Il viaggio nei luoghi della fragilità ci porta ad indagare parole, silenzi, emozioni e sentimenti, intorno a cui edifichiamo le nostre esistenze. Il modo stesso in cui ci esprimiamo, infatti, spiega al mondo il confine del rispetto che possediamo verso l’altrui sensibilità, che troppo spesso è mortificata dalla prevaricazione e dalla sopraffazione in cui versano la gentilezza e la bellezza, quando affogano nell’indifferenza e dalla noncuranza. Non la bellezza esteriore, che è effimera e destinata a sfiorire. La bellezza di essere nel mondo, di arricchirlo con una sola parola o con un gesto garbato. Quello che abbiamo perduto, che non sappiamo più regalare, come abbiamo perduto la bellezza, quando, all’improvviso, ci siamo risvegliati sotto un cielo grigio di vite felici solo sui social network. E se è vero che la gentilezza salverà il mondo, beh… noi siamo qui ad attendere.
Siamo fragili per natura
La fenomenologia della fragilità non può fare a meno di una riflessione preliminare. La fragilità é il nostro destino. Ma essa nasce e si articola nella stretta connessione con l’ambiente in cui cresciamo e viviamo, cioè con gli altri. La coscienza della fragilità, della nostra implicita debolezza e della nostra vulnerabilità, rende difficili, a volte, le relazioni umane. In molti casi, addirittura impossibili, se siamo troppo condizionati dalla paura di non essere accettati, di non essere riconosciuti.
La paura più grande, quella che nel silenzio non riusciamo a confessare neanche a noi stessi, è che le nostre insicurezze e i nostri impliciti, innati bisogni di ascolto e di aiuto restino disattesi, inascoltati o inespressi. Ecco che la nostra fragilità, a qualunque livello si manifesti, viene puntualmente ferita dalle relazioni che siano meno che gentili e umane. Meno che improntate
- alla fiducia,
- all’accoglienza e
- all’ascolto.
Molte, troppe relazioni sono, infatti, fredde e glaciali ed esprimono indifferenza e noncuranza che mortificano la fragilità delle persone.
La fragilità è il nostro destino
Se, dunque, la fragilità è il nostro destino e nasce nell’incontro con gli altri, occorre concludere che, in quanto esseri umani, non siamo delle monadi chiuse. Siamo, piuttosto, (oppure, in molti casi vorremmo essere), delle monadi aperte alle parole e ai gesti di accoglienza degli altri.
Ma quando questo non avviene, le relazioni si fanno oscure, impervie, pericolose. Dilatano, così, in maniera estrema la nostra fragilità, la amplificano, di fatto, affondando il coltello nelle
- nostre ferite,
- nelle nostre insicurezze,
- nelle debolezze e
- nella vulnerabilità.
Fragili sono, dunque, le relazioni perché si basano sulle emozioni che non vengono comprese. Per questo, i rapporti sono così delicati e soggetti a rompersi.
Le emozioni sono fragili
Fragili sono, infatti, le emozioni che proviamo e che ci rendono umani. E si dividono in emozioni forti e emozioni deboli, esattamente come esistono virtù forti e virtù deboli. Alcune delle emozioni più significative della nostra vita sono fragili. In cosa consiste esattamente la loro fragilità?
- È fragile la tristezza.
- È fragile la timidezza;
- sono fragili la speranza e l’inquietudine ma lo sono anche
- gioia e dolore, l’amicizia.
Tutte le emozioni sono impregnate di fragilità. Tant’è vero che, se non fossero fragili, perderebbero tutte, le nostre emozioni, immediatamente l’implicita significazione umana e il loro stesso fulgore. Proprio per questa implicita fragilità, le emozioni si scheggiano, dice Eugenio Borgna nel libro “Le parole che ci salvano”, con una certa facilità, a causa dell’avanzata dei ghiacciai
- della noncuranza e dell’indifferenza,
- delle tecnologie trionfanti e degli idoli consumistici.
Del resto che cosa diventerebbe la speranza, ad esempio, se non si nutrisse di fragilità e di fluida friabilità? Non sarebbe se non una delle tante problematiche certezze che, nella loro impenetrabilità al dubbio e all’incertezza, svuotano di senso la vita.
Le virtù
Le emozioni sono fragili, dunque, ma lo sono anche le virtù, le virtù come
- la gentilezza,
- l’innocenza,
- la modestia,
- la mitezza e
- la tenerezza.
Le chiamano virtù deboli. Ma esiste oggi atto di forza più grande di una gesto gentile, di una parola mite o della modestia davanti all’impero del nulla cosmico rappresentato?
Le parole sono fragili
Ognuno di noi a che fare con le parole. Le parole sono il nostro modo di
- essere nel mondo,
- di essere con gli altri,
- di comunicare.
Siamo fatti per comunicare con gli altri attraverso la parola. Ma comunicare attraverso la parola con gli altri vuol dire avere con loro un dialogo a mettere uno spazio di relazione io-tu in cui quelle parole assumono il medesimo significato. Scrive Giovanni Pozzi: “la parola è il tratto distintivo dell’uomo, non perché è aggiunta alla sua natura ma perché suo costitutivo. L’uomo nasce, si sviluppa, si modella, si esprime entro un linguaggio. Ma il linguaggio porta necessariamente al dialogo ed è perciò la piattaforma sulla quale si realizza l’incontro io-tu che il solitario tenta di sfuggire come incompatibile col suo disegno.”
La solitudine, dunque, rifugge il dialogo, rifugge il confronto io-tu.
Ma, nelle relazioni, ci si confronta abitualmente con parole diverse: parole fredde, opache, crudeli, pietrificate, negate o sospese. A volte, con parole leggere e profonde, fulgide, discrete, delicate, riaperte alla speranza o affacciate su di essa, friabili e fragili.
- Le prime distruggono la relazione, ogni forma di dialogo e di comunicazione.
- Le seconde, la creano, la incoraggiano, se ne prendono cura la curano e, su di esse, le relazioni proliferano.
Come sempre, in molti casi, tuttavia, la parola migliore è quella che non viene detta e che viene affidata ad un sorriso di umana comprensione.
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