Questa è la storia di un tavolo magico che può far disegnare i bambini, far entrare la luce e creare giochi di ombre al solo contatto con la sabbia che si trasforma in tanti colori. E’ così che Serena Baretti, Arteterapeuta di Artedo, utilizzando la Tecnica della Fiabazione, incoraggia i bambini nel Nido Comunale di Nizza a giocare con la luce, con la creatività e con la fantasia. E a produrre immagini che armonizzano la personalità durante le fasi della crescita. Un lavoro che incrocia, sul piano luminoso, l’arteterapia con la sand art.
C’era una volta
Il racconto con i bambini inizia con un “C’era una volta” e si trasferisce subito sul protagonista. Che non è un personaggio in carne e ossa, con naso a patata e goffi, colorati, abiti fiabeschi ma è la scena che ospiterà un’azione che è ancora nella mente dei piccoli autori. Inizia così qualcosa. Qualcosa che é molto di più che semplice divertimento. E’ anche
- creatività,
- fantasia,
- apprendimento,
- silenzio,
- socializzazione,
- integrazione,
- dialogo,
- scoperta,
- attenzione e
- conoscenza. Di se stessi e degli altri.
Con l’avvio della narrazione, siamo fuori in un solo istante dal semplice intrattenimento ludico-ricreativo. Siamo già, piuttosto, al livello di quella che possiamo definire un’esperienza protomentale che aiuta il bambino a strutturarsi e farsi un’idea
- di sé,
- degli altri e
- del mondo intorno.
E, in fondo, questa è la forza dell’arteterapia che usa il gioco solo come pretesto per offrire spunti di riflessione e aprire punti di domanda sulla vita emotiva delle persone.
Il tavolo magico
Quando, dunque, l’arteterapia incontra il tavolo magico, cioè quando il “come” si imbatte in un fantastico “dove”, la narrazione che ne viene fuori rappresenta uno dei principali metodi di apprendimento. Perché il tavolo magico spinge il bambino ad interagire con
- l’ambiente,
- i compagni,
- la materia
e, conseguentemente, a
- calarsi nella realtà,
- farne esperienza,
- conoscerla e
- provare a darne una personale lettura.
Il bambino, attraverso l’arte e la manipolazione della sabbia, abbinata a luci colorate e al suono, scopre la sua creatività, crea personaggi, comunica attraverso di essi, interagisce con i compagni e con gli adulti. Non solo. Attraverso la scoperta della luce che emerge dopo il contatto con la materia, generalmente sabbia (ma al nido è meglio sostituirla con farina di mais, atossica e adatta anche a bimbi celiaci), il bambino
- acquisisce il senso di profondità e volume,
- gioca con luci e ombre e, divertendosi in un gesto manipolativo tattile,
- esplora l’ambiente.
Il gioco ha inizio
Certo, inizialmente si muoverà in un suo piccolo spazio all’interno del tavolo magico e luminoso, dove ognuno avrà un posticino su cui lavorare e sentirsi protetto. Poi, però, successivamente, arriva la condivisione, la conquista degli spazi comuni, quelli della relazione con gli altri, con rispetto e delicatezza. Perché la materia è fragile. E fragili sono le relazioni. E’ così che il bambino inizia a comprendere tutto ciò, senza quasi rendersene conto.
Così, la conquista della relazione è demandata all’interazione tra i personaggi della storia proposta, se narrata dall’adulto in precedenza, o per creare una storia di sana pianta, sempre con l’aiuto e la guida dell’educatore.
Allo scopo, può rivelarsi utile una base musicale, per permettere ai bambini di lasciarsi guidare nell’atmosfera della storia che smuove l’immaginario. Una buona idea è usare suoni naturali e alternarli con le luci del tavolo magico: il ruscello realizzato con la sabbia, ad esempio, diventa all’improvviso azzurro, con il cinguettio degli uccelli giallo e con il vulcano rosso.
Il supporto magico trasforma e genere ambientazioni sempre nuove, nuove tracce che creano paesaggi fantastici e creature immaginarie su cui si proiettano
- personalità,
- carattere e
- temperamento
di ognuno.
Consigli per gli educatori
L’attività, squisitamente arteterapica, è bene che venga svolta a piccoli gruppi (massimo sei partecipanti). Infatti, proprio l’attività in pochi bambini si rivela di grande aiuto per gli educatori. Ci sarà, infatti, chi non riesce a stare nel suo spazio (e invade subito quello altrui) e chi invece prima si guarda intorno, con circospezione, per poi avanzare piano piano, alla ricerca di un timido contatto. Manipolando la materia o portando sul piano dei giocattoli personali. E ci sarà anche chi, da bravo leader,
- decide i colori,
- imposta la storia e la indirizza,
- crea e distrugge.
Tutti, in ogni caso, trovano un posto e un ruolo nel gioco di luci e ombre. Quindi, il laboratorio è molto partecipativo. L’attività piace e coinvolge e, solitamente, si chiude con un atto catartico gruppale: facile che compaiano, infatti, figurazioni totemiche (compare il vulcano, fatto dei diversi cumuli di sabbia o farina) che convergono verso il centro e che indicano un buon livello di fusione e coinvolgimento.
Non si tratta in questo caso della distruzione della storia ma del suo acme, del punto più alto, regressivo e vero (più facile che accada, tuttavia, con i bambini più grandi e con gli adolescenti) che svela la densità delle maglie della relazione tra i partecipanti. Quali e quante emozioni vivano nell’intero percorso e nella sua conclusione è la domanda dell’educatore nella verbalizzazione che chiude l’esperienza.
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