Uno degli esperimenti di psicologia sociale tra i più noti è quello condotto da Stanley Milgram nel 1961. Nell’esperimento di Milgram, un gruppo di volontari accettò di eseguire l’ordine di infliggere scariche dolorose ad altrettante persone, benché contrario ai loro valori etici e morali. Lo studio dimostrò che il comportamento davanti all’autorità subisce un rimaneggiamento, una sorta di adattamento che prende il nome di meccanismo di coping. Il dato interessante che rende una ricerca che ha quasi sessant’anni sempre attuale è che, per via della naturale asimmetria delle relazioni, in quasi ogni rapporto c’è chi tende, alternativamente o continuativamente, a sottomettersi a qualcun altro o ad adottare sistemi per adattarvisi.
La qualità delle relazioni
Anni fa, Robert Koegel, un professore della State University of New York di Farmingdale, sottopose ai propri studenti un questionario sulle loro relazioni migliori e peggiori.
- Alcune domande riguardavano le relazioni tra gli studenti e le persone di status più o meno pari al loro (amici, partner, fratelli, sorelle, eccetera),
- altre domande riguardavano, invece, le relazioni con persone di status superiore (dirigenti, docenti, professori, genitori, eccetera).
Agli studenti fu chiesto anche di descrivere tali relazioni. Tra le caratteristiche che contraddistinguevano le loro relazioni positive, gli studenti citarono
- il rispetto,
- la premura,
- la fiducia,
- l’onestà,
- il sostegno e
- la buona comunicazione.
Essi affermarono, inoltre, che quando gli altri mostravano tali caratteristiche, essi tendevano a relazionarcisi positivamente a prescindere dalle differenze di status. Al contrario, le relazioni che gli studenti catalogavano come “peggiori” venivano da loro descritte come
- strumentalizzanti,
- coercitive,
- ingiuste e
- sbilanciate.
Gli studenti indicarono, inoltre, che le persone strumentalizzanti e coercitive tendevano a tradurre inevitabilmente le diversità in opposizione, considerando puntualmente la propria posizione come la posizione corretta. Generando, così, sottomissione in persone che, per inclinazione personale, sono restie ad alimentare focolai di conflitto per prevalere.
La logica vinci-perdi
Tali relazioni sono, dunque, basate su di una logica “vinci-perdi”, laddove chi vince lo fa ricorrendo al proprio potere, personale o istituzionale. Le persone dominanti generano, in altre parole, nei confronti di chi si lascia sottomettere,
- insicurezza,
- senso di umiliazione e
- sfiducia.
L’indagine di Koegel sottolinea quanto la disparità di potere tra persone (o tra gruppi di persone) costituisca la barriera più alta alla costruzione di relazioni sane e felici. Anche in azienda, dove le relazioni efficaci sono alla base del successo ma, molte volte, collidono con l’autorità che comportano i diversi ruoli.
L’autorità e l’autorevolezza
Ci sono modalità di esercitare l’autorità che generalmente non comportano problemi di natura relazionale, poiché implicano un riconoscimento che, viceversa, viene a cadere quando l’autorità si fonda sul potere:
- il riconoscimento che scaturisce dall’esperienza e dalla conoscenza (come quella di un meccanico, di un allenatore, di un medico o di un insegnante che gode di grande stima) è l’autorevolezza;
- l’autorità conferita a precise figure (i poliziotti, i giudici, i direttori dei quotidiani, eccetera) e quella che possiede il capo di un’azienda che, per contratto o accordi, occupa un dato ruolo, è autorità.
Entrambe sono socialmente codificate e accettate. Chi, tuttavia, ricorre al potere e punta ad ottenere ciò che desidera elargendo ricompense e irrogando punizioni, ovvero, attraverso un sistema di gratificazione e frustrazione, riceve (spiega ancora Gordon) dai sottoposti un comportamento di
- opposizione (di lotta),
- abbandono (di fuga) o
- adeguamento (di sottomissione),
in base a quanto grande sia il danno che chi esercita quel potere può arrecare o quanto allettante sia la ricompensa.
I meccanismi di coping
Maggiore è il dolore che può infliggere il leader di potere (o maggiore la ricompensa), dunque, maggiore è l’adeguamento degli altri alla sua volontà che riesce ad ottenere.
Chi è sottomesso sviluppa, così, comportamenti adattivi, denominati meccanismi di coping, al fine di gestire la costrizione ad agire contro la propria volontà e preservare così la propria integrità personale. Persone che rispondono a questo tipo di personalità, infatti, sono maggiormente inclini ad eseguire gli ordini e ad obbedire, rinunciando ai propri bisogni personali, con dannose conseguenze
- sull’assertività,
- sull’autonomia e
- sulla capacità generale di funzionare pienamente.
Chi, viceversa, adotta lo stile della lotta reagisce ribellandosi, opponendo resistenza, sfidando e vendicandosi. Infine, coloro che adottano lo stile della fuga tendono ad essere elusivi, a sfuggire, fisicamente e emozionalmente, rifugiandosi nei propri spazi, defilandosi.
Intelligenza emotiva e comunicazione
Gli esiti migliori nelle relazioni, tuttavia, sono ottenuti sempre da persone con elevati livelli di intelligenza emotiva. Possedere tale competenza, infatti, aiuta a costruire relazioni che si fondano sulla fiducia e che non innescano le reazioni tipiche della risposta all’esercizio di un potere.
Anche il modo in cui oggi vengono costruite le aziende, che passano dallo sviluppo orizzontale di palazzi che ospitavano il management all’ultimo piano e via via, a scendere, le posizioni a decrescere, a quello orizzontale, che privilegia lo scambio frequente e la condivisione, dice che i tempi sono mutati intorno alle modalità di comunicare anche negli ambienti di lavoro. Se a ciò aggiungiamo che i nostri figli faranno mestieri che oggi ancora non esistono, comprendiamo l’importanza del dialogo e dell’ascolto per instaurare relazioni di successo, radicate sulla fiducia.
Con esse, cambiano gli stili di leadership, imposti dalla società dei beni e dei servizi diffusi, che sempre più richiedono qualità nelle relazioni e intelligenza emotiva. Concetto che, se vale in azienda, vale a maggior ragione nella quotidianità di tutte le persone.
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