Ci sono regole che non serve che siano scritte. Basta osservare persone sincere ed efficaci nella relazione con gli altri per rendersi conto che esse possiedono un dono. E che quel dono è più di una competenza: difficile, dunque, considerarlo al primo o all’ultimo posto di un’ideale classifica di virtù, perché spesso è la sintesi di molte altre qualità sottintese, che precedono (nel senso che possiamo immaginarle) e che seguono (nel senso che possiamo aspettarci da esse che agiscano in coerenza con quelle virtù). Non sappiamo perché i comportamenti di queste persone eccellenti ci colpiscano: sappiamo solo che ciò che fanno è la sintesi di un modo di essere che si viene strutturando con la formazione personale, la conoscenza e la consapevolezza. Provo, allora, a riassumere le qualità intrinseche che tutti notiamo e apprezziamo in educatori, insegnanti e operatori della relazione d’aiuto che consideriamo eccellenti.
La relazione d’aiuto
Nel 1951, Rogers definisce la relazione d’aiuto come “una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere la crescita dell’altro, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. L’altro inteso come individuo o gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggior possibilità di espressione”.
Un concetto chiaro e attuale a cui è strettamente legato quello di empatia. Per Rogers, infatti, relazione di aiuto ed empatia procedono di pari passo. Poiché, infatti, ogni professionista che si occupa di relazione di aiuto sente una spinta motivazionale in quella direzione, risponde, per così dire, alla componente pro-sociale, fondata per natura sulle capacità empatiche, del personale sistema di valori.
L’empatia secondo Rogers
Le spinte pro-sociali che governano le relazioni di aiuto giustificano alla fonte, infatti, le capacità empatiche innate e la predisposizione all’ascolto dei professionisti. Tuttavia, come afferma lo stesso Rogers, occorre allenare questa dote e “formarsi” all’empatia.
L’empatia, per mutuare il pensiero di Carl Rogers, è quella che permette all’operatore della relazione d’aiuto di impostare un rapporto positivo ed efficace. Principio cardine: l’ascolto attivo. Vale nella terapia come nella relazione educativa. Come, del resto, ovunque.
Nell’ascolto attivo è impossibile concentrarsi solo sull’ascolto delle parole e del linguaggio verbale. Per entrare in risonanza e conoscere meglio gli altri, occorre concentrarsi sugli aspetti non verbali, senza proiettare e senza cadere nel giudizio legato a facili interpretazioni, spesso errate, del linguaggio del corpo o di elementi marginali, come l’abbigliamento, che conducono allo stereotipo.
Meglio, piuttosto, stare nel qui e ora, senza memoria né desiderio, della comunicazione non verbale per analizzare la congruenza tra verbale e non verbale e quali emozioni si manifestino attraverso il non verbale.
Il decalogo dell’operatore
Ma la chiave dell’effetto del cambiamento nella relazione d’aiuto è l’educatore stesso (che, a seconda dei contesti, può chiamarsi insegnante, operatore o terapeuta), l’unica variabile. Perché, se un principio vale su tutti, è che un operatore è prima di tutto un uomo e sulle sue caratteristiche personologiche si costruisce l’insieme di atteggiamenti che lo renderanno unico nella sua professione.
Cioè, ne saprà almeno quanto gli altri suoi colleghi ma la sua competenza sarà unica perché unica è la persona che vi abita dentro. E, ancora, perché unico è il modo di intendere le sue virtù.
Stiamo parlando, dunque, di una persona che esprime, in sintesi, elevati livelli di intelligenza emotiva.
- La responsabilità verso se stesso e verso gli altri;
- La cura della propria persona e dell’aggiornamento continuo;
- L’ottimismo e la fiducia;
- Creatività e spirito pioneristico (o atteggiamento esplorativo), da cui dipende la sua capacità di connettere (e di connettersi, metaforicamente, con) territori in apparenza scollegati;
- La pacatezza, la capacità di contenimento e l’assertività;
- L’autoironia e l’ironia;
- L’ascolto, la curiosità, l’amore per il bello e per la verità;
- Essere un esempio positivo, il rispetto per gli altri e la rettitudine;
- Autocontrollarsi e comunicare sobriamente;
- La tolleranza della solitudine, della frustrazione dell’ingratitudine.
C’è un ultimo aspetto che va considerato: queste doti devono essere tutte contemporaneamente presenti. Perciò, il mio decalogo è un buon inizio ma non finisce qui.
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