le immagini, i diversi personaggi del processo di individuazione, innescato dalla vergogna di aver vissuto nella menzogna, sono rappresentati da “figure” che Jung definisce “archetipi”. Si tratta di un numero determinato di attori che compaiono in questo processo: persona, io, ombra, anima, animus e, infine, il Sé, in quanto elemento di sintesi della comprensione del funzionamento interno (in psicologia, si direbbe “della dinamica psichica”) della persona, che si esprime attraverso immagini che hanno potere trasformativo.
La formazione dell’operatore, allora, è quella che si sviluppa intorno
- alla sua disponibilità ad ascoltare il messaggio rivelatore delle immagini,
- ad agevolare la loro manifestazione e
- alla capacità di riconoscerne il significato, attraverso un’indagine, introspettiva, autobiografica, qualora serva, anche con l’aiuto delle scienze, della filosofia, dell’arte e dell’antropologia.
Fuori dalla zona di comfort
Per riuscire ad incontrare i simboli e i personaggi che si nascondono nelle immagini, occorre uscire dalla zona di comfort. Prima che il processo di individuazione (che da questo momento possiamo chiamare “di crescita personale”) abbia inizio, infatti, l’attenzione della persona è rivolta unicamente verso l’esterno, verso modelli di vita preconfezionati, abitati dall’Ego personale che produce le sicurezze e le preoccupazioni (Plotino, in proposito, afferma che, “a furia di costruire la statua personale, si finisce per diventare contemplatori di se stessi”).
Quando, però, la persona entra nel processo individuativo, la direzione muta e l’orientamento si capovolge: ha inizio la conversione e, a quel punto, investire energie verso un esterno stereotipato diventa sempre più difficile.
Al movimento verso l’esterno succede, così, il movimento dall’esterno verso l’interno, verso il Sé, in un viaggio che deve svelare ciò che è rimasto nascosto (la verità). Processo che viene assolto, appunto, dalle immagini inconsce, con il loro potere trasformativo.
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