Vedere oltre. Lo sguardo. La vista. Un argomento fondamentale che accompagna chi sceglie di fare dell’intelligenza emotiva la propria professione. Il contatto visivo e la comunicazione non verbale in genere sono segni importanti in uno spazio strutturato di relazione, elementi fondamentali che inviano messaggi densi di significati nel “qui e ora” del contesto. Ma non vale solo per le aule scolastiche, i diversi ambienti educativi e i setting d’aiuto: tutti i giorni e in ogni contesto, occorre affinare la capacità con cui vedere al di là di quello che la vista può osservare. Per questo a molti sfuggono informazioni fondamentali. Per farlo, tuttavia, non basta allenare la vista come organo di senso: occorrono gli occhi del cuore, delle emozioni, dello spirito.
Vedere oltre
Ma è attraverso il senso della vista che decodifichiamo la maggior parte degli stimoli che provengono dall’esterno. Basti pensare che, attraverso di esso, assumiamo circa il 90% delle informazioni relative all’ambiente circostante. Le informazioni vengono filtrate anche dagli altri organi di senso ma è la vista che permette di acquisire informazioni più rilevanti, come percepire il linguaggio non verbale, il linguaggio del corpo degli interlocutori con cui interagiamo.
Le stesse informazioni che assumiamo dall’esterno, attraverso il senso della vista, trasmettiamo con tutta l’espressività dello specchio dell’anima. Aspetto diventa fonte di autoapprendimento, ad esempio, nei lavori creativi sull’autoritratto, uno dei passaggi chiave del Metodo Autobiografico Creativo con cui le persone vengono aiutate ad incontrare se stesse e le proprie emozioni nei percorsi di formazione sulla consapevolezza di sé e l’intelligenza emotiva.
Lo sguardo e la cultura
Lo sguardo, il contatto visivo, assume un’importanza che varia da contesto a contesto. Un esempio è dato dai setting terapeutici. Per Freud, il contatto visivo era inutile e poteva, addirittura, compromettere la relazione e le “libere associazioni”. Per questo, egli si posizionava alle spalle del paziente che si stendeva sul divano.
Anche se sappiamo dallo stesso Freud che il setting delle sedute psicoanalitiche lo aveva ideato per un suo personale bisogno di non guardare negli occhi il paziente, possiamo pensare che tale setting fu ideato anche per un retroterra culturale dell’epoca: la mentalità che occorresse riporre fede nella scienza e che l’analista restasse neutrale rispetto al paziente (sospensione e rinuncia a ogni desiderio per mettere il paziente nella condizione di far funzionare la sua mente nel modo più efficace possibile).
Con Carl Gustav Jung il setting delle sedute cambia: in una stanza, anch’essa confortevole e familiare, analista e paziente si siedono comodamente, ognuno su di una poltrona, l’uno di fronte all’altro. Entra in gioco, così, lo sguardo che si avvicenda al dialogo, secondo un ritmo di alternanza dialettica. In questo caso, dunque, è necessario che paziente e analista si guardino in viso: lo sguardo diventa, così, uno strumento d’indagine di grande importanza.
Capirsi con lo sguardo
La maggior parte degli approcci attuali riconoscono l’importanza dello sguardo. Diventa chiara, così, l’importanza dello sguardo come espressione di aspetti non verbali della comunicazione, che ricorrono in tutte le relazioni
- sociali,
- professionali,
- sentimentali e
- familiari.
D’altro canto, è quello che esprime la frase “capirsi con uno sguardo”, visto che non serve sempre la parola per comunicare. La comunicazione senza parole, quella che si sviluppa nel silenzio, è più arcaica, istintiva, perché interessa il linguaggio del corpo. Mentre il linguaggio delle parole è solo una piccola parte della comunicazione umana.
Poiché, dunque, la comunicazione va oltre le parole e anche lo sguardo è comunicazione, siamo tutti esposti all’esperienza sensibile che ci mette in relazione tramite la percezione. Per il modo in cui gli altri ci guardano e per come noi guardiamo il mondo, creiamo relazioni e comunicazione.
La relazione educativa
Ci sono perfino sentimenti che si attivano in relazione a come siamo guardati e a come guardiamo gli altri. Basti pensare alla relazione educativa e la differenza di punto di vista tra la cattedra (e la visione d’insieme dell’insegnante) e la classe (e la visione attenta e orientata per ore di ogni studente sul professore).
- La prima visione porta ad uniformare il risultato dell’osservazione;
- la seconda a cogliere l’intimo (pacatezza, autocontrollo, incertezze) dell’unica persona al centro dell’osservazione.
Punti di vista disallineati che generano risultati diversi in termini di risonanza e conoscenza emozionale (attraverso il non verbale della corporeità).
Solo, infatti, entrando in un rapporto comunicativo reciproco e significativo con gli altri, come accade attraverso lo sguardo, si viene individuati come persone e si individuano gli altri interlocutori. Dove lo sguardo non è solo legato alla percezione sensoriale ma rimanda, anche e soprattutto, al personalissimo modo in cui osserviamo la realtà che dovrebbe essere depurato dalle convinzioni limitanti e stereotipate che ci portano a vedere negli altri esattamente ciò che ci aspettiamo, in modo preconcetto, di trovare.
Gli occhi del cuore
Allenarsi a vedere oltre significa, allora, allenare il cuore, la mente, il corpo e le emozioni ad accogliere un’esperienza di realtà molto più ampia, di cui lo sguardo, non solo nel senso fisico ma anche metaforico, è il primo contatto. Solo così si impara a rinunciare a soffermarsi su ciò che la sola vista può notare: gli errori, i difetti, tutto quello che non corrisponde ai canoni di chi osserva.
Vedendo oltre, viceversa, si riesce a cogliere l’unicità e l’autenticità delle persone che troppo spesso restano intrappolate nelle reti create dai filtri autoimposti di vite interiori superficiali. E dal desiderio insufficiente di stare nel tempo degli altri.
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