Chi segue il mio sito sa che nel mio libro “A scuola di Intelligenza Emotiva” faccio riferimento all’Apprendimento Multisensoriale Creativo, una modalità di apprendere che sfrutta al massimo il potere dei sensi e della creatività di chi riesce a stimolarli opportunamente. La dimostrazione più evidente dell’apprendimento multisensoriale come apprendimento efficace risiede nel modo parallelizzato con cui il nostro cervello impara, con l’aiuto della corteccia visiva. Lo spiega lo studio degli alfabeti, come riferisce lo scienziato argentino Mariano Sigman, autore del libro “La vita segreta della mente”.
Lo studio degli alfabeti
Ogni alfabeto, infatti, è composto dagli stessi tratti e dalle stesse forme (lineari e curvilinee) che, in modi diversi, li compongono, indipendentemente dalla cultura a cui appartengono.
Funziona così:
- dapprima apprendiamo le forme e impariamo a scrivere le lettere;
- successivamente, componiamo le sillabe e impariamo a leggerle;
- infine, componiamo le parole.
Questa prima parte del processo di apprendimento della scrittura e della lettura segue la via dorsale. Si tratta della via che segue l’apprendimento quando esso si rivela lento e rigido.
Con la pratica della lettura, il processo si automatizza, al punto che non servirà più leggere lentamente ogni lettera che compone la parola ma basterà leggere il primo terzo della stessa parola per sapere, anche in funzione nel testo in cui essa è inserita, di che parola si tratti. Quest’ultimo apprendimento segue la via ventrale, una via rapida e automatica che permette di
- trasferire l’apprendimento seriale all’apprendimento parallelizzato (quello che sfrutta la corteccia visiva, secondo cui si apprende meglio “vedendo” le informazioni che vengono trasferite) e, contemporaneamente, di
- trasformare la conoscenza esplicita (quella che fa riferimento alla memoria di lavoro, detta esplicita) in conoscenza implicita (che si riferisce alla memoria implicita, inconscia, quella sottesa all’apprendimento automatico che non si sa neppure di possedere).
Apprendere in serie o in parallelo
Esistono, dunque, due vie per l’apprendimento di cui siamo dotati per natura:
- c’è un apprendimento seriale, che è lento, faticoso e rigido, che si sviluppa lungo la via dorsale del cervello (idealmente, la continuazione della colonna vertebrale). L’apprendimento di questa natura produce nozioni che si collocano al livello della memoria esplicita (informazioni che vanno recuperate con uno sforzo da parte del soggetto e in base alla loro utilità temporanea);
- e poi, c’è un apprendimento parallelizzato. Si tratta di una apprendimento fluido, rapido e automatico, che si sviluppa lungo la via ventrale (quella che collega in parallelo più aree del cervello, a partire da quelle associative della corteccia visiva con le sensazioni fisiche). Questo apprendimento produce memoria implicita, quella che l’individuo assimila e non sa di possedere. L’apprendimento parallelizzato sfrutta la memoria visiva spaziale, come muoversi in luoghi familiari (il bravo insegnante di matematica, più che conoscere la sua materia, “vede la matematica” , esattamente come il bravo giocatore di scacchi che vede le mosse da compiere e l’intero sviluppo della partita).
Dunque, si apprende meglio e si ricorda di più quando si sfrutta la memoria visiva.
Via dorsale e via ventrale
Va detto che le due vie, quella dorsale e quella ventrale, funzionano alternativamente. Cioè, mai in contemporanea. Nel corso dello stesso apprendimento, in altre parole, può accadere che entrambe siano attive a intermittenza. Ad esempio, se l’argomento non interessa allo studente, prestando molta attenzione, egli si sforzerà nell’atto di prestare attenzione.
In questo caso, le informazioni viaggiano lungo la via dorsale verso la corteccia prefrontale (sede dell’attenzione) e vengono apprese con maggiore fatica. Se, tuttavia, nell’argomento vengono trattati temi che stimolano la motivazione dello studente, è come se egli vedesse e vivesse quello che sta apprendendo. Accade così che la via dorsale venga disattivata e la corteccia prefrontale silenziata, per lasciare spazio alla via ventrale che, attivandosi, faciliterà l’acquisizione dei concetti.
Poiché, tuttavia, il cervello consuma molta energia, egli appare resistente ad incrementare il suo lavoro, ovvero a spostarsi dalla sua zona di comfort. Quando, però, l’insegnante fornisce sufficienti motivazioni (con l’aiuto delle visualizzazioni, come spiegato dall’Apprendimento Multisensoriale Creativo), ciò accade spontaneamente.
Fuori dalla zona di comfort
Per perseverare in un apprendimento bisogna, dunque, lavorare con motivazione e impegno fuori dalla zona di comfort e dalla cosiddetta soglia ok (le neuroscienze chiamano così il punto oltre il quale il soggetto smette di apprendere o apprendere con maggiore fatica, come chi impara a scrivere al computer, attestandosi ad un numero massimo di parole per minuto senza migliorare mai). Solo la motivazione e la convinzione permettono, dunque, di imparare davvero.
Parlo di Apprendimento Multisensoriale Creativo perché la creatività può aiutare a offrire stimoli nuovi a chi apprende. Stimoli che, corredati di una maggior concentrazione di impulsi elettrici che potenziano le sinapsi (anche grazie al carico emotivo), alimentano motivazione e convinzione. È così che chi insegna aiuta chi è esposto al processo di apprendimento a venir fuori dalla sua zona di comfort, zona in cui il cervello è resistente al cambiamento.
Una maggiore attività elettrica, garantita dalla motivazione ad apprendere, aumenta la temperatura del cervello che, in tal modo, diventa plastico e modellabile (come accade per il ferro quando viene riscaldato).
La motivazione, peraltro, aumenta la produzione di dopamina nel cervello che diventa come l’acqua che modella l’argilla.
Apprendiamo per immagini
Il motivo per cui apprendiamo meglio ciò che vediamo risiede nel fatto che il nostro cervello non conosce le parole ma funziona per immagini.
Questa rivoluzionaria scoperta, che valse a Hubel e Weisel il Premio Nobel per la medicina, oggi ci dice come funziona l’apprendimento che ci accomuna a tutti gli altri esseri umani: noi apprendiamo durante le ore diurne, per poi riorganizzare il risultato dell’apprendimento durante il sonno. Durante le ore notturne, durante l’attività onirica, cioè, è come se l’apprendimento dell’intera giornata venisse riorganizzato da una squadra di pulizie che interviene nella nostra mente a riordinare tutti gli oggetti che compongono questo puzzle del nostro apprendimento, come piccoli pezzi che vanno a comporre una fotografia.
Solo gli elementi di questa conoscenza, ben organizzati, rimarranno, mentre altri sono destinati a scomparire ed essere perduti per sempre. Ed ecco l’evidenza: le conoscenze che restano più a lungo sono sempre il risultato di un apprendimento visivo. Una chiara linea da seguire per insegnanti ed educatori per aumentare l’efficacia dell’insegnamento.
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